OGGI

Dibattito sulla politica estera italiana in Senato
Con la concessione dello spazio aereo
e della basi agli aerei americani
il governo ha già arruolato l'Italia

La cooperazione allo sviluppo è sparita dall'agenda del ministro Frattini;
per l'Europa manca una assunzione di responsabilità effettivamente comunitaria

Il Senato ha dedicato l'intero pomeriggio di mercoledì 29 gennaio 2003 ad una discussione sulla politica estera italiana, dopo una introduzione del ministro degli Esteri Frattini. A nome del gruppo Margherita-L'Ulivo sono intervenuti i senatori Danieli, D'Andrea e Bedin, che hanno svolto ciascuno analisi di settori specifici della politica estera. Il senatore Bedin, di cui riportiamo l'intervento, si è soffermato in particolare sulla concessione dello spazio aereo e delle basi agli aerei Usa, sulla cooperazione allo sviluppo e sull'Europa.

di Tino Bedin

È un pianeta davvero semplice quello che il ministro degli Esteri Frattini ha descritto nella sua prima relazione al Senato. È un pianeta che non si interroga. Un pianeta dove è chiaro chi ha ragione e chi a torto; dove i ruoli sono già tutti assegnati. Questo pianeta immaginato è un mondo di successi diplomatici dell'Italia, anzi del presidente del Consiglio, che non hanno riscontro nella realtà, per la evidenza che non hanno cambiato la realtà.

Il silenzio sulla cooperazione allo sviluppo
È un mondo di intenzioni ma anche di dimenticanze. Il ministro ha citato il G8 e la presidenza italiana del G8 per la lotta al terrorismo. Eppure quella presidenza aveva dichiarato di caratterizzarsi per un'altra sfida, positiva. Su quella sfida, su quell'impegno ribadito con pubblica solennità anche a Genova, cioè sulla cooperazione internazionale, sull'Aiuto pubblico allo sviluppo Frattini non ha detto neppure una parola, come se la cooperazione non fosse parte integrante della politica estera italiana.
Questo silenzio è ancor più assordante perché viene dopo la legge finanziaria con la quale si sono fortemente ridotte le ricadute della legge giubilare sul condono del debito ai paesi più poveri, togliendo l'indicazione precisa delle scadenze nelle quali l'Italia deve condonare debiti che quei popoli non possono pagare; scadenze che erano anche una spinta per altri paesi ricchi a fare altrettanto.
Non sto cercando a tutti i costi quello che il governo non ha detto per trovare i difetti. L'irrilevanza della cooperazione internazionale nella politica estera italiana rientra in una scelta politica più generale: la sostituzione del mercato con la deterrenza come nuova risposta alla globalizzazione; è la scelta che lega molte delle parole che il ministro ha pronunciate in Senato, ma che lega soprattutto gli atti del governo e la scelta delle relazioni speciali a livello internazionale.

Il mercato non riesce a governare la globalizzazione
Il crollo delle Torri Gemelle, da cui il ministro è partito, è tragedia, ma anche illuminazione sul fallimento della scelta fatta dopo il crollo del Muro di Berlino di affidare al mercato la gestione della globalizzazione. Il mercato da solo non ci rassicura; esso aiuta a far esprimere forze individuali e collettive, ma non si autoregolamenta; il mercato non è mai in equilibrio, tende piuttosto a far crescere gli squilibri.
Questo diventa sempre più chiaro e non solo con la tragedia dell'11 settembre, ma anche con il declino dell'America Latina.
Non è ancora sufficientemente chiaro al governo italiano. Il ministro Frattini ha annunciato che la prossima Presidenza italiana dell'Unione europea intende caratterizzarsi nella politica euromediterranea con il rilancio di quello che è conosciuto come "Processo di Barcellona", un percorso stabilito a metà degli anni Novanta per la collaborazione fra le due sponde del Mediterraneo. È un guardare più indietro. Limitarsi a rilanciare l'area di libero scambio nel Mediterraneo (che è l'approdo finale del processo di Barcellona) significa infatti continuare a dare la preminenza a quella "risposta di mercato" che sembrava vincente negli anni Novanta, ma che l'11 settembre ha reso vecchia, addirittura rischiosa.
Oggi la cooperazione euromediterranea ha bisogno di strumenti che indichino chiaramente che l'Europa ha scelto una strada diversa, anzi diametralmente opposta a quella dello "scontro di civiltà" che una parte della amministrazione americana ritiene tra i compiti di questa generazione di occidentali.

