EUROPEI

La legge Comunitaria 2005 non colma ritardi ed infrazioni
Inadeguata all'Europa
la legislazione della Destra italiana

Sulle qualifiche professionali europee il governo rifiuta il confronto con le categorie

Il Senato ha esamitato tra martedì 22 e giovedì 24 novembre la legge Comunitaria 2005. Il senatore Tino Bedin ha svolto a nome della Margherita e dell'Ulivo la maggior parte dell'attività illustrativa ed emendativa, assieme alla senatrice Anna Donati, a nome del gruppo dei Verdi.
Riportiamo l'intervervento del senatore Bedin nella discussione generale.

intervento di Tino Bedin segretario della Commissione Europa del Senato

Ai cittadini italiani interessa la sostanza della legge comunitaria, quello che vi è contenuto, quello che vi è promesso, nel caso che si tratti di una delega affidata al governo, cioè per la maggior parte del contenuto.
A noi parlamentari interessa la sostanza, come dimostrano i nostri interventi in commissione, gli emendamenenti presentanti, le proposte che facciamo come Unione. Ci interessa però anche la forma. E non perché siamo formalisti, ma perché il mancato rispetto delle procedure impoverisce molto spesso anche la sostanza.

Triplicato il testo iniziale
La legge comunitaria è sicuramente il momento più alto della partecipazione del Parlamento alla fase discendente di formazione della normativa comunitaria; è lo strumento normale per il sistematico recepimento delle direttive in scadenza 8E, ovviamente, di quelle scadute).
Invece anno dopo anno il governo di centrodestra sta mettendo in crisi questo strumento con una lungaggine che non è imputabile certo all'opposizione, ed in certa misura non è imputabile nemmeno al Parlamento nel suo insieme, ma all'improvvisazione con cui il governo affronta questo previsto e fondamentale appuntamento annuale.
Il Consiglio dei ministri ha proposto al Parlamento un disegno di legge di 9 articoli. Sono diventati 15 quando il disegno di legge è arrivato al Senato; se consideriamo che la prima parte è sostanzialmente organizzativa e ripetitiva, ben oltre la metà del disegno di legge è stata innovata per iniziativa quasi esclusiva del governo.
Dalla Commissione Europa del Senato arriva in Aula un disegno di legge di 20 articoli; siamo a più del doppio del testo iniziale. A conclusione del percorso in Senato, solo che siano approvati gli emendamenti proposti dal governo senza quelli proposti ad esempio dall'opposizione, la Camera dei deputati si vedrà ritornare un disegno di legge di 25 articoli.
Qui al Senato la maggioranza taglia il dibattito in aula, senza nessun motivo contingenta i tempi, dopo che la Comunitaria è rimasta ferma per settimane. Probabilmente qui sarà approvata in tempi ristretti. Ma la Camera dovrà ricominciare quasi da capo. E forse anche lì il governo aggiungerà dell'altro.
Non è un modo utile di legiferare. Tutto appare casuale.

Una rincorsa infinita dall'ultimo posto
È evidente che il governo non si è dotato degli strumenti politici e tecnici per essere all'altezza della legislazione comunitaria, sia del suo recepimento, sia della sua determinazione.
Nel dossier che l'Ufficio studi del Senato ci ha messo a disposizione all'inizio della trattazione della Comunitaria nel nostro ramo del Parlamento c'è una tabella drammatica. Per lo stato di attuazione delle direttive in ciascuno stato membro l'Italia è ultima; è proprio al venticinquesimo posto, sopravanzata non solo da Danimarca e Finlandia, tradizionalmente ai primi posti, ma anche da Lituania, Polonia, Slovenia, Ungheria, Malta e via allargando, cioè da tutti gli Stati che solo di recente sono entrati nell'Unione Europea.
Inevitabilmente la legge comunitaria si trasforma in una rincorsa infinita, per tamponare i ritardi più clamorosi, per rispondere alle infrazioni ormai certificate.

