A scuola me l'hanno insegnata come l'ultima "guerra per l'indipendenza" italiana, quella che ha reso possibile l'unità geografica dell'Italia. La "vittoria" del 4 novembre 1918, di cui arriva il centenario, era importante, ma contava per l'obiettivo finale non come affermazione di potenza. Contava l'unità che la mia generazione ha studiato a scuola, ma si è anche sentita raccontare da un nonno reduce o da una nonna che aveva l'aveva aspettato a casa. Abbiamo fatto in tempo a conoscere i "ragazzi del '99", quelli mandati a combattere a diciott'anni e in vecchiaia onorati con il titolo di "cavalieri di Vittorio Veneto".
E la mia generazione che cosa può ora raccontare ai propri nipoti?
Il coraggio di non dividerci tra europei. Nel corso di un dialogo durante il recente Sinodo dei Vescovi sui giovani, Papa Francesco ha interloquito così:
I giovani non hanno esperienza delle due guerre. Io ho imparato da mio nonno che ha fatto la prima, sul Piave, ho imparato tante cose dal suo racconto. Anche le canzoni un po' ironiche contro il re e la regina. Tutto questo ho imparato: i dolori, i dolori della guerra… Cosa lascia una guerra? Milioni di morte nella grande strage.
Credo che sia importante che i giovani conoscano gli effetti delle due guerre del secolo scorso: è un tesoro, negativo, ma un tesoro da trasmettere per creare coscienze.
Ma c'è anche un tesoro positivo che noi nipoti dei combattenti e dei caduti della Grande Guerra possiamo trasmettere: a differenza dei nostri nonni e dei nostri genitori la nostra generazione è la prima che ha goduto della pace ininterrotta nell'Europa occidentale. Fino ad oggi, dopo due guerre tra europei che hanno incendiato il mondo, i popoli ed i governanti del continente hanno scelto l'unità europea come condizione di pace e di prosperità.
Questa convinzione esige il coraggio di mettere da parte continuamente quanto può dividerci tra europei.
È un tesoro che ci ha proposto proprio all'inizio di questo anno centenario il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ricordate il suo messaggio di Capodanno?
Ho fiducia nella partecipazione dei giovani nati nel 1999 che voteranno per la prima volta.
Questo mi induce a condividere con voi una riflessione.
Nell'anno che si apre ricorderemo il centenario della vittoria nella Grande Guerra e la fine delle immani sofferenze provocate da quel conflitto.
In questi mesi di un secolo fa i diciottenni di allora, i ragazzi del 1899, vennero mandati in guerra nelle trincee. Molti vi morirono.
Oggi i nostri diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica.
Propongo questa riflessione perché, talvolta, corriamo il rischio di dimenticare che, a differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, viviamo nel più lungo periodo di pace del nostro Paese e dell'Europa. Non avviene lo stesso in tante parti del mondo.
Bene ha fatto, dunque, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta il 18 ottobre scorso ad aprire le celebrazioni per questo anniversario alla presenza di una nutrita rappresentanza di studenti.
La guerra non è un'immagine tv. Il ministro Elisabetta Trenta ha anche suggerito una interessante modalità di approccio al 4 Novembre: "Conoscere e conoscersi ritengo che sia ciò che più di ogni altra cosa possa consentirci di ritrovare e ricostruire quel vero senso di unità che animò il Paese durante la Grande Guerra".
Cominciare a conoscere; imparare a riconoscere la guerra per quello che è: non un'immagine televisiva, ma nomi di persone che muoiono e scappano, nomi di città straziate.
Un evento drammatico di questi giorni - ad esempio - restituisce dal vivo le immagini della Grande Guerra: sull'Altopiano di Asiago, sul Grappa, nel Bellunese, tutti luoghi della prima Guerra Mondiale, le pareti delle montagne e le radure rimaste senza alberi caduti sotto la fuori del vento riportano alle immagini di un secolo fa.
"È la prima cosa a cui ho pensato e tanti lo abbiamo fatto. Durante la guerra si era spianato tutto per far passare i soldati e gli alberi venivano tagliati anche per costruire ricoveri. Alla fine oltre ad aver devastato il patrimonio arboreo, sparì anche quello zootecnico", ha commentato il professor Marco Mondini, docente di Storia militare all'Università di Padova.
Riconoscersi nella sola dimensione della pace. Continuare a conoscersi. Significa condividere un presente e un futuro comuni, non solo personali. Significa riconoscersi nella dimensione che sola ha consentito due generazioni di pace e che tuttavia non è assicurata per sempre: la dimensione europea.
Cresce infatti il timore che i Paesi europei e gli Stati Uniti stiano dimenticando le lezioni delle due guerre mondiali. Può essere rischioso.
Il centenario della pace dopo la Grande Guerra è il tempo per chiamare alla costruzione del futuro i ragazzi e i giovani che non vogliono farsi trascinare nell'inerzia, ma con i loro coetanei di tutto il Continente vogliono costruire un destino condiviso.
Se ciò diverrà convinzione e vita dei giovani sarà davvero un modo positivo per concludere nel 2018 il centenario della Grande Guerra europea, dichiarando a noi e alle generazioni future che vogliamo continuare a camminare sulla strada della pace fino a consegnare ai giovani di oggi il mandato di arrivare al primo centenario di pace in Europa.
28 ottobre 2018