La guerra preventiva è una deterrenza senza limiti
Certo lo "scontro di civiltà" non è la politica americana. Questa è invece caratterizzata dalla convinzione che la nuova risposta alla globalizzazione (ai suoi rischi, ai suoi squilibri) sia nella deterrenza. Questa convinzione - come ho già notato - si legge anche nella relazione che il ministro Frattini ha svolto al Senato: non è scritta, ma la descrizione delle scelte compiute ed i percorsi indicati per il futuro entrano appunto in questa nuova logica, nella quale la cooperazione allo sviluppo non è strategica: è solo compassionevole, in occasione di crisi, oppure è "medicamentosa", cioè serve a lenire le ferite che la deterrenza può causare. E Frattini infatti ha citato solo Afghanistan e Palestina tra i paesi in cui c'è una presenza italiana non solo militare.
La deterrenza infatti per funzionare ha bisogno anche di diventare a volte azione di guerra, altrimenti non convince.
Ecco uno dei problemi che oggi il pianeta ha; ecco una domanda difficile a cui non possiamo sottrarci, sulla quale avremmo preferito il pensiero del governo, magari ancora incerto e non definitivo: non per contrastarlo, ma perché abbiamo bisogno di confrontarci fra noi se vogliamo che la posizione comune in politica estera non sia una invocazione ma un patrimonio che caratterizza la nostra comunità nazionale, anzi contribuisce a costruirci come comunità
Su questo, sulla scelta della guerra preventiva come uno degli strumenti della deterrenza e quindi del governo della globalizzazione, il ministro Frattini non ha detto una parola. Significa che non è già più un problema per il governo e per la maggioranza?
C'è effettivamente rassegnazione nella descrizione che il ministro ha fatta del futuro.
Noi invece non consideriamo la partita della pace già definitivamente persa. I vescovi italiani hanno ieri ricordato che "l'autorizzazione dell'Onu è uno degli elementi che compongono uno scenario di plausibilità, ma non l'unico, perché se resta la dimensione preventiva (cioè se non c'è una aggressione alla pace e alle speranze dei popoli) non è la semplice autorizzazione dell'Onu a rendere giusta una guerra". E il segretario della Conferenza episcopale italiana mons. Giuseppe Betori ha aggiunto: "Il concetto di prevenzione è inaccettabile in se stesso perché la prevenzione non ha limite e la minaccia deve essere attuale e non futura".
Noi consideriamo che il ruolo che la comunità internazionale affida alle Nazioni Unite non sia quella di preparare la guerra, ma di preparare la pace. La risoluzione 1441 non determina l'uso della forza. Prevede le ispezioni. Non prevede la deterrenza.

