IN PARLAMENTO

Il Senato proroga i finanziamenti per le missioni militari all'estero
Rendere stabile in grande impegno
delle forze armate italiane
per la sicurezza in tutto il mondo

L'Italia dedica persone e soldi da molti anni; ora serve una legge generale, che riconosca che questo è il compito essenziale delle nostre truppe

Venerdì 3 agosto 2001, il Senato ha definitivamente convertito in legge il decreto con cui il governo ha prorogato il finanziamento delle missioni militari di pace dell’Italia nel mondo. La posizione del gruppo parlamentare di Margherita è stata illustrata in Commissione e in Aula dal senatore Tino Bedin, capogruppo in Commissione Difesa.

di Tino Bedin
capogruppo in commissione Difesa del Senato

Il decreto legge 294 del 19 luglio proroga al 31 dicembre 2001 il termine, fissato al 30 giugno 2001, per la partecipazione di militari italiani alle missioni internazionali in corso nei territori della Macedonia, dell'Albania, della ex Jugoslavia, in Kosovo, a Hebron e in Etiopia ed Eritrea. Lo stesso articolo proroga fino al 31 dicembre 2001 la partecipazione del personale della polizia di Stato alle operazioni in Macedonia e Kosovo.
La proroga riguarda, tra le altre, le missioni internazionali SFOR e MSU (missione in Bosnia e Croazia), IPTF (missione nella città di Brcko), KFOR-Joint Guardian (Kosovo - Macedonia e Albania), TIPH2 (missione a Hebron) e UNMEE (missione in Etiopia ed Eritrea).

È un impegno notevole di uomini e di risorse finanziarie che l’Italia conferma. Come riassume l'articolo 4, che definisce la copertura finanziaria delle spese derivanti dal provvedimento, l’Italia impegna in questa proroga complessivamente 554 miliardi e 307 milioni di lire.
Ma proprio le caratteristiche delle missioni cui il provvedimento si riferisce e la "missione" più generale che è affidata alle nostre Forze Armate richiedono ormai sollecitamente la presentazione e l’approvazione di una normativa organica in materia di partecipazione italiana a missioni internazionali di pace.

La dimensione europea
Il decreto-legge rappresenta una sorta di indice della presenza italiana sul fronte della collaborazione e della cooperazione internazionale, per il mantenimento della pace. Le missioni delle quali si chiede la proroga nascono da uno sforzo di solidarietà internazionale che si è rafforzato negli anni sul piano operativo, ma anche in un quadro istituzionale, prevalentemente a livello europeo, sempre meglio definito.
Dalle deliberazioni del Consiglio europeo di Helsinki (novembre 1999) in materia di difesa e sicurezza europea comune, attraverso quelle del Consiglio di Santa Maria di Feira (giugno 2000, che tra l'altro ha portato allo sviluppo di un versante della gestione civile delle crisi) e del Consiglio europeo di Nizza (dicembre 2000), si è arrivati al Consiglio europeo di Goteborg, nel giugno scorso, con l'approvazione del programma dell'Unione europea per la prevenzione dei conflitti violenti.
Ed anche quest’ultima è stata solo un’altra tappa. Il prossimo Consiglio europeo di Laeken (che si terrà il 14 e il 15 dicembre) dovrà precisare e dichiarare il ruolo dell'Unione europea nella gestione delle crisi. E’ un impegno ormai deciso, tanto che la Presidenza belga dell’Unione ha incluso tra le priorità del suo semestre l'elaborazione di un'identità europea in materia di sicurezza e difesa in collaborazione con l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Xavier Solana.
Anche in vista di questo appuntamento europeo, il governo italiano dovrebbe impegnarsi a studiare e a far approvare una disciplina applicabile in via generale alle missioni di contingenti militari all'estero: l’Italia potrebbe così arrivare al Consiglio Europeo di Laeken con una proposta operativa utile anche per altri stati dell’Unione, contribuendo così a far avanzare il contesto istituzionale entro cui prevenire e affrontare la gestione delle crisi che le varie situazioni possono sempre porre all'attenzione della comunità internazionale.

