IN PARLAMENTO

La Legge Finanziaria conferma l'euroscetticismo del centrodestra
L'Italia non investe nell'Europa
Si riduce addirittura la compartecipazione ai fondi strutturali e non si prepara l'allargamento dell'Unione; incertezze anche nella politica di sicurezza

La Giunta per gli affari europei del Senato ha dedicato una sola seduta alla legge Finanziaria: il disinteresse è stato rilevato dal senatore Tino Bedin, segretario della Giunta, in un ampio intervento, che come ha riconosciuto lo stesso ministro Buttiglione, ha assunto le caratteristiche di una contro-relazione rispetto a quella della maggioranza. Ne riportiamo il testo.

di Tino Bedin

Risulta sempre più chiaro, anche nell'analisi e nella valutazione della legge Finanziaria per il 2003, un principio generale: il Trattato di Maastricht e il Patto di stabilità interagiscono con la legislazione vigente nazionale, in particolare con riferimento alla legge di contabilità.
Abbiamo visto, ad esempio, che nell'esame della legge Finanziaria il Presidente della Camera non ha ammesso un emendamento che riguardava una materia che attiene alla Banca d'Italia con l'argomentazione che si devono respingere gli emendamenti in conflitto con i princìpi fondamentali sui quali si regge l'ordinamento del Sistema monetario europeo e il conseguente ordinamento della finanza pubblica in sede nazionale.
Sono partito da questo convincimento ed ho fatto questo esempio perché il ruolo che la Giunta per gli Affari europei del Senato è chiamata a svolgere in sede di parere sulla legge Finanziaria è assai importante. Le nostre valutazioni hanno una dimensione di carattere generale e strutturale. Per questo mi pare riduttivo che all'esame dei documenti di bilancio sia dedicata una sola seduta della nostra Giunta, in uno spazio temporale costretto dalla convocazione dell'Assemblea, a ridosso del termine per la presentazione dei pareri alla Commissione Bilancio. Per questo mi sembra indispensabile che anche la nostra Giunta possa disporre di strumenti di analisi specifici da parte del Servizio Studi del Senato, come avviene per le altre commissioni.

Finanziamenti Bei non utilizzati. Proprio per l'interazione che esiste - come ho detto - fra i Trattati europei e la legge di contabilità nazionale, quest'ultima è ormai uno degli strumenti concreti, operativi attraverso i quali il Parlamento e quindi i cittadini possono misurare il grado di partecipazione dell'Italia all'Europa; anzi non solo il grado, ma anche il modo. Faccio un esempio.
Al comma 20 dell'articolo 2 del Bilancio di previsione dello Stato è stabilito che "Il ministero dell'economia e delle Finanze è autorizzato ad effettuare il riparto tra le amministrazioni interessate… dello specifico stanziamento concernente la somma da ripartire tra le amministrazioni centrali e regionali per sopperire ai minori stanziamenti decisi dalla Banca europea degli investimenti relativamente ai progetti immediatamente eseguibili". Si tratta, come precisa lo stesso comma, di investimenti che sono di pertinenza del centro di responsabilità "Politiche di coesione e di sviluppo".
Alla tabella D della legge finanziaria questa disposizione è quantificata in 13 milioni di euro per ciascuno dei tre anni dal 2003 al 2005. Significa che abbiamo perso finanziamenti della Bei perché non avevamo progetti pronti e che quindi dobbiamo pagarceli.
Si tratta di un punto sul quale qualche chiarimento dovremmo chiederlo nel parere, che suppongo sarà favorevole da parte della maggioranza.