La scelta politica di concedere l'uso delle basi
Che Per questo poniamo al governo, ma anche a noi stessi, domande sulla nostra partecipazione alla deterrenza attraverso l'uso dello spazio aereo e l'uso delle basi militari da parte degli aerei americani.
Non è solo una questione tecnica, non è solo una questione diplomatica quella dei sorvoli del territorio italiano o dell'uso delle basi. Attraverso la pronta risposta del governo gli Stati Uniti hanno preso atto della disponibilità del governo italiano ad arruolare l'Italia nella deterrenza, a prescindere dalla volontà del parlamento e del paese. C'è una dunque una componente politica nella scelta che non può essere soddisfatta con la pura informazione del parlamento.
Il governo ha fatto di tutto per minimizzare la natura degli impegni chiesti dagli americani: solo diritti di sorvolo e uso delle basi, è stato detto; solo rifornimenti nelle basi di Aviano e di Sigonella, è stato precisato.
Anche la comunicazione fatta ai soli presidenti delle Commissioni Difesa e non ai presidenti delle Commissioni Esteri di Camera e Senato punta a dare un profilo apparentemente basso alla questione; si vuole segnalare che non sta succedendo niente di così politicamente rilevante, tale da richiedere una valutazione della nostra posizione nei confronti degli Stati Uniti.
In Senato il ministro Frattini ci rassicura che se dovesse cambiare il quadro, il parlamento sarà destinatario non solo di un'informazione: al parlamento verrà richiesto un voto.
L'opzione della guerra è dunque possibile. Ecco la rassegnazione del governo. Formalmente il ministro fa una promessa di coinvolgimento del parlamento; di fatto annuncia che è possibile un ingaggio diverso dell'Italia, sulla base della "lista di arruolamento" che l'amministrazione americana ha già reso pubblica e che a Davos il segretario di Stato Colin Powell ha confermato, pur facendo solo numeri e non nomi.
Dunque il governo ha già scelto: l'opzione della guerra è tra quelle possibili. Per questo avrebbe dovuto venire in parlamento prima della concessione delle basi e dello spazio aereo agli Stati Uniti.
Perché delle due l'una: o c'era solo da applicare accordi internazionali (ed allora che senso ha ricorrere a lettere spedite il venerdì sera a presidenti di commissione?); oppure si vuole poi poter dire che la concessione dello spazio aereo e dell'uso delle basi è stata comunicata al parlamento. Cosa che puntualmente il presidente del Consiglio ha fatto proprio oggi, appunto collegando la concessione alla richieste americane con l'informazione al Parlamento.

Ma sappiamo dove comincia la guerra?
Con questa inconsueta procedura di segnalazione al parlamento, il governo intende evidentemente parare la critica su un punto essenziale e per questo preoccupante: quale è l'atto che farà superare il confine tra i due momenti che il ministro ha indicato come discrimine tra l'informazione e il voto del Parlamento? quando comincia la guerra?
Se per una scelta unilaterale - sempre ribadita dagli Stati Uniti e dal Regno Unito come una delle opzioni possibili - le basi italiane possono servire per aumentare i bombardamenti nella zona di non volo dell'Iraq, di fatto predisponendo sul terreno condizioni favorevoli ad una successiva invasione, come chiameremo quell'azione? Continuazione dell'attività seguente alla prima guerra del Golfo? Deterrenza per la situazione attuale? Inizio della seconda guerra del Golfo?
Se di fronte ad un "casus belli" improvviso la reazione americana fosse immediata e solitaria, salvo poi magari chiedere l'ombrello dell'Onu a posteriori, come chiameremo quella azione: legittima difesa, applicazione dell'articolo 5 del Trattato dell'Atlantico del Nord? Guerra preventiva?

Intanto l'Alleanza Atlantica fa aspettare gli Usa
Quello che è singolare è che mentre l'Italia non interloquisce con gli Stati Uniti, proprio l'Alleanza Atlantica oggi a Bruxelles ha di nuovo rinviato ogni decisione sulla richiesta statunitense di assistenza e supporto in un'eventuale operazione militare contro l'Iraq.
Anche l'Italia, come la Nato, avrebbe potuto interloquire. La comunicazione di utilizzo di accordi comporta infatti anche l'accettazione da parte del Paese membro dell'Alleanza o dell'accordo bilaterale.
Il Governo italiano, presieduto da Craxi e con Andreotti agli Esteri, si è opposto ad esempio al sorvolo da parte di unità aeree americane quando gli Stati Uniti chiesero l'autorizzazione per condurre un'azione di guerra contro la Libia per ritorsione verso le azioni di terrorismo. Il Governo italiano ritenne politicamente non conveniente concedere l'autorizzazione per una questione di opportunità. Questo comportò la necessità di due rifornimenti suppletivi in volo ai bombardieri americani. Il Regno Unito concesse la disponibilità delle proprie basi ed infatti di lì partirono i bombardieri, i quali circumnavigarono l'Europa ed entrarono nel Mediterraneo dallo spazio aereo di Gibilterra.
Ricordo il precedente, sia perché può servire in eventuali prossime occasioni, sia perché voglio ribadire la posizione di attesa dell'Alleanza Atlantica nei confronti delle richieste americane.

