RASSEGNA STAMPA

Il Sole 24 Ore
15 luglio 2002
di Stefano Zamagni


Impresa sociale: una legge da riformare

L'approvazione in Consiglio dei ministri del Ddl delega sull'impresa sociale (avvenuta lo scorso aprile ma con testo rielaborato giovedì 11 luglio e che ora include gli enti ecclesiatici tra i soggetti che possono costituire tale tipo di impresa), rappresenta un fatto di grande rilevanza che pone le premesse per una sistemazione organica, sotto il profilo civilistico del mondo delle organizzazioni di terzo settore. Proprio perché ci troviamo di fronte ad un provvedimento importante sarebbe opportuno che, con alcuni "semplici" emendamenti, il Parlamento arrivasse a votare una legge delega dalla quale poter ricavare tutti i risultati positivi che già oggi è possibile ottenere. Per cogliere il significato della proposta che avanzo è necessario premettere che lo sfondo sul quale leggere il Ddl di cui si tratta è quello della attuazione nel nostro Paese della cosiddetta welfare society.
Tre sono i modelli tra cui scegliere. Il primo è il modello del compassionate conservatism (il conservatorismo compassionevole), secondo cui l'attenzione ai bisogni e alle necessità di chi resta indietro nella società è affidata, in primis, alla filantropia e all'azione volontaria e, in secundis, allo Stato. Il secondo modello è quello neo-statalista: lo Stato deve conservare il monopolio della committenza, pur rinunciando, in tutto o in parte, al monopolio della gestione dei servizi di welfare. Infine, v'è il modello civile di welfare, secondo cui alle organizzazioni della società civile (Osc) va riconosciuta una soggettività, non solo giuridica, ma anche economica. Come dovrebbe essere modificato il testo attuale del Ddl per farlo diventare uno dei pilastri dell'attuazione del modello di welfare plurale?
In primo luogo, esso deve contenere la delega a intervenire sull'articolo 2247 del Codice civile, che recita: . Fino a quando resterà in vigore una simile definizione di società è evidente che i soggetti dell'economia sociale non potranno mai acquisire piena soggettività economica. Ma perché mai un'attività economica, per essere tale, deve di necessità avere finalità lucrative? Non è forse vero che ciò che caratterizza il fare impresa è la capacità di generare valore aggiunto o sovrappiù e non già il fine perseguito da coloro che pongono in essere quell'attività? La proposta che avanzo è che, nell'articolo 2247, alle parole venga aggiunta l'espressione .
In secondo luogo, è necessario che quanto si legge al punto 10) della lettera b) del comma 1 dell'attuale Ddl venga trasferito in un secondo articolo, specificamente dedicato alla modifica dell'articolo 2247 del Codice civile. Quale la ragione? Il punto 10) sancisce che la legge delegata preveda (corsivo aggiunto). Un tale requisito non può essere preso a identificare , giacché esso è tipico dell'impresa civile, caratterizzata da una struttura di governance di tipo multistakeholders. Si consideri, infatti, una cooperativa di produzione e lavoro, costituita da soci-lavoratori che operano secondo la normativa vigente sulle cooperative. Se passasse il principio in base al quale la partecipazione al governo dell'impresa dei destinatari delle attività è elemento che concorre a definire il "carattere sociale" dell'impresa, si arriverebbe alla conclusione che la cooperativa non potrebbe più essere considerata un'impresa sociale. Bel paradosso, davvero, se si considera che quella cooperativa è il vero prototipo, in senso sia storico sia teorico, dell'impresa sociale.
D'altro canto, se giungesse in porto la versione attuale del Ddl, si potrebbe ragionevolmente pensare che un'impresa che fosse tenuta a rispettare i requisiti imposti da quella versione sarebbe in grado di gestire, con efficienza ed efficacia, attività come quelle di un ospedale, di una università, di un museo, di un teatro, di una scuola? Le maglie previste dall'attuale Ddl, mentre risultano adeguate qualora il riferimento sia alla produzione e all'erogazione di servizi di cura, paiono troppo strette per consentire la nascita di soggetti imprenditoriali che stanno nel mercato, pur non essendo del mercato, e che sono indispensabili per superare la cronica deficienza, nel nostro Paese, di offerta di beni meritori e di beni di interesse collettivo.
In definitiva, il punto è che di imprese sia sociali (che vanno potenziate) sia civili (che ancora non esistono e dunque si deve favorirne la nascita) abbiamo e avremo sempre più bisogno nel nostro Paese.

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4 agosto 2002
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