Industria - Parla l'inglese Witney, a capo dell'Agenzia Ue sul settore "Più concorrenza nella difesa europea" Codice di condotta sulle gare entro l'anno. Investimenti comuni sulle tecnologie
"Ci vuole più concorrenza nel mercato europeo delle forniture per la Difesa. Bisogna dare più pubblicità alle procedure d'appalto per l'acquisto di mezzi e materiali, creare la possibilità di gare competitive europee. Ci sarebbero benefici per tutti: il denaro dei contribuenti verrebbe speso meglio, le industrie sarebbero spinte a una maggior efficienza". É il programma di Nick Witney, da ottobre a capo dell'Agenzia europea della Difesa di Bruxelles, il nuovo organismo creato per coordinare le politiche della difesa negli approvigionamenti di armi e mezzi. Dopo aver lavorato, come civile, nell'amministrazione degli Esteri e della Difesa britanniche, Witney guida il tentativo dell'Europa a 25 (anzi, a 24, perché la Danimarca non ne fa parte) di coordinare l'attività in un settore nel quale le barriere nazionali restano quasi insuperabili. Ha la qualifica di amministratore delegato, come il capo di un'azienda. E chiama "azionisti" i 24 ministri della Difesa e i rispettivi Stati aderenti all'Agenzia. Sorta come ente intergovernativo che risponde al Consiglio d'Europa, l'Agenzia non è un organismo sovranazionale come la Commissione Ue. E non ne ha i poteri esecutivi, né sanzionatori.
Signor Witney, quali compiti ha l'Agenzia?
Nella difesa in Europa spendiamo tutti insieme circa 160 miliardi di euro l'anno. Gli Stati Uniti spendono più del doppio, circa 450 miliardi di euro. Dobbiamo far sì che ci sia un miglior ritorno da questa somma. Dobbiamo assicurare che i soldi di chi paga le tasse siano spesi nella maniera migliore.
L'Agenzia non ha poteri per imporre decisioni e farle rispettare.
Penso che i Paesi europei non siano pronti per avere un organo che ordina cosa devono fare nella difesa. L'Agenzia però può stimolare le decisioni dei suoi azionisti, coinvolgerli e aiutarli ad assumere atteggiamenti comuni. Nessun bilancio nazionale è sufficiente per fare quello che vorrebbe uno Stato. Tutti sono sotto pressione finanziaria. Questo dovrebbe favorire la ricerca di politiche comuni.
Quali sono le risorse a disposizione?
Abbiamo 20 milioni di euro per quest'anno. Dedotte le spese per personale e infrastrutture, rimangono solo tre milioni da spendere. Siamo operativi da tre mesi, a metà anno avremo 77 persone, ora siamo la metà. Con questi fondi è difficile fare ricerca o avviare nuovi programmi tecnologici.
Entro la fine dell'anno deve esserci un accordo sul piano finanziario triennale. Una crescita dei fondi è necessaria. Da vedere se sarà rapida o graduale.
Di quanti fondi avete bisogno?
Non ha senso che dica adesso una cifra, potrebbe essere male interpretata. Si può però considerare che in Europa sui circa due miliardi di euro annui spesi in ricerca e tecnologia, meno del 5% è deciso attraverso canali collettivi. É in questo ambito che si può collocare la nostra attività.
Per gli acquisti di armamenti ogni Stato fa tutto in casa, senza gare europee, invocando l'eccezione dell'articolo 296 del Trattato europeo per la sicurezza nazionale. La Commissione Ue studia una direttiva, l'Agenzia un codice di condotta. Quali sono i tempi?
L'obiettivo è che alla fine di quest'anno i ministri della Difesa decidano di applicare il codice di condotta che stiamo preparando, per introdurre più competizione nel mercato della difesa. Dopo un immobilismo di 30 anni, in cui si è detto che non si può operare su un mercato unico europeo della difesa, perché questo è un settore speciale, il fatto che gli azionisti dell'agenzia abbiano accettato, il 2 marzo, di adottare entro l'anno un codice di condotta segna una pietra miliare.
Cosa avverrà per chi non rispetta il codice di condotta?
Sarà un accordo su base volontaria, non vincolante. Se saranno d'accordo in 20 Stati lo applicheranno quei 20, se saranno otto lo avranno quegli otto.
Che succede a chi disobbedisce?
Chiederemo agli Stati di riferire su come vanno le procedure di appalto. Se qualcuno non rispetta le regole comuni, che saranno volontarie, l'Agenzia lo riferirà al suo steering board composto dai ministri.
Non sembra una procedura molto efficace.
Dobbiamo accettare di andare avanti con maggioranze a geometria variabile, non si può pretendere sempre l'unanimità. Dovremo anche razionalizzare la tecnologia. Oggi gli arsenali sono pieni di materiali che servivano 25 anni fa, c'è molto ferro, invece bisogna investire di più negli apparati per le comunicazioni, o che rendano più rapida l'azione operativa delle forze armate.
É sufficiente il consolidamento industriale?
Sono stati fatti progressi nell'aerospazio, anche Finmeccanica è diventata una grande realtà. Ma i sistemi di guerra navale e terrestre sono rimasti indietro. Con una domanda che nel settore navale è quasi identica a quella europea, negli Usa ci sono quattro cantieri militari, in Europa 23. E nei sistemi terrestri c'è la stessa frammentazione.
Agusta fa il pieno di contratti |
Graduatoria delle esportazioni di armamenti
autorizzate nel 2004 - Dati in milioni di euro
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Agusta |
514,0 |
Mbda Italia |
200,5 |
Alenia Marconi Systems |
173,9 |
Oto Melara |
152,2 |
Avio |
71,6 |
Fincantieri |
71,2 |
Selenia Communications |
61,8 |
Whitehead Alenia Sistemi Subacquei |
36,8 |
Galileo Avionica |
35,7 |
Iveco |
29,3 |
Fonte: ministero degli
Esteri |
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