L'Europa carolingia: le scelte dell'Ulivo, le scelte della Destra
Anche questa posizione Nato è in contraddizione con quel mondo senza domande e senza dubbi che il ministro Frattini ha descritto; c'è anche in questo caso almeno uno scenario aggiuntivo, più problematico di quelli che il ministro ha rappresentato.
È un'altra delle questioni sulle quali avremmo volentieri ascoltato il ministro. Il rafforzamento della collaborazione tra Francia e Germania meriterebbe che il nostro governo dicesse almeno una parola; anche in questo caso non per dividerci a priori, ma per confrontarci.
L'iniziativa franco-tedesca, in quanto rappresentativa di una opinione prevalente nei parlamenti e nelle opinioni pubbliche europee, fa emergere con chiarezza l'esistenza di interessi e volontà che postulano una politica estera europea in tempi brevi, con o senza il Regno Unito, che non può non influire sui risultati della Convenzione europea. Nel futuro Trattato costituzionale dell'Unione deve essere espressa la saggezza europea, e non solo europea, giustamente contrapposta da Romano Prodi a espressioni del ministro della Difesa americano Rumsfeld, che ricordano frasi sprezzanti del passato remoto.
Ma la rafforzata alleanza franco-tedesca propone anche per un'altra questione: l'Europa carolingia che potrebbe rinascere su una materia chiave quale è la sicurezza.
È la stessa Europa carolingia che nel 1996 stava per affermarsi con l'euro "piccolo". Il parlamento di allora, il governo di allora scelsero di stare dalla parte dell'Europa, non cercarono altrove l'ancoraggio. L'Italia di allora vinse la sua sfida; fece vincere l'Europa che oggi con la moneta unica è più salda, più forte, più rassicurante per coloro che vi abitano e per milioni di persone sul pianeta.
Non è la stessa scelta che sta facendo il governo. Le parole del ministro sono rassicuranti, ma i fatti contemporanei sono opposti. In Senato il governo dice che sta lavorando con gli altri cinque paesi fondatori della Comunità europea per rafforzare l'Unione. Contemporaneamente il presidente del Consiglio firma un documento con altri sette capi di governo e sceglie Bush invece che la coesione europea.

La cooperazione, non la paura, farà sicuri gli europei
Non mi stupisco. Lo spirito di questo governo non è comunitario, l'idea di Europa che non è di comunità. Riferendosi alla evoluzione della Politica estera e di sicurezza comune, il ministro Frattini ha proposto di introdurre nel Trattato costituzionale europeo una clausola di solidarietà, simile a quella che c'è nella Nato; ma così si immagina l'Europa semplicemente come un'alleanza, non come una entità politica che sempre più diviene uno dei luoghi in cui si esercita la sovranità dei singoli cittadini e di ciascun popolo europeo, dove si esprime una cittadinanza comune. Ed è nella comune cittadinanza la garanzia della reciproca tutela.
Noi siamo contenti che il governo pensi ad referendum confermativo della nuova Europa, più grande e con un nuovo Trattato. Ma riteniamo che i diritti dei cittadini europei non si fermino al voto. Vogliamo che possano decidere il loro destino e che in tema di sicurezza e di difesa non siano solo chiamati a contrastare le aggressioni, ma partecipano alla realizzazione di un pianeta sicuro perché si basa sulla cooperazione e non sulla reciproca paura.

29 gennaio 2003

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1 febbraio 2003
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