di Tino Bedin senatore dell'Ulivo
Il ritornello è stato ripetuto in Senato, in tv e verrà riproposto in molte versioni: ha cominciato l'Ulivo a cambiare la Costituzione italiana con un voto di maggioranza in Parlamento; non meravigliatevi quindi se anche la Destra modifica la Costituzione a maggioranza. Il ritornello sembra così convincente che anche autorevoli esponenti dell'Unione ammettono che sia stato fatto un errore in quell'inizio del 2001.
Nel 2001 sviluppati i principi del 1948. Ernesto Galli Della Loggia ha osservato che "anche nelle responsabilità c'è una gerarchia, e oggi quello che appare in modo indiscutibile è il primo posto guadagnato dalla destra e dal suo capo nella corsa a fare il male del Paese". Potrebbe bastare, ma si può anche entrare nel merito.
In questa materia anche la quantità, oltre che la qualità delle modifiche ha un peso. L'aggiornamento costituzionale dell'Ulivo riguarda un solo Titolo della Costituzione e quindi l'applicazione dell'articolo 138 appare coerente con le previsioni dei Costituenti. La deformazione della Destra riguarda l'intera seconda Parte della Costituzione: in questo caso diventa discutibile se sia costituzionalmente corretto servirsi del percorso parlamentare normale o se non fosse necessaria una procedura straordinaria.
Neppure sulla qualità dei cambiamenti le scelte dell'Ulivo e del centrodestra sono paragonabili. La riforma del Titolo Quinto è uno sviluppo dei contenuti della Costituzione del 1948, delle sue indicazioni in tema di regionalismo e di autonomie locali; la deformazione attuale modifica radicalmente i rapporti tra le istituzioni della Repubblica.
Un vecchio disegno contro la Costituzione. Il percorso che doveva portare a perfezionamenti ed aggiornamenti limitati della nostra Costituzione ha imboccato il senso unico di una nuova Carta costituzionale. Dopo il voto del Senato il 23 marzo non sono possibili deviazioni: o ci si blocca definitivamente (con un poco probabile voto negativo del Parlamento o uno più probabile al referendum) o cambia il patto di cittadinanza tra italiani.
Qualcuno ha sbagliato strada? Qualcuno è stato costretto a cambiare strada dagli imprevisti?
Non c'è nessun errore nel percorso che il centrodestra ha compiuto e intende completare; come nell'organizzazione sociale, così in quella istituzionale la Destra sta perseguendo un disegno che le appartiene fin dal suo costituirsi. C'era la maggioranza che c'è oggi in Parlamento quando a metà degli anni Novanta don Giuseppe Dossetti si sentì obbligato ad uscire dal "rifugio religioso" per guidare comitati in difesa della Costituzione. Con quella maggioranza, con quel clima Dossetti sentiva in pericolo l'intera Carta del 1948, perché era considerata superata la Resistenza antifascista da cui era stata concepita; erano in discussione le culture politiche che l'avevano generata e fatta maturare. Si diceva che la Costituzione era vecchia, inadatta a interpretare il nuovo.
L'azione di Dossetti bloccò allora quella deriva. Ora Dossetti è morto e nessuno ha preso il suo posto, mentre Berlusconi è tornato al potere.
Come allora l'immagine che si vuole dare è che la Costituzione italiana non sia adeguata alla modernità.
Si complica il meccanismo delle leggi. Una critica all'attuale impianto istituzionale è il "bicameralismo perfetto". Camera e Senato che fanno le stesse cose appaiono, anche agli occhi di una parte dell'opinione pubblica, un doppione. Se ne può discutere, ma adesso ci interessa la deformazione costituzionale votata dal Senato.
Il superamento del bicameralismo perfetto è in parte riuscito: non tutte le leggi dovranno più passare per Camera e Senato. Ciò non significherà una semplificazione dell'iter della formazione delle leggi. La molteplicità di tipologie di leggi (cioè leggi a prevalenza Camera, leggi a prevalenza Senato e leggi bicamerali), infatti, farà sì che conflitti di attribuzione tra le Camere saranno non l'eccezione ma la regola. Il tutto poi è ulteriormente complicato da nuovi istituti, quali una Commissione di conciliazione, oppure il caso della prevalenza del Governo sul Senato in occasione della cosiddetta fiducia indiretta.
Questo contenzioso non è una semplice ipotesi, ma rischia di diventare la norma. Il governo potrebbe non essere in grado di controllare il processo legislativo perché le più significative leggi di carattere economico e sociale dovrebbero trovare l'approvazione del Senato cosiddetto federale, che non ha rapporto fiduciario con l'esecutivo e che, eletto in un periodo diverso rispetto alla Camera, potrebbe addirittura avere una maggioranza opposta. Dunque il vero pericolo è quello della paralisi. Oppure il premier scioglie le Camere, con buona pace del federalismo.
1 aprile 2005
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