EUROPEI

Cinque anni di confronti con governo e maggioranza in Senato
L'interesse italiano è un'Europa
che integra le generazioni

L'euroscetticismo della Destra ha portato all'insignificanza, ma la Margherita ha fatto prevalere in Senato posizioni utili al futuro

di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Europa del Senato

Cinque anni fa avevano inventato per se stessi l'autodefinizione di "euro-realisti". Ai primi confronti nel nuovo Parlamento sulle politiche dell'Unione Europea i senatori della Destra tenevano a dire che erano europeisti, ma che bisognava soprattutto far camminare gli interessi italiani in Europa. È finita con l'ultima rilevante decisione europea cui la Destra italiana ha concorso: l'accordo sulle Prospettive finanziarie dell'Unione 2007-2013. L'accordo prevede un finanziamento europeo all'Italia di 28,2 miliardi di euro. Nella "finanziaria europea" 2000-2006, l'Europa trasferisce in Italia 32,7 miliardi di euro. Perdiamo dunque 4 miliardi e mezzo di euro di finanziamenti europei. Contemporaneamente il contributo italiano al bilancio comunitario è cresciuto di circa un miliardo di euro (per effetto della crescita globale del bilancio Ue).
Diamo di più e riceviamo di meno. Eppure il governo di Destra si è affrettato a dire che si è trattato di una vittoria. Certamente il faticoso compromesso finale è meno penalizzante per l'Italia dell'iniziale proposta britannica, ma alla fine di cinque anni di "euro-realismo" il governo italiano è andato esattamente nella direzione opposta a quella che baldanzosamente aveva annunciato attraverso la sua maggioranza: anche sul piano finanziario l'Italia conta meno nell'Unione.
Basta confrontare quest'ultimo risultato con quello ottenuto dall'Ulivo durante la trattativa per Agenda 2000. Basta ricordare la capacità dell'Italia, con il ministro Paolo De Castro, di realizzare nei casi in cui era stato necessario anche delle "minoranze di blocco" mettendo insieme esigenze diverse, che consentivano all'Italia di contare per quello che effettivamente era ed è. Basta riconoscere la capacità politica che Prodi ed Aznar dimostrarono nell'autunno del 1996, quando riuscirono a bloccare il disegno del "piccolo euro" tra Francia, Germania e Benelux e aprirono alla moneta unica la prospettiva di essere la vera moneta europea proprio grazie alla presenza di Italia e Spagna.

L'Europa è il primo interesse dell'Italia
La subordinazione delle posizioni europee alle posizioni atlantiche, che è stata la novità della Destra nella politica comunitaria italiana, ha avuto come risultato non un diverso, seppur discutibile, protagonismo dell'Italia, ma la sua insignificanza.
Alla vigilia della guerra in Iraq, si incontrano Bush, Blair e Aznar. L'Italia è informata a decisione presa ed è incaricata di quelle che dovevano essere - nella programmazione Usa - le "pulizie di cantiere": ci viene chiesto infatti un contingente di carabinieri.
Nel "terzetto" che viene incaricato di trattare con Iran sulla questione del nucleare ci sono Francia, Germania e Regno Unito; l'Italia non viene invitata, nonostante nella sua tradizione diplomatica abbia sempre coltivato speciali rapporti con Teheran.
Ben altra era la credibilità politica dell'Italia dell'Ulivo che nel 1997 fu incaricata di guidare la prima missione militare solamente europea, cioè senza gli americani, la missione "Alba".
La diversità di risultati, di cui ho citato solo pochi esempi, nasce da una diversità di posizioni politiche. L'Ulivo era ed è convinto che c'è una strettissima relazione fra la modernità italiana e l'Europa, ha agito ed agisce nella sicurezza che l'Europa stessa è l'interesse primario dell'Italia.
Questo interesse si realizza quanto più l'Italia è protagonista nella evoluzione europea.