Contraddizioni con la politica europea di sicurezza. IFaccio un altro esempio. C'è un dibattito ormai aperto in Europa ed in Occidente sul ruolo dell'Europa nella Politica di sicurezza e di difesa. Da una parte ci sono i cittadini europei che - specialmente dopo il mutato scenario internazionale con l'11 settembre e di fronte alla perdurante minaccia terroristica - chiedono all'Europa di diventare protagonista nella sicurezza interna ed internazionale. Dall'altra parte ci sono gli Stati Uniti che mettono in atto alleanze e strumenti per ridimensionare non solo i desideri dei cittadini, ma le decisioni che l'Unione Europea ha già preso e che si avviano ormai a diventare operative. Mi riferisco alla forza di reazione rapida europea, che dovrà diventare operativa a partire dal prossimo gennaio, e alle contestuali pressioni in seno alla Nato, che proprio in questa settimana hanno come scenario la capitale ceca Praga, per un'analoga forza militare promossa dagli Stati Uniti
Ufficialmente il governo italiano è per il consolidamento della Pesd-Pesc a fianco della confermata amicizia con gli Stati Uniti. Una posizione condivisibile.
Cosa fa la finanziaria? Nel settore della Difesa introduce un blocco unilaterale della spesa, che si traduce anche in blocco delle assunzioni. In questo modo diventa difficile comprendere come il governo intenda assolvere all'impegno assunto dal ministro della Difesa di anticipare la riforma della leva e l'abolizione dell'obbligo al 2004 rispetto al 2007. Si tratta di un impegno assunto solo nella scorsa primavera, che non ha esclusivamente rilevanza interna, ma che è anche uno degli elementi della strutturazione della forza rapida di intervento europea
Del resto la Finanziaria ignora completamente la prospettiva europea e l'impegno nella costituzione della forza rapida d'intervento di 60 mila uomini come stabilito dall'accordo di Berlino del novembre 2000, impegno assunto dal Governo dell'Ulivo.La ignora nella sua specificità ed anche nel quadro più generale dell'impegno italiano per la pace.
Nonostante gli inviti del parlamento, sia dalla maggioranza che dall'opposizione, il governo non ha infatti provveduto nella finanziaria ad una copertura stabile delle missioni militari internazionali, all'interno delle quali - almeno all'inizio - dovrebbe essere inquadrata la forza europea di reazione rapida.
E sempre nel settore della Pesc-Pesd, cosa non fa la finanziaria? Ad esempio per il 2003 non figura un finanziamento specifico per la partecipazione al programma Eurofighter, che è rinviato all'anno successivo, contraddicendo quel che lo stesso ministro della Difesa aveva detto in occasione della polemica successiva alla rinunzia al progetto per l'A-400M. In questa sede non ci interessa solo la valutazione strategica per la Pesd, pur importante, ma anche la valutazione politica: l'allocazione delle risorse sembra contrastare con la scelta di favorire la costruzione di un modello di difesa europeo, soprattutto alla luce del fatto che invece non vengono intaccati i finanziamenti per la partecipazione al programma di sviluppo del velivolo Joint Strike Fighter, che non è un programma europeo.
Anche su questo forse un accenno nel nostro parere non risulterebbe stonato, in considerazione delle posizioni che congiuntamente abbiamo preso sulla politiche europea di sicurezza e di difesa.