Indisciplinati e multati
Questo è però tutto un lavoro che il governo avrebbe dovuto fare prima di presentare la legge comunitaria; un monitoraggio costante al quale l'Italia è vincolata da una Strategia comune decisa ancora nel 2003.
Ricordo infatti che, per quanto riguarda lo stato delle procedure di infrazione, la Commissione europea, nel recente "Secondo rapporto sull'attuazione della Strategia per il mercato interno 2003-2006", pubblicato all'inizio di quest'anno, conferma che la Strategia chiede agli Stati membri una riduzione del numero delle procedure di infrazione di almeno il 50 per cento entro il 2006. Dal documento risulta che, al 31 ottobre 2004, l'Italia rimane il paese con il maggior numero di procedure di infrazione e che la sua posizione è peggiorata dopo che è stato fissato l'obiettivo della riduzione del 50 per cento delle procedure.
Nella relazione al disegno di legge comunitaria, come previsto dall'articolo 8, comma 5, della legge 11/2005, il Governo riferisce sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato di eventuali procedure d'infrazione. Secondo la relazione, risultano in corso, alla data del 31 dicembre, 251 procedure ufficialmente aperte, di cui 175 per violazione del diritto comunitario e 76 per mancata trasposizione delle direttive. Per quanto riguarda le procedure per violazione del diritto comunitario, 82 di queste sono lettere di costituzione in mora - quindi, costituiscono il primo stadio del contenzioso comunitario -, mentre altre 85 sono relative a stadi più avanzati del contenzioso. A queste si aggiungono ulteriori otto procedure di cui all'articolo 228 del Trattato, in base al quale la Commissione europea, in caso di inesecuzione del giudicato, può adire la Corte di giustizia per chiedere l'irrogazione di sanzioni pecuniarie nei confronti dello Stato inadempiente.

Peggiora la qualità delle leggi
Non si tratta di rilievi che riguardano solo la qualità della nostra partecipazione al procedimento legislativo europeo; qualità che pure ha il suo valore non solo politico. Le inadempienze e le procedure di infrazione hanno infatti un costo diretto sull'attività della pubblica amministrazione e su quella del governo. Ad esempio costringono sia il governo che la Rappresentanza italiana a Bruxelles a concentrare la loro attenzione sulla trattativa a posteriori, invece che sulla predefinizione della legislazione europea. Se alcune direttive risultano di difficile e comunque problematica applicazione in Italia, questo è dovuto anche all'insufficiente apporto sia politico che tecnico e diplomatico dell'Italia alla loro definizione.
Non basta. La procedura improvvisata e casuale, di cui questa legge comunitaria è specchio e conferma di analoghi difetti delle comunitarie di questo governo, determina anche una qualità inferiore della legislazione nazionale di recepimento. Il disegno di legge contiene numerosi esempi di insufficiente approfondimento interno delle norme, indipendentemente dalle disposizioni europee.
Mi limito a due casi, anche per richiamare l'attenzione dei cittadini, prima che le decisioni siano prese.

Finalmente le informazioni ai risparmiatori
Con un emendamento presentato in Commissione Europa qui a Senato il governo scrive una parte delle norme sulla tutela del risparmio, in particolare quelle che riguardano le informazioni per i risparmiatori.
In questo caso la legge Comunitaria non è solo la scialuppa di salvataggio con cui sfuggire alle procedure di infrazione europee; è piuttosto - anche quest'anno e ancora con una procedura da legge-omnibus - l'impropria scialuppa con la quale il governo cerca di salvarsi dalle secche delle divisioni all'interno della maggioranza.
Più di un anno e mezzo fa, proprio qui in Senato, all'inizio dell'esame della legge Comunitaria per il 2004, a nome delle opposizioni avevo presentato un emendamento sullo stesso tema di quello ora voluto dal governo. Il tema del risparmio era dunque di attualità moltissimi mesi fa. Allora, con ingiustificata sicumera il governo e la maggioranza trovarono il modo per rifiutare il confronto, respinsero gli emendamenti, convinti di arrivare da soli alla soluzione del problema.
Il governo dunque sapeva che il tema della direttiva sulla tutela dei risparmiatori era all'ordine del giorno, ma si è ben guardato un anno dopo da introdurlo nel testo iniziale della Comunitaria. Non ha nemmeno deciso di procedere alla Camera, in modo da completare il testo prima dell'esame al Senato.
Interviene finalmente qui, con il chiaro intento di ridurre la discussione e di far approvare senza modifiche all'interno di un contenitore più vasto.

Le qualifiche professionali europee
L'altro tema sul quale richiamo l'attenzione è l'inserimento con un emendamento per l'Aula del recepimento della direttiva 2005/36/CE del Parlamento e del Consiglio sulle qualifiche professionali. La direttiva, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 30 settembre scorso rivede i meccanismi della libera circolazione dei professionisti.
Gli Stati membri hanno due anni di tempo per recepire negli ordinamenti interni le nuove norme. Il governo italiano si affretta ad inserire la direttiva tra quelle cui dare attuazione attraverso atti delegati. L'emendamento si riduce infatti all'aggiunta di un titolo ad un elenco, senza nemmeno una riga di indicazioni, senza nessun criterio per il recepimento.
Perché tanta fretta? Si tratta di un evidente spot pubblicitario interno: di fronte all'incapacità sua e della sua maggioranza di arrivare dopo cinque anni ad un qualche ammodernamento delle norme sulle professioni, il governo di Destra vuole poter sembrare il primo della classe nell'apertura del mercato europeo per le professioni.
I professionisti italiani, le loro associazioni, i loro ordini e i loro collegi, si accorgeranno subito che dietro lo spot non c'è nessuna "merce" in offerta, perché comunque il governo si prende almeno 18 mesi di tempo, ampliabili, per scrivere effettivamente la norma.
Con la procedura scelta i professionisti italiani saranno intanto costretti a confrontarsi sull'applicazione in Italia esclusivamente con l'apparato amministrativo e con il governo, non potranno contare sulla trasparente collaborazione del Parlamento, che non discute ora e mai discuterà la questione nel merito; poiché non dà indicazioni per la delega, non sarà chiamato a giudicare l'operato del governo, se non sul piano formale della rispondenza alla direttiva europea.