Il Senato meglio del governo
La linea seguita dalla Margherita in Senato nei cinque anni di opposizione è la conferma di questa scelta strategica. Lo sforzo maggiore è stato rivolto ad evitare che le posizioni apertamente euroscettiche del governo e quelle isolazioniste della Lega avessero conferme parlamentari. Abbiamo promosso o contribuito a promuovere un insieme di posizioni, mozioni, indagini e documenti ufficiali nei quali la grande maggioranza del Senato ha nella sostanza confermato la posizione europeista dell'Italia.
È capitato così che sia stato spesso il governo a non seguire il Senato e la sua maggioranza. A proposito delle Prospettive finanziarie 2006-2013, ad esempio, la posizione unanimemente presa dalla Commissione Europa del Senato andava nella direzione di dotare l'Unione Europa di un bilancio assai più sostanzioso di quello che poi è risultato e sul quale il governo italiano non ha fatto battaglia. Il Senato aveva infatti ritenuta "congrua la proposta della Commissione Europea di mantenere il massimale delle risorse proprie dell'Unione Europea all'1,24 per cento del reddito nazionale lordo europeo, fissando il tetto per le spese all'1,14 per cento del reddito nazionale lordo europeo". Era esattamente la proposta iniziale fatta da Romano Prodi.
Importante è stato il contributo che la Margherita ha dato al miglioramento della "Legge La Pergola" sul recepimento delle normative europee nell'ordinamento italiano, continuando in questo un indirizzo che era stato avviato nella precedente legislatura dal ministro Enrico Letta.
Sia nell'ambito di questa discussione che periodicamente nella discussione delle annuali leggi comunitarie la Margherita ha particolarmente insistito nel coinvolgimento delle Regioni per quanto riguarda la trasposizione nazionale della normativa europea. Abbiamo richiesto che il Parlamento divenga l'organo di armonizzazione nazionale di questa attività federale, anche in considerazione della responsabilità nazionale che comunque la materia comporta. Il governo si è mostrato impreparato ad applicare la materia europea alla riforma costituzionale e alla stessa riforma della legge La Pergola, tanto che non è stata realizzata neppure una base dati sull'attività legislativa regionale in materie comunitarie. Il tema resta dunque aperto per la prossima legislatura.
Sia in Commissione Europa che in Commissione Difesa al Senato a nome della Margherita abbiamo fatto proposte ed emendamenti per il rafforzamento della Pesc e della Pesd, ma soprattutto per la "trasposizioni" della grande novità della sicurezza collettiva europea che ha cominciato a prendere corpo proprio in questi cinque anni e di cui pochissimo si è discusso in Italia e nel Parlamento italiano. Si tratta di un cantiere aperto, dove è possibile determinare le caratteristiche della costruzione definitiva: basta essere parte di questo cantiere, progettisti e non solo fornitori, sia pure qualificati, di personale.
Ci interessava soprattutto che l'Italia facesse proprio il documento "Un'Europa sicura in un Mondo migliore", con il quale nel 2003 il responsabile della Pesd Xavier Solana ha posto le basi della politica europea di sicurezza. Il documento europeo esprime una visione antitetica all'ultimo documento Usa "National Security Doctrine", che ha formalizzato il principio di guerra preventiva.
Una prima iniziativa formale abbiamo sollecitato: nell'ambito degli impegni internazionali delle nostre Forze Armate dare un'identità e regole di ingaggio specifiche alle missioni sotto l'egida dell'Unione Europea. In secondo luogo - sempre nell'ambito dei dibattiti sulle missioni internazionali - abbiamo chiesto - inutilmente - di realizzare anche in Italia l'insieme della capacità di sicurezza che il documento di Solana propone: questa capacità sono basate su forze militari più flessibili e più mobili, meglio coordinate e con una spesa militare razionalizzata e quindi riducibile, ma anche su un uso maggiore di risorse civili (polizia, specialisti in materia di diritto, protezione civile) per fronteggiare situazioni di crisi o di ricostruzione. Non è detto infatti che per essere un attore globale, l'Europa debba necessariamente essere una superpotenza militare.
Infine sia all'interno del Comitato di controllo su Schengen che nella Commissione straordinaria per i diritti umani la dimensione europea del fenomeno migratorio, lo stretto legame con la normativa sull'asilo e le azioni nell'ambito del partenariato euromediterraneo hanno costituito le linee portanti della nostra presenza.

L'Europa messa in coda dalla Destra
Si tratta di posizioni che delineano già una serie di iniziative sulle quali la prossima legislatura potrà incamminarsi potendo contare su un dibattito parlamentare sufficientemente coerente.
Nei cinque anni passati è stato invece il governo ad esprimere nei fatti (anche se a volte non nelle parole) una linea euroscettica.
Una conferma si ha nelle stesse procedure per la trasposizione delle normative comunitarie. Un'Ansa del 19 novembre 2001, cioè all'inizio della nuova legislatura, informava: "L'Italia ha fatto registrare notevoli progressi nel recepimento di direttive Ue sul mercato interno: al 15 ottobre scorso il deficit di trasposizione delle leggi europee nell'ordinamento italiano era infatti sceso all'1,7 per cento. L'Italia è dunque ad un passo dall'obiettivo fissato dai capi di stato e di governo dell'Ue per la primavera del 2002, ovvero una riduzione del deficit all'1,5 per cento". Era un traguardo possibile dopo cinque anni di politica europea dell'Ulivo.
Il 19 luglio 2005 "Il Sole 24 ore" informava: "L'Italia arranca sempre più nel recepimento delle direttive comunitarie sul mercato unico. Oltre a mantenere la maglia nera per il numero di procedure d'infrazione aperte (ben 152), il Paese è scivolato all'ultimo posto tra i 25 anche per il tasso di trasposizione della normativa europea in materia: sono ben 66 su 1.604 le direttive non ancora attuate, pari a un deficit di recepimento del 4,1%, che non ha eguali in Europa. Al penultimo posto è il Lussemburgo (4%), preceduto dalla Grecia (3,7%)". Visto l'andamento della legge Comunitaria all'esame del Parlamento è sicuro che questo sarà anche il risultato della legislatura.
Disattento alla "normalità" europea in Italia, il governo si è dimostrato distratto anche di fronte ai grandi avvenimenti che l'Unione ha vissuti in questi cinque anni. In nessuno dei crocevia per cui l'Europa è passata l'Italia si è fatta trovare per concordare la direzione comune e contemporaneamente scegliere il proprio ruolo.
La gestione del passaggio dalla lira all'euro è la più evidente (e concretamente sofferta dalle famiglie) dimostrazione di questa incapacità. Ma anche la grande rivoluzione pacifi