La dimensione bilaterale
Il decreto non si colloca però solo sul fronte della risposta alle situazioni di crisi violenta nello scacchiere mondiale. Uno dei contenuti di in questo decreto-legge riguarda la copertura finanziaria per i programmi delle forze di polizia in Albania. Anche per questo aspetto la scelta compiuta dall’Italia negli anni scorsi e che oggi viene confermata, rientra a pieno titolo nella riflessione più generale che l’Unione Europa sta svolgendo. L’attuale Presidenza belga ha infatti assicurato che intende porre l’accento sull’aspetto della polizia, la formazione professionale del personale, il rafforzamento dello Stato di diritto e della protezione civile.
Le nostre forze di polizia, l'Arma dei carabinieri, la Guardia di finanza, la Polizia di Stato da circa tre anni sono schierate in Albania. L'Albania però non è ancora uscita dall'emergenza: il Governo albanese non ha il controllo di tutto il suo territorio; in Albania la corruzione è ancora presente in modo massiccio. Questo rappresenta un grave problema per l'Italia. Le nostre forze di polizia, anche se non hanno fatto tutto quello che avrebbero voluto, hanno fatto comunque molto, specialmente la Guardia di finanza che con equipaggi misti sulle motovedette controlla la costa albanese. I risultati sono abbastanza evidenti. In particolare il traffico di clandestini è diminuito e l’origine di questi traffici è sempre meno in Albania ma piuttosto in Montenegro o in altre parti dei Balcani. Bisogna dunque insistere con le forze di polizia anche per ragioni interne italiane.
Anche in questo caso, attraverso l'articolo 2, il decreto ribadisce scelte fatte dai governi dell’Ulivo. Esso stanzia poco meno di 15 miliardi di lire per garantire il completamento dei programmi di ristrutturazione delle forze di polizia albanesi fino al 31 dicembre 2001. Anche prima di dare attuazione al sesto protocollo di intesa tra Italia e Albania sottoscritto il 13 febbraio 2001. Questi stanziamenti serviranno a completare i programmi di consulenza e di addestramento della polizia albanese "al fine di conferire maggiore sistematicità alla cooperazione nella lotta contro la criminalità organizzata e nel contrasto dei flussi migratori clandestini e di altri traffici illeciti". La componente navale della Guardia di finanza (53 unità) continuerà ad essere impegnata, anche nel secondo semestre del 2001, nei servizi di controllo delle coste albanesi per il contenimento ed il contrasto dei flussi migratori clandestini.
Certo secondaria dal punto di vista finanziario, mi sembra socialmente interessante la norma che autorizza le pubbliche amministrazioni a cedere a titolo gratuito alle autorità governative albanesi i mezzi dismessi dal patrimonio dello Stato, eventuali materiali di consumo non altrimenti utilizzabili e il relativo supporto logistico, al fine di favorire il processo di ricostruzione sociale ed economica dell'Albania.