Scomparso il Dipartimento Politiche comunitarie. Insomma i documenti di bilancio sono interessanti ed illuminanti sulle politiche europee del Governo. Per questo servono strumenti e tempo per l'approfondimento e la valutazione da parte dell'organo del Senato specializzato in Affari Europei.
Non è che il governo stimoli comunque in merito l'attenzione del Parlamento sull'Europa.
Certo non incentiva all'attenzione la struttura dei documenti di bilancio, dai quali è addirittura scomparso il Dipartimento delle Politiche comunitarie. Nel disegno di legge di bilancio per il 2003 non è più presente l'unità previsionale di base 12.1.1.6 figlia della nuova ampia autonomia, finanziaria ed organizzativa, della Presidenza del Consiglio, attribuita con il decreto legislativo 303 del 1999
Non si tratta di essere innamorati delle definizioni né delle poste di bilancio: importante è la sostanza, contano cioè le cifre e la loro destinazione.Tuttavia questo ci pare un elemento di ulteriore debolezza di un Dipartimento che andrebbe invece potenziato, che dovrebbe assumere competenze e ruoli che oggi sono in capo al ministero degli Affari esteri e ad altri ministeri. Noi non neghiamo l'opportunità che in questa fase dello sviluppo dell'Europa non serva uno stretto legame con la presidenza del Consiglio. Proprio per il carattere "generalista" delle politiche europee, che ho citato a proposito delle competenze della Giunta affari europei del Senato, è opportuno che l'Europa appaia anche agli occhi dei cittadini italiani come una realtà e un progetto cui si dedica direttamente la Presidenza del Consiglio. Ma per le stesse ragioni è altrettanto opportuno che questa politica sia visibile le sue componenti specifiche, nella sua evoluzione, nei suoi necessari confronti con gli altri stati membri. Questa necessità di un Dipartimento delle Politiche comunitarie è già oggi evidente a chi intende essere protagonista in Europa. Lo sarà ancora di più sia nella fase di preadesione dei nuovi membri dell'Unione Europea, sia nella prima fase dell'allargamento. Occorre avere uno strumento in grado di bilanciare i diversi tavoli della trattativa europea; bilanciamento tanto più importante quanto più si affievolerà il diritto di veto nell'Europa Unita. La predisposizione di questi strumenti, dà agli italiani anche il senso del cammino che come europei stiamo facendo.

Manette al federalismo con la scusa del Patto di stabilità. Altrimenti si finisce per agire come fa il governo con questa legge Finanziaria nella quale il riferimento esplicito unico all'Europa appare essere il "Patto di stabilità" e non nella sua dimensione positiva di stabilità economica e quindi di tranquillità monetaria, ma nella sua dimensione di vincolo, che in questa finanziaria il governo scarica direttamente e senza una effettiva concertazione federalista sulle altre articolazioni della repubblica: dai comuni alle province, dalle regioni alle autonomie scolastiche.
Invece di mettere le manette alle altre istituzioni repubblicane, lo Stato e quindi in governo dovrebbe fare piuttosto scelte coerenti con l'obiettivo che si vuole perseguire. L'obiettivo è quello di indirizzare le risorse finanziarie, sia personali che pubbliche, per una società più tranquilla per il suo futuro.
In questi giorni il ministro Tremonti è tutto contento perché l'Italia non è un sorvegliato speciale in Europa. Per la Germania la Commissione Europea ha avviato le procedure per lo sforamento del deficit pubblico. La stessa Commissione ha inviato un early warning alla Francia per la quale sono concreti i rischi di sfondamento del tetto del 3 per cento del rapporto deficit-Pil.
Non esisterebbe quindi, dice la maggioranza, un caso Italia; esistono difficoltà diffuse, come dimostra la decisione europea sul termine fissato per il raggiungimento del quasi pareggio di bilancio, spostato al 2006; e poi - dice la maggioranza - la stessa Commissione europea ha dato un giudizio non negativo della manovra del Governo italiano.

L'Italia ha frenato più dell'Europa. E così la finanziaria ripropone un ottimismo di maniera sulla crescita dell'economia italiana che è ormai smentito da tutti. È di questi giorni la diffusione delle previsioni della fondazione Free. Ricordo che la fondazione Free è guidata da Renato Brunetta, economista e deputato europeo di Forza Italia. Essa ha annunciato che nei prossimi anni il differenziale di crescita tra l'economia italiana e l'economia europea aumenterà e si assesterà stabilmente intorno ad un punto percentuale ed ha ipotizzato lo spostamento del pareggio di bilancio dopo il 2008. Si tratta di una prospettiva ancora più negativa di quelle che abbiamo sentito da altri autorevoli istituti di previsione congiunturale nelle settimane passate.
Certo c'è una difficile situazione economica, che deriva in parte dai tragici avvenimenti internazionali che tutti conoscono. Ma essa non basta a spiegare il fatto che all'inizio del 2001 la crescita del nostro paese era identica a quella media europea ed oggi registriamo invece un livello inferiore del 20 per cento; nel gennaio 2001 l'inflazione italiana era esattamente pari a quella media europea, mentre oggi siamo ben al di sopra. L'Italia evidentemente ci ha messo del suo e cioè la poca lungimiranza e le previsioni sbagliate del suo governo, in particolare del ministro Tremonti.