Rilanciare la riforma istituzionale
Il primo Trattato costituzionale europeo è stato frettolosamente ratificato dal Parlamento, tra una legge sulla giustizia ed una manovra finanziaria, senza solennità, senza coinvolgimento dei cittadini. La Destra si è concentrata sugli effetti speciali della firma a Roma del Trattato, tanto per far passare alla storia Berlusconi, non per sottolineare il ruolo avuto dall'Italia nella stesura di quella Costituzione. Tanto è vero che né immediatamente dopo il referendum negativo in Francia e nei Paesi Bassi sul Trattato costituzionale né più recentemente l'Italia si è assunta una qualche responsabilità che le deriva sia dall'essere tra i Paesi fondatori dell'Europa sia dalla condizione di grande paese dell'Unione: responsabilità che con determinazione e frequenza il presidente della Repubblica ha più volte invece evocata.
La revisione istituzionale resta infatti una condizione fondamentale per un'Unione più democratica, più efficace, meglio comprensibile dai suoi cittadini. Ad essa sarà necessario dedicare sia in Parlamento che nel Governo le maggiori attenzioni fin dall'inizio della prossima legislatura, prendendo magari a pretesto la firma-spettacolo di Roma per "giustificare" un'iniziativa italiana che certamente molti aspettano. Uno stretto legame con la Germania di Angela Merkel e della Grande Coalizione è essenziale per rilanciare il processo di integrazione. I nuovi stati membri hanno toccato con mano nella trattativa sul bilancio dell'Unione 2007-2013 i rischi che corrono se si sceglie l'Europa minima, invece che quella necessaria; saranno quindi disponibili a seguire un grande paese che si trova nella stessa loro condizione.
Si tratta di un'attività da concentrare tra il 2006 e il 2007, con l'obiettivo che entro il 2009, anno di scadenza sia per il Parlamento europeo sia per la Commissione, l'Europa possa contare su istituzioni rafforzate e su regole di funzionamento più efficienti.

Una cittadinanza europea fatta di diritti sociali
Contemporaneamente il nuovo Parlamento è chiamato a darsi strumenti per ascoltare i cittadini. Gli anni della Destra lasciano in eredità un'opinione pubblica dubbiosa. Non si tratta però di una situazione solo italiana, perché in un mondo in continua evoluzione, il fondamentale discorso sull'Europa come strumento per garantire la pace non basta più, soprattutto per le nuove generazioni. Bisogna dunque ascoltare i cittadini concentrandosi su alcune priorità: mantenere le loro condizioni di vita in un'economia mondializzata; fare dell'Europa un attore più forte sullo scenario internazionale migliorando la governabilità mondiale; creare un sistema politico più democratico ed efficace. Un sistema è tanto più democratico, quanto più allarga la cittadinanza reale. Per questo la ridefinizione del modello sociale europeo è non a caso oggi al centro del dibattito generale sull'Europa. Questo modello si confronta con altri modelli sia al proprio interno che nell'economia globalizzata. "L'idraulico polacco", che ha determinato il risultato del referendum sulla costituzione europea in Francia, può immettere paure e saracinesche anche nei cittadini italiani, se non si dimostra la sostenibilità del modello sociale europeo. Essa dipende dal successo di una strategia globale per la crescita e l'occupazione, da un nuovo approccio della competitività europea, dell'uso completo del potenziale dei mercati interno ed esterno. Questi obiettivi non si raggiungono con l'attuale livello di integrazione economica e politica. Lo sta dimostrando la lentezza con la quale procede l'attuazione della Strategia di Lisbona per una società della conoscenza: affidando programmi e risorse al livello nazionale non si realizza quella spinta reciproca che invece deriva dalla comunitarizzazione delle politiche. Occorre dunque dare una dimensione politica alla zona euro, assicurare un governo politico all'euro, accanto al ruolo della Banca centrale europea. L'obiettivo non è tanto quello del governo monetario, ma quello di avere le condizioni per creare un vero e proprio welfare europeo, misurato prevalentemente sulle giovani generazioni. Stiamo vivendo, come europei in Italia, una sfida simile a quella che negli anni Cinquanta del secolo scorso portò alla nascita dell'Europa. Allora l'Europa è stata lo strumento della riconciliazione tra gli Stati dopo due grandi guerre. Oggi l'Europa è il convergere di speranze da generazioni diverse, da popoli diversi che hanno davanti a sé il pianeta.

15 gennaio 2006


19 gennaio 2005
eu-080
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Tino Bedin