Enti locali - I centri con meno di 5mila abitanti all'attacco: rivedere le norme - In totale 30 aggregazioni Unioni a secco, Comuni in rivolta Il decreto 318/2000 ha sottratto risorse alle piccole amministrazioni estendendo gli aiuti a quelle più grandi
L'unione fa la forza. In Veneto, dal 1997 ad oggi, 97 amministrazioni hanno costituito trenta Unioni di Comuni, per una popolazione complessiva di 390mila abitanti. Rappresentano il 15% delle Unioni nazionali, sia per numero sia per popolazione interessata. Le economie di scala nella gestione delle funzioni amministrative, ma soprattutto i contributi statali erogati dalla legge 142 del 1990 sull'ordinamento delle autonomie locali, sono stati i motori principali di queste scelte, che si sono dimostrate valide ed efficienti nel garantire ai piccoli comuni, sotto i 5mila abitanti, il mantenimento del livello qualitativo dei servizi erogati, a fronte del drastico ridimensionamento dei trasferimenti statali. Fino a che, con il decreto 318 del 2000, che ha esteso l'accesso ai contributi anche ai comuni fino a 30mila abitanti, il plafond statale non è stato più sufficiente a far fronte alla crescita esponenziale delle Unioni. Ora il Governo è intervenuto e si sta elaborando un nuovo testo che torni a favorire i piccoli comuni. "Contando sul flusso, peraltro discontinuo e sempre più magro, dei fondi statali - spiega Dario Menara, direttore dell'Associazione nazionale dei comuni (Anci) Veneto - molte Unioni si sono fatte prendere la mano realizzando sedi nuove e assumendo personale. E ora sono in crisi". E' il caso dell'Unione Tartaro-Tione, cinque Comuni della Bassa Veronese che per primi si sono uniti nel 1997. I contributi attesi erano di 320mila euro l'anno per un decennio, ma sono già scesi a 210mila. Il presidente, Gianfranco Minozzi, sindaco di Trevenzuolo, ha tagliato gli stipendi della giunta per 10mila euro, per cercare di tappare le falle di bilancio. "I vantaggi dati dalla condivisione dei servizi di polizia municipale, messi comunali, servizi sociali e tributi - spiega Minozzi - sono stati annullati da errori nella gestione del personale". L'Unione, oltre a contare su dipendenti dei cinque comuni, ha assunto nuovo personale generando ulteriori costi fissi difficilmente sostenibili di fronte al calo dei contributi statali. Il malcontento dei rappresentanti delle Unioni è generalizzato, i criteri di erogazione dei contributi individuati dal dm 318 favoriscono infatti i comuni e i raggruppamenti di maggiori dimensioni. I contributi sono proporzionali al numero di abitanti e al numero di comuni coinvolti, non al numero di funzioni trasferite alle Unioni. Questo decreto ha innescato processi speculativi in tutta Italia, tanto che le Unioni sono passate dalle 16 del 2000 alle 205 del 2002: l'obiettivo non è più stato quello di condividere alcune funzioni, principalmente la polizia municipale e la manutenzione delle aree pubbliche, ma di accaparrarsi una fetta della torta. Basta quindi che un comune di 30mila abitanti istituisca un contratto di unione con un altro piccolo comune, magari per un unico servizio, poco impegnativo da gestire (come la protezione civile), perché abbia maggiori chance di ottenere i contributi rispetto ad unioni come quella dei Colli Berici, che condivide tutte le funzioni tranne l'urbanistica, ma conta solo su una manciata di abitanti. "L'istituto dell'Unione è uno strumento nato per favorire i piccoli comuni, ma il dm 318 ne ha stravolto il significato" spiega Egidio Bergamasco, presidente dell'Unione Padova Sud e del coordinamento delle Unioni venete. Il pressing dell'Anci è stato tale che il Governo ha adottato i primi criteri correttivi con la legge 116 del 2003: il limite massimo di abitanti che si conteggiano per l'accesso ai contributi è tornato a 5 mila e sarà data la priorità alle Unioni che condividono un maggior numero di funzioni. Sopra i 30mila abitanti non è previsto alcun tipo di sostegno. Il testo del decreto ministeriale che dovrà tradurre i principi sanciti dalla 116 in indicazioni concrete, dopo l'esame della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, è ora al vaglio del Consiglio di Stato. Il Veneto conta un numero molto elevato di piccoli comuni e le Unioni si preparano a far valere la loro voce anche in sede di elaborazione del nuovo Statuto regionale delle autonomie locali che sarà all'ordine del giorno dell'Assemblea dell'Anci Veneto, che si terrà a Longarone il prossimo 19 settembre. Le Unioni mirano quindi a divenire autonomie locali a tutti gli effetti, con diritto a ricevere trasferimenti e a redigere proposte di leggi regionali, come già accade per i singoli comuni.
Il bando 2003. Con la delibera regionale 1336 del 9 maggio 2003 la Regione Veneto ha stanziato 1.293.417 euro per le Unioni di Comuni. Le domande per i contributi vanno presentate entro il 10 settembre 2003. I destinatari. Possono far richiesta i comuni che hanno costituito o aderito a Unioni dal 1^ settembre 2002 al 31 agosto 2003 oppure comuni che hanno aderito in precedenza, ma che hanno attivato il trasferimento di funzioni dopo settembre 2003. La priorità. Viene data precedenza ai comuni aderenti a Unioni costituite dopo settembre 2002 e ai comuni con meno di 5mila abitanti per le Unioni costituite prima di settembre 2002. Le spese ammissibili. Viene sovvenzionato il 60% della spesa sostenuta dai Comuni per la riorganizzazione e il primo impianto delle strutture e dei servizi necessari per l'esercizio comune di funzioni o servizi.
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