I rischi di codificare "l'intervento preventivo"
C'è bisogno di nuova pace, non di nuova guerra
La fedeltà alle alleanze nate dall'articolo 11 della Costituzione italiana di Tino Bedin
C'è bisogno di ritornare alla nostra Costituzione anche in tema di pace e di guerra. Ricominciamo a discutere dall'articolo 11 del nostro Patto civile: "L'Italia ripudia la guerra…". Da quell'articolo sono nate le alleanze dell'Italia: l'adesione alla Nato, la fondazione e lo sviluppo dell'Europa unita. Scritto e praticato non solo in Italia, ma dall'Europa e dalla Nato quel principio ha consentito alle democrazie occidentali di vincere la competizione globale nella seconda metà del secolo scorso. Non c'è dunque ragione per rinunciare all'articolo 11.
La minacciata guerra contro l'Iraq si presta a molte discussioni: strategiche, umanitarie, diplomatiche. La questione pregiudiziale è tuttavia tutta interna alle democrazie occidentali: possono rischiare di codificare il principio della guerra preventiva facendo venir meno il principio della dissuasione e della competizione nella pace che le ha viste vittoriose? Evitare questo rischio è la prima ragione per rifiutare la soluzione della guerra.
Sono in molti nel pianeta ad essere pronti ad applicare il nuovo principio che gli Stati Uniti e l'Occidente decidessero di abbracciare. Il presidente russo Putin non ha già detto che farà la guerra alla Georgia per prevenire gli attacchi dei ribelli ceceni? E l'India come potrebbe essere fermata se decidesse di risolvere con la guerra le questioni che ha con il Pakistan?
L'Unione Europea potrebbe già rendere operativa la propria forza militare entro quest'anno. Si tratta di una forza strutturata principalmente per interventi di interposizione e di imposizione della pace: ma quale autorità pacificatoria potrebbe avere un esercito che rappresenterebbe Stati che hanno scelto la guerra preventiva?
Sull'Iraq si può determinare quindi una rottura dell'Europa con la propria storia, ma anche con il proprio futuro. Ed è la seconda ragione per cui l'Italia deve collaborare con tutti perché questa guerra non ci sia e le ragioni che spingono alcuni a ritenerla inevitabile siano invece affrontare con gli strumenti che l'Europa conosce ed ha applicato anche a se stessa. L'equilibrio del mondo ha oggi bisogno proprio di un'Europa autorevole politicamente, forte militarmente e strutturalmente pacifica. Questo darà notevoli vantaggi agli europei innanzi tutto, ma costituirà un'opportunità per molti altri popoli, che non si sentiranno "costretti" ad andare d'accordo con un'unica superpotenza.
In queste ragioni di opposizioni alla guerra c'è dunque la riconferma della scelta di campo fatta dall'Italia e dall'Europa. Ecco perché per la guerra all'Iraq non è possibile utilizzare il ricatto "O con noi o contro di noi", o con Bush e con Saddam.
Lo studioso americano Edward Luttwack ha detto in questi giorni che se l'Italia non mandasse i propri soldati verrebbe relegata al rango di alleato di serie B. Ma che cos'è che fa un'alleanza? Europa e l'Italia sono con gli Stati Uniti, perché la forza comune è nella democrazia, nei diritti delle persone, nel ruolo delle parti sociali, nell'alternanza del potere, nella divisione dei poteri. Tutto questo non c'è nell'Iraq di Saddam Hussein ed i primi a portarne il peso sono milioni di cittadini iracheni.
L'alleanza è dunque nella comunanza di valori; è nella vita; è nel reciproco sostegno nel momento in cui quei valori sono attaccati: la disponibilità con cui l'Europa e l'Italia hanno risposto alla lotta al terrorismo dopo l'abbattimento delle Torri Gemelle è stata l'applicazione di questa alleanza.
In un'alleanza di questo tipo non si può essere di serie A o di serie B. Non crede nell'alleanza che ha fatto grande l'Occidente chi pensa di stabilire delle graduatorie, di dividere l'Europa all'insegna di chi è più amico di Bush. Credere all'alleanza è prendere atto che nella lotta al terrorismo non abbiamo ancora vinto, che l'opzione militare condivisa per l'Afghanistan non è automaticamente estendibile, che - pensando in particolare al Medio Oriente, cui l'Italia deve applicarsi più di altri - oggi c'è bisogno di molta pace, di nuova pace, non di nuova guerra.
15 settembre 2002 |