Torna a crescere la montagna del debito pubblico. Gli ultimi dati riportano rispettivamente la crescita del Pil allo 0,6 per cento (più probabile lo 0,4 per cento) e l'indebitamento al 2,1 per cento (più probabile al 3 per cento), con il conseguente aumento dello stok del debito pubblico al 110 per cento. Questo aumento è assai grave dal punto di vista dei contenuti europei della legge Finanziaria: l'ammontare complessivo del debito pubblico italiano è infatti uno dei parametri di Maastricht che l'Italia non ha raggiunto. Ciò nonostante l'Italia è stata tra i paesi fondatori dell'Euro. Questo succede dopo sei anni di continua, pur se lenta riduzione del debito e mentre c'era la possibilità concreta di rispettare l'obiettivo impostoci dai vincoli europei di un indebitamento/Pil nel 2002 dello 0,5 per cento, pareggio di bilancio e stock del debito pubblico al 100 per cento nel 2003.
Lo ha detto questa settimana in un'intervista al Sole 24 Ore il commissario Pedro Solbes; in assenza di correttivi al Senato, sarà necessario un secondo intervento sui conti pubblici nel prossimo anno. "Se non verrano prese misure addizionali, sarà la semplice inerzia del bilancio a far lievitare il disavanzo verso il 2,9 per cento, cioè troppo pericolosamente vicino al 3 per cento", ha detto Solbes.
E' una osservazione che riguarda strettamente i contenuti comunitari della Finanziaria e che andrebbe inserita nel nostro parere.
Io spero infatti che noi non passeremo i prossimi mesi ad appassionarci su quanti sconti ci farà l'Unione europea sullo sfondamento del deficit ed intanto avremo il terrore che tornino a misurarci il debito. Esulteremo, esulterà Tremonti, se l'Unione europea ci farà degli sconti, ma sarà come se fumare con il permesso della professoressa facesse meno male alla salute che fumare di nascosto nei corridoi.

Un'illegittima cambiale con la Banca d'Italia. Così come spero che non si ricorra a forme di finanziamento creative e in contrasto con i Trattati. Questa Finanziaria lo fa.
Desidero richiamare l'attenzione sull'articolo 62 della legge finanziaria. Questo articolo, a mio parere, contraddice esplicitamente la legislazione vigente in materia, così come integrata dal Trattato di Maastricht.
L'articolo 62 reca norme che riguardano una sostanziale anticipazione, effettuata dalla Banca d'Italia nei confronti dello Stato italiano, di somme derivanti dalla prevista non restituzione completa delle lire in circolazione al momento di entrata in vigore dell'euro, che vengono calcolate forfetariamente. Questi soldi non appartengono alla Banca centrale nazionale, ma secondo la legislazione italiana direttamente all'Erario dello Stato e matureranno nel 2012. La legge finanziaria impone alla Banca d'Italia di versare alle casse dello Stato italiano il 65 per cento di quella cifra che verrà convenuta.
Ci troviamo di fronte ad una violazione esplicita dell'articolo 101 del Trattato, che vieta la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della Banca centrale agli Stati membri, agli organismi di diritto pubblico o agli enti pubblici.
In secondo luogo, l'articolo 62 prevede che l'entità complessiva dell'anticipazione viene determinata d'intesa tra Banca d'Italia e Tesoro. Con ciò si vìola l'articolo 108 del Trattato, che prevede espressamente il principio secondo il quale le Banche centrali non possono né accettare né ricevere istruzioni o decisioni da parte dei Governi degli Stati membri nell'esercizio delle loro funzioni.
A mio avviso si tratta di una patente violazione del Trattato, che non possiamo non richiamare nel parere.

