Giurisprudenza - L'imparzialità deve improntare l'azione degli amministratori Il possibile conflitto d'interessi blocca la decisione del Sindaco Per il Consiglio di Stato l'astensione è obbligatoria
Un Consiglio comunale ha deliberato di approvare una variante al piano regolatore generale del Comune, e con questa variante si è modificato il tracciato di una strada. Alla delibera ha partecipato il Sindaco, nonostante la variante coinvolgesse la proprietà di alcuni suoi parenti entro il quarto grado. Alcuni cittadini, direttamente interessati al tracciato della strada, hanno fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale, e hanno chiesto l'annullamento della delibera perché il Sindaco aveva partecipato alla discussione e aveva anche votato, mentre avrebbe dovuto astenersi, sia dalla discussione sia dal voto. Il giudice amministrativo (Consiglio di Stato, IV, 26 maggio 2003, n. 2826, che ha ribadito una precedente decisione del Tar Emilia Romagna, I, 27 novembre 2001, n. 2023) ha annullato la delibera. La sentenza merita qualche riflessione. 1) La legge (articolo 78 del Testo unico degli enti locali) stabilisce che il comportamento degli amministratori degli enti locali deve essere "improntato all'imparzialità", ed essi "devono astenersi dal prendere parte alla discussione e alla votazione di delibere riguardanti interessi propri, o di loro parenti o affini sino al quarto grado". Questo obbligo di astensione "non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici", a eccezione dei casi in cui sussista una "correlazione immeditata e diretta tra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado". 2) La sentenza ha precisato che in materia urbanistica l'obbligo di astensione sorge "per il solo fatto che si possa determinare il conflitto di interessi", e ciò indipendentemente dalla realizzazione di un interesse privato e dal concreto pregiudizio arrecato alla pubblica amministrazione. Questo obbligo si basa sui principi di legalità e di imparzialità, e costituisce una regola di carattere generale, che non ammette deroghe. Tale obbligo deve quindi essere osservato anche nell'ipotesi che il voto del Sindaco non sia determinante, ed anche quando la scelta urbanistica sia in concreto la più utile per l'interesse pubblico. 3) Contro questa sentenza del Consiglio di Stato si potrebbe obiettare che in questo modo gli amministratori dei piccoli Comuni (dove i rapporti di parentela tra cittadini e amministratori sono quasi inevitabili) non potrebbero più occuparsi di pianificazione urbanistica, ma l'obiezione non sarebbe persuasiva. Infatti la regola, che ha valore di principio, è che in ogni caso si deve rispettare l'obbligo dell'astensione. Tale regola non può essere derogata o sminuita se la sua applicazione può comportare inconvenienti, che nel caso di specie appaiono superabili. Infatti, come ha precedentemente affermato la stessa giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, IV Sezione, 23 maggio 1994, n. 437), se a causa di eventuali astensioni non si riesce a raggiungere una maggioranza, il Comune ha il dovere di affidare a un terzo imparziale (commissario "ad acta" nominato dalla Regione) il compito di stabilire la nuova disciplina del territorio comunale. Le tesi che sono state espresse dal Consiglio di Stato sull'obbligo di astensione degli amministratori locali quando si deliberano atti relativi all'urbanistica possono apparire severe ma sono puntuali e degne di approvazione. La regola generale dell'obbligo di astensione quando vi è un conflitto di interessi, anche soltanto ipotetico, stabilita nell'articolo 78 del Testo unico degli enti locali, rappresenta un'applicazione concreta del principio di imparzialità previsto nell'articolo 97 della Costituzione, e deve quindi essere rigorosamente osservato.
|