Incertezze per i geometri
Davvero questa direttiva sulle qualifiche professionali è materia da lasciare al solo ambito amministrativo? Davvero una direttiva di oltre un centinaio di pagine, che accorpa e modernizza le 15 direttive sinora esistenti in materia, può essere sottratta al confronto politico tra parlamento, parti interessate, consumatori?
La direttiva stabilisce norme omogenee per chi intende svolge all'interno dell'Unione Europea, in maniera temporanea o permanente, autonoma o subordinata, la professione per la quale si è formato nel Paesi di origine. Il riconoscimento dei titoli si applicherà sulla base di parametri minimi di formazione, articolati su cinque livelli in relazione alla durata della formazione per l'accesso e avverrà al "grado" equivalente nel Paese di stabilimento.
In ogni caso, il professionista potrà ottenere il riconoscimento al livello di qualifica che gli consenta di svolgere le stesse attività esercitate nello Stato di origine. Sono fatti salvi i diritti acquisita dal professionista che seguito una formazione "precedente", che non risponde più al livello di formazione prevista nello Stato di origine.
Queste norme possono - ad esempio- determinare delle situazioni di incertezza, se non già di esclusione, per alcune situazioni di geometri derivate dalla riforma del ciclo di formazione universitaria nel nostro Paese. Sarebbe necessario approfondire la questione e prevedere nella legge Comunitaria criteri per l'attuazione della direttiva.

Novità per gli Ordini e i Collegi professionali
Non è l'unico tema sul quale sono necessari un'indicazione del Parlamento ed un confronto pubblico.
L'annoso e spesso ideologico dibattito italiano sugli Ordini professionali subisce una svolta proprio con la direttiva, che per la prima volta definisce "l'autorità competente", intesa come autorità od organismo investito dagli Stati membri, abilitato in particolare a rilasciare o ricevere titoli di formazione o altri documenti o informazioni e domande, ed autorizzato ad adottare decisioni. Tale definizione non comprende solo gli Ordini e i Collegi, o solo le Associazioni, ma entrambe le organizzazioni, secondo normative proprie degli Stati membri. Questo ha come risultato che gli Ordini non vanno aboliti, ma vanno regolate per legge anche le Associazioni.
Potrei continuare. Ma bastino il tema specifico che si apre per i geometri o quello generale sugli ordini a dire il valore di questa direttiva.
Il governo con l'emendamento proposto prende dunque in giro i professionisti italiani. Nel senso che dà per risolta la loro attesa, mentre adesso c'è un meticoloso lavoro di trasposizione da compiere; un lavoro che esige confronto con i professionisti, magari riscontri con altre legislazioni nazionali.

Le Regioni lasciate senza indirizzo
Questo inconcludente, casuale, agitarsi del governo in materia di legislazione europea - di cui ho fornito solo esempi - è tanto più singolare, ed assai poco esemplare, se si considera che stiamo esaminando la prima legge Comunitaria redatta dal governo dopo la modifica della legge La Pergola, avvenuta con la legge n. 11 del 2005. Vi sono ad esempio alcune disposizioni che dovrebbero essere contenute nella legge comunitaria secondo il dettato della nuova legge La Pergola-Buttiglione che, invece, non sono inserite nel testo all'esame del Senato. Ricordo in particolare le disposizioni necessarie per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea. Ricordo anche le disposizioni che individuano i princìpi fondamentali per le regioni e le province autonome ai fini dell'attuazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente e di quelle che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e le province autonome, delegano il Governo ad adottare decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni. Si tratta di disposizioni necessarie per assicurare la massima chiarezza nel riparto costituzionalmente previsto tra ciò che è competenza dello Stato (i princìpi fondamentali) e ciò che invece rientra nella competenza delle regioni (le disposizioni di dettaglio e di adempimento) Vedremo come proseguirà il confronto. Vedremo se il governo avrà una procedura più trasparente rispetto a quella adottata in commissione e se la maggioranza si assumerà il proprio compito parlamentare e non si limiterà a fare da notaio a scelte governative, che - come nel caso del risparmio o delle professioni - tagliano fuori il Parlamento dal proprio ruolo. Vedremo. E decideremo il voto conclusivo.

Senato, Aula, 22 novembre 2005


24 novembre 2005
eu-077
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Tino Bedin