Analisi Difesa. E l'Europa paga le sue divisioni
Sin dalla loro nascita gli Stati moderni hanno considerato le loro industrie degli armamenti come un patrimonio strategico, parte essenziale della loro stessa difesa. Oggi però la situazione sta cambiando molto rapidamente. Un solo Paese sembra realmente in grado di mantenere un sistema industriale della difesa strettamente nazionale e insieme altamente competitivo: gli Stati Uniti, che da soli spendono per la Difesa più di tutti gli altri loro maggiori concorrenti messi assieme. Proprio questa assoluta superiorità americana, tuttavia, indebolisce la leadership politica degli Usa e alimenta in campo industriale risposte competitive che potrebbero col tempo ridurre gli attuali squilibri. Tutto parte dal fatto che il mercato delladifesa, a differenza del mercato di tutti gli altri prodotti industriali, non è affatto liberalizzato. Al contrario, proprio gli Usa oppongono feroci resistenze alla libera circolazione delle loro tecnologie di punta, anche nei confronti dei più stretti alleati. In tal modo intendono difendere e accrescere la loro superiorità strategica, ma finiscono anche con il crearsi gravi problemi. Così, per esempio, sta diventando sempre più difficile condurre operazioni militari congiunte con gli alleati, anche quando questi accettano la leadership tecnologica e militare americana: ciò costringe di fatto il Pentagono a operare isolatamente e in modo unilaterale, con tutti i limiti e i rischi politici, economici e in alcuni casi anche operativi, che un tale approccio comporta. Né ciò spinge gli alleati a dotarsi di più mezzi e tecnologie "made in Usa", sia perché quelle realmente disponibili non sono in genere quelle più avanzate (e quindi il problema della piena interoperabilità non è comunque risolto), sia perché il loro continuo rinnovamento comporta costi altissimi, sia infine perché non sempre le concezioni operative che tali tecnologie implicano sono le più adatte a soddisfare i bisogni e le priorità degli altri Paesi. Il problema è ben noto e gli stessi americani cercano di risolverlo in modo positivo, accrescendo la cooperazione tecnologica. Il maggiore sforzo in questa direzione è stato probabilmente il varo del programma del nuovo caccia multiruolo Jsf, sviluppato assieme con alcuni alleati: tuttavia il programma sta incontrando gravi difficoltà proprio sul punto degli scambi tecnologici. Inevitabile sembra quindi la reazione delle industrie europee, che però debbono scontrarsi con la frammentazione dei loro mercati d'elezione e con la conseguente difficoltà di raggiungere livelli d'integrazione e di razionalizzazione adeguati a una competizione di così alto livello. Di fatto oggi in Europa sembra delinearsi il fenomeno di alcune grandi industrie transnazionali ancora prive di un mercato unico su cui misurarsi e crescere, così come è avvenuto per l'industria americana. I problemi sono molteplici, ma i più significativi sembrano essere: l'insufficienza dei bilanci della difesa, con la parziale eccezione di Francia e Gran Bretagna, purtroppo più che compensata dalla progressiva diminuzione del bilancio tedesco (oltre che dalla cronica debolezza di quello italiano); l'autosegregazione dell'industria francese, forse la più forte e avanzata oggi esistente in Europa, ma anche quella che più resiste alla prospettiva di una sua reale integrazione transnazionale che la faccia uscire dalla logica "statalista" che ancora la domina; la persistente frammentazione del mercato, non solo per l'esistenza di molti clienti nazionali, ma anche per il gran numero di barriere legislative e regolamentari che ostacolano il funzionamento delle imprese transnazionali. Tuttavia qualcosa sta cambiando. L'accordo LoI tra i sei Paesi europei con la maggiore industria degli armamenti cerca di favorire lo sviluppo di impresetransnazionali. L'Agenzia per la difesa della Ue dovrebbe favorire una maggiore razionalizzazione della domanda e alimentare il settore chiave della ricerca e dello sviluppo. I progressi sono ancora sin troppo incerti, ma vengono rafforzati dalla spinta che viene dalle industrie e dalla crescente consapevolezza delle amministrazioni della Difesa dell'impossibilità di perseguire indefinitamente strategie puramente nazionali, pena un rapido e pericoloso declino delle proprie capacità operative. In ultima analisi, la spinta decisiva potrebbe provenire proprio dal mercato, in particolare dal processo di privatizzazione delle industrie della difesa, che non possono più isolarsi dalla logica della redditività, né possono sperare, come in passato, in continui interventi di rifinanziamento da parte dei loro governi di riferimento, in nome del mantenimento della cosiddetta "base industriale nazionale della Difesa". Siamo quindi alla vigilia di un più avanzato processo di razionalizzazione dell'industria europea che può avere due possibili sbocchi. Il primo vedrebbe la progressiva perdita di un suo ruolo autonomo e la sua sostanziale acquisizione da parte dei concorrenti americani, al costo però di un'effettiva rinuncia a ogni competitività europea in questi settori di alta tecnologia. Il secondo vedrebbe invece un'ulteriore diminuzione e probabilmente anche una profonda riorganizzazione dei maggiori interlocutori europei, arrivando a livelli di specializzazione molto più alti di quelli attuali e quindi alla progressiva scomparsa del mito dell'autosufficienza delle varie basi industriali ancora esistenti
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