La riforma Premier-sovrano nel nuovo Stato I costituzionalisti: con la devolution Repubblica lacerata. Nelle mani del capo del governo la sorte del Parlamento. Aumentano i membri della Consulta di nomina politica. Ecco come cambia la Carta fondamentale
ROMA - Da qui al 2016 la Repubblica italiana è destinata a cambiare faccia. Radicalmente. Un profondo restyling rischia di renderla irriconoscibile. La riforma della seconda parte della Costituzione, approvata ieri in Senato, disegna un nuovo ordinamento dello Stato. Un superpremier, un Quirinale depotenziato, una Consulta politicizzata, un federalismo che rischia di trasformare l´Italia in uno Stato-Arlecchino. Una riforma che allarma opposizione e società civile. Giuristi in testa. "Con questo testo - afferma Sergio Bartole, professore di diritto a Trieste e presidente dell´Associazione italiana costituzionalisti (Aic) - possono saltare tutti gli equilibri istituzionali che reggono la nostra democrazia". Per questo l´Aic si prepara a dar battaglia, annunciando un congresso straordinario per fine aprile. Cambia, dunque, la Costituzione (in ben 48 articoli). Nasce un premier-sovrano, che non ha più bisogno della fiducia delle Camere per insediarsi. La sua legittimazione avviene al momento dell´elezione, che è di fatto una elezione diretta: sulla base del risultato elettorale il capo dello Stato nomina primo ministro il candidato della coalizione vincente. Determina (e non più dirige) la politica dell´esecutivo. Ha il potere di revoca dei ministri e - soprattutto - quello di sciogliere la Camera. Un premier forte, anzi "fortissimo", a scapito di un presidente della Repubblica ridotto a mero spettatore della scena politica. Il Quirinale perde di fatto il potere di sciogliere le Camere (lo fa solo su richiesta del premier). Non solo. Se da un lato acquista la facoltà di nominare i presidenti delle Authority, dall´altro perde la nomina di un giudice costituzionale. "Il capo dello Stato - sostiene Bartole - smarrisce il suo ruolo chiave dell´equilibrio istituzionale. Con questa riforma, si impoverisce così il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica e si regala al premier un potere di ricatto verso la sua maggioranza parlamentare". E non è tutto. Cambia la Corte costituzionale. I giudici che la compongono sono sempre 15, ma salgono da 5 a 7 quelli di nomina parlamentare. Quattro sono scelti dal presidente della Repubblica (uno in meno di oggi), gli ultimi quattro sono indicati dai magistrati. Cosa significa? "Si vuole politicizzare questo organo di garanzia - denuncia Bartole - creando un palese squilibrio, a tutto vantaggio degli interessi della maggioranza di governo". E poi c´è la devolution, tanto cara agli uomini del Carroccio. Alle Regioni viene affidata la legislazione "esclusiva" in settori chiave: scuola, sanità e polizia amministrativa locale. Il rischio è di avere tanti sistemi scolastici, sanitari e di sicurezza quante sono le Regioni. "Si profila un contenzioso Stato-Regioni ben maggiore del passato - prevede il presidente dell´Aic - . Un caos tra spinte dissolutive dell´unità nazionale e tendenze centraliste. L´augurio è che la Consulta ne attenui l´eversività, così come ha fatto finora con la precedente riforma del Titolo V della Costituzione". Complesso il nuovo iter delle leggi tra Camera e Senato federale. Solo su alcune questioni, quali la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che riguardano diritti civili e sociali, Senato e Camera legiferano alla pari. Se non trovano l´accordo entra i campo addirittura una terza assemblea: una commissione mista i cui 60 componenti sono indicati dai presidenti delle due Camere. La nuova architettura dello Stato italiano non entrerà subito in vigore. La Cdl, dopo aver tanto insistito sull´urgenza della riforma, ha deciso che le disposizioni più importanti (a cominciare dalla nuova composizione delle Camere) vengano mandate a regime nel 2016. "Se questa riforma è da bocciare nel merito - afferma Bartole - lo è tanto più l´iter seguito dalla maggioranza per la sua approvazione: dibattito strozzato, tempi contingentati, società civile umiliata". Al contrario, una riforma costituzionale "va concordata con tutti i cittadini". Per questo "rimane il referendum: unico strumento perché il Paese si riappropri di un tema che gli è stato scippato".
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