La dimensione nazionale
Questo aspetto bilaterale richiama lo stretto legame che esiste fra la partecipazione internazionale delle nostre Forze Armate e l’evoluzione del quadro nazionale.
Sono passati almeno 20 anni della prima missione internazionale strutturata delle nostre forze armate, approvata dal Parlamento. Da allora non è mai mancata la corsa frenetica del Parlamento alla ricerca della copertura finanziaria per missioni quasi sempre già in corso. Anche il voto d’agosto di quest’anno rientra in questa corsa a tappe. Ma rispetto al allora le missioni internazionali di pace sono il compito primario operativo per le nostre Forze armate e non rappresentano più, come vent'anni fa, un evento eccezionale.
La scelta che mi pare unanimemente condivisa di dotare l’ordinamento italiano di una norma generale sulle missioni militari internazionale, non solo eviterebbe il ricorso a procedure d’urgenza, ma soprattutto darebbe un riferimento alla processo di organizzazione delle forze armate.
Questa orientamento costituirebbe infine anche il riconoscimento del ruolo che i nostri militari in missioni di pace svolgono a nome nostro. A ciascun militare italiano desidero esprimere il nostro apprezzamento per il loro operato, per il rischio che accettano di correre, per lo stile che mettono nel loro servizio.
Sono infatti le persone che costituiscono i nostri contingenti militari internazionali al centro di questo decreto-legge. In ordine al regime giuridico ed economico da applicare al personale impegnato in ciascuna missione, il decreto conferma la vigenza delle disposizioni dettate dai precedenti provvedimenti in materia di missioni militari e prevedono, tra l'altro, la corresponsione dell'indennità di missione, nella misura del 90 per cento, per tutta la durata della missione medesima.
Riferita alla loro situazione è la critica che riteniamo di fare al governo: riguarda i tempi della decisione di presentare il decreto di proroga: tempi troppo lunghi, che rischiano di creare problemi per la copertura assicurativa del personale.
La maggior parte di queste persone è impegnata nella KFOR, che rappresenta lo sforzo più notevole condotto dalle Forze armate: si tratta di 5.083 unità dell'esercito, 250 unità circa della marina, 500 unità dell'aeronautica, 120 unità dell'arma dei carabinieri e 6 unità del corpo della Guardia di finanza.
L'apporto di truppe italiane all'operazione SFOR, di stanza in Bosnia e Croazia, è costituito complessivamente da 1.326 militari, dei quali 37 ufficiali generali e superiori, 517 ufficiali inferiori e sottufficiali e 772 militari di truppa; di questi, 1.286 sono impiegati in Bosnia, mentre 40 sono dislocati in Croazia.
Per quanto riguarda, infine, l'Etiopia e l'Eritrea, il contingente italiano risulta composto da 117 unità dell'aeronautica militare e da 40 unità dell'Arma dei carabinieri.
L’apporto alle forze di polizia è notevole. Per quanto riguarda la MSU, il contingente dell'Arma dei carabinieri presente nei territori bosniaci è costituito da 344 unità, delle quali 28 ufficiali, 78 ispettori e 238 tra appuntati e carabinieri. Un ulteriore contingente di 269 unità, di cui 14 ufficiali, 85 ispettori e 170 tra appuntati e carabinieri partecipa all'operazione MSU/KFOR a Pristina nel Kosovo. Circa la forza di polizia internazionale (IPTF), la presenza di personale italiano ammonta a 23 carabinieri, di cui 3 ufficiali, 10 ispettori e 10 tra appuntati e carabinieri. Nella zona di Hebron, con la TIPH 2, il contingente italiano è pari a 18 unità dell'Arma dei carabinieri, di cui 5 ufficiali, 11 ispettori e 2 tra appuntati e carabinieri.
La "stabilizzazione" dell’attività internazionale delle nostre Forze Armate rende urgente un tema che non riguarda solo il personale militare ma che probabilmente nelle Forze Armate assume la dimensione maggiore: quello della possibilità di partecipare alle elezioni nazionali anche quando si è in missione. Una normale attività di lavoro non deve diventare motivo di esclusione da un diritto fondamentale. Governo debba dare una risposta anche su questo problema.

Voto favorevole
Il voto del gruppo della Margherita è dunque positivo. Ci rendiamo conto che il nuovo governo non era in grado di assumere in queste settimane una proposta definitiva ed ha ritenuto prudente riprodurre il contenuto di precedenti decreti-legge emanati dai governi dell’Ulivo. Poteva farlo con maggiore tempestività: ribadisco infatti come elemento negativo il fatto che una decisione scontata sia stata presa con ritardo, con possibili pregiudizi assicurativi per i militari impegnati all'estero.
Questo voto positivo è accompagnato dalla richiesta che già dalla prossima legge finanziaria si individui un capitolo specifico per le missioni militari all’estero, in grado di assicurare copertura ragionevole al nostro impegno per la pace e di evitare contemporaneamente che si vada a "pescare" fondi da altri capitoli dedicati alla solidarietà internazionale.

3 agosto 2001

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3 agosto 2001
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