Cala il finanziamento italiano ai fondi strutturali. Non è questo metodo che dobbiamo inseguire, ma creare effettivamente sviluppo. Cosa che la Finanziaria non fa. Mi limito ovviamente alle materie di nostra competenza.
Abbiamo ad esempio, per quanto riguarda le tabelle allegate alla legge finanziaria 2003, la Tabella D, recante il rifinanziamento di norme recanti interventi di sostegno dell'economia classificati tra le spese in conto capitale, nella quale viene rifinanziato per gli anni 2003, 2004 e 2005, il Fondo di rotazione per le politiche comunitarie, istituito dalla legge n. 183 del 1987.
Le scelte del governo sono incomprensibili. Per il 2003 non ci mette quasi nulla: la disponibilità finanziaria a legislazione vigente è di 4.127.377.000 euro, nel 2003 la disponibilità passa a 4.232.500.000 euro; nel 2004 la disponibilià viene addirittura ridotta: dai 6.714.161.000 euro già stanziati ora ai 4.022.500.000 euro previsti in finanziaria, solo nel 2005 si avrà finalmente un recupero di iniziativa con oltre 10 miliardi di euro.
Ma il 2005 è lontano da oggi e pericolamente vicino alla revisione delle politiche dei fondi strutturali con l'avvenuto ad allora ingresso di nuovi paesi nell'Unione.
E' davvero incomprensibile che il governo non punti sull'acceleratore in quetso periodo per non perdere nessuna delle opportunità che oggi l'Europa offre.

Il "buco" non era… ereditario. Eppure una certa attenzione a queste dinamiche il governo l'ha dimostrata e sperimentata.
Un comunicato del ministero dell'Economia, emesso l'1 marzo scorso, all'indomani del dato Istat sullo scostamento del risultato 2001 nel rapporto indebitamento/Pil nel rispetto delle previsioni, infatti, spiega: "Lo scostamento dello 0,3 per cento relativo alla previsione dello 1,8 per cento è essenzialmente dovuto alla accelerazione delle spese di investimento in cofinanziamento UE, operata negli ultimi tre mesi del 2001, a chiusura del programma comunitario del Mezzogiorno 94-99 ed accelerazione del nuovo programma 2000-2006".
Ho riportato questo comunicato per dire sottolineare che questa è la strada da continuare se si vuole creare sviluppo, se si vuole far partecipare molti alle scelte europee.
L'ho riportato anche per por fine alla grottesca campagna sul presunto "buco" lasciato dai governi precedenti. Indicato prima nella cifra di 60 mila miliardi di lire, poi passato a 25 mila, poi dichiarato a 35 mila, poi, secondo appunto questo comunicato emesso dal Ministero dell'economia, del tutto scomparso, come era del resto risultato inesistente al vaglio dei conti pubblici della Commissione Europea.
Adesso, con il crescere dei malumori per le promesse mancate, di tanto in tanto esponenti del Governo tornano a parlarne, ma dovrebbe prima leggere i comunicati del ministero di Tremonti.

Nessuna azione in vista dell'allargamento. Anche sulle opportunità che l'allargamento offre questa finanziaria è silenziosa. Eppure si tratta di un passaggio storico cui predisporre la nostra economia, i nostri enti locali, la nostra struttura formativa (dalla scuola dell'obbligo alle università) in modo che possano partecipare ai vantaggi e limitarne i rischi.
Un investimento in questa direzione risulterebbe assai produttivo, anche in considerazione del semestre di presidenza italiano dell'Unione che precede appunto l'allargamento. Ma il governo si limita a predisporre le risorse per se stesso: viene finanziata alla Presidenza del consiglio una struttura di missione che dovrà consentire soprattutto di far fronte agli accresciuti impegni che deriveranno dal semestre di presidenza italiana, nell'ambito dei vincoli posti alle amministrazioni pubbliche. Troppo poco per un anno decisivo per l'Italia il Europa come il 2003.

21 novembre 2002

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22 novembre 2002
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