EUROPEI

Valutazioni dopo il Consiglio europeo di Gand
C'è una risposta europea
alla sfida del terrorismo

L'Unione è molto più attiva e coesa rispetto alla Guerra del Golfo o alla crisi balcanica. L'inadeguatezza dell'Italia nel ricoprire il proprio ruolo. Oltre alla "libertà duratura" bisogna costruire nel mondo la "speranza duratura"

di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli Affari europei del Senato

Il Consiglio europeo di Gand, in Belgio, ha fatto più notizia per l’esclusione dell’Italia dal pre-vertice a tre fra Regno Unito, Francia e Germania, che per i suoi contenuti, proprio in tema di politica estera e di sicurezza comune. Non è solo l’ottica giornalistica che, almeno in Italia, ha spostato l’attenzione: in effetti si è confermato il problema politico europeo che l’Italia si è trovata con la presidenza di Berlusconi e con la decisione del governo di dedicare i suoi primi "cento giorni" più ai problemi del suo presidente che ai temi della politica comunitaria. Decisioni come quella sullo stravolgimento dell’accordo italo-svizzero sulle rogatorie internazionali non possono che lasciare una scia di sospetto e di inaffidabilità.
Il "consiglio di guerra" fra tre dei quattro maggiori paesi dell’Unione Europea è stato poi commentato come la dimostrazione che l’Europa non è in grado di avere una propria politica estera e di difesa e che stanno prevalendo interessi locali e nazionali rispetto alla prospettiva di crescente integrazione comunitaria.
Questo secondo aspetto è assai più rilevante della inaffidabilità di Berlusconi e dei suoi ministri. Merita quindi attenzione da parte dei cittadini europei e da parte dei parlamenti nazionali, oltre che di quello europeo.
Il consiglio di guerra. Comincio dall’episodio del pre-vertice a tre, del "consiglio di guerra" fra i tre stati che sono più direttamente impegnati nella operazione "Libertà duratura". Il problema politico non è il loro incontro, ma proprio in fatto che l’Italia non si sia messa nelle condizioni di dover partecipare. Dico questo non per ragioni nazionalistiche né per infierire su Berlusconi (bastano ed avanzano le pagelle del governo belga). L’assenza dell’Italia, per il peso che essa ha, alimenta preoccupazioni, squilibra l’Unione verso Nord e soprattutto rischia di togliere attenzione ad un ruolo strategico urgente che l’Europa deve svolgere, e su cui ritornerò, quello della pacificazione del Mediterraneo. La responsabilità del governo italiano è di non aver costruito le condizioni perché questi elementi fossero nell’agenda della lotta al terrorismo internazionale e richiedessero quindi la nostra presenza.
Meno rilevante è invece il tema del "direttorio". L’Europa ha sempre avuto un "motore", magari non sempre lo stesso. Ne ha ancora più bisogno in questa fase di revisione della propria "costituzione" e nella realizzazione dell’ampliamento. Al Consiglio europeo di Nizza del dicembre scorso – ad esempio – erano state Italia e Germania a fare da motore quando l’ingranaggio europeo perdeva colpi.
Ciò non toglie che l’unità di azione europea sia fondamentale. Al Consiglio di Gand nessuno Stato membro ha detto di desiderare azioni separate di pochi, perché ciò non corrisponderebbe né agli interessi comuni, né agli interessi dei singoli paesi.
La "politica estera" europea. Siamo certo lontani dall’avere un’effettiva politica estera e di sicurezza comune, di cui pure abbiamo bisogno. L’Unione ha tuttavia fatto dei passi avanti in questa direzione. Basta confrontare, ad esempio, la varietà di atteggiamenti assunti dagli Stati membri all’epoca della Guerra del Golfo, dieci anni fa, con la posizione comune europea, accompagnata da una comune presenza militare, sulla Macedonia, ma anche con la coerenza dell’attuale risposta europea al terrorismo.
Certo, gli Stati Uniti hanno rivendicato il ruolo che loro compete in quest’ultima guerra, essendo stati le vittime dell’attacco iniziale di questo scontro militare. Hanno anche indicato tempi e modalità della Grande Coalizione.
In questo inevitabile scenario, tuttavia l’Europa in quanto tale e non solo come somma di singoli stati legati agli Usa dal Patto Atlantico, ha svolto e sta svolgendo un ruolo.
Il commissario europeo Chris Patten, il ministro degli esteri belga Louis Michel e l’alto rappresentante per la politica di sicurezza Javier Solana sono andati prima a Washington e quindi in Pakistan, in Iran, in Arabia Saudita, in Egitto e in Siria per partecipare alla costruzione della coalizione globale contro il terrorismo. Alla qualità e all’estensione di questa coalizione non è certamente estraneo il fatto che l’Europa in quanto tale ne sia tra i promotori.
Il Consiglio europeo straordinario del 21 settembre ha chiesto ai paesi dell’Unione europea di contribuire "ciascuno secondo i propri mezzi" alla nuova campagna globale contro il terrorismo. E così è stato: alcuni paesi hanno mobilitato o offerto le loro forze armate, mentre altri hanno fornito informazioni o messo a disposizione le loro basi aeree.
Al proprio interno l’Europa sta rapidamente potenziando la cooperazione tra forze di polizia e servizi d’informazione, anche in rapporto con gli Stati Uniti. Con una legislazione d’emergenza a livello comunitario sono state congelate attività appartenenti a persone sospette di terrorismo per più di 100 milioni di euro. La Commissione europea ha – per quanto di sua competenza - presentato proposte per una definizione comune di terrorismo, un sistema di pene applicabili in tutta l’Unione europea per i reati connessi e un mandato di cattura europeo. Sono stati immediatamente elaborati standard uniformi applicabili in tutta l’Unione per rendere i viaggi aerei più sicuri.
Tutto questo non nasce dal nulla. La rapidità e la generalità delle decisioni adottate è stata resa possibile da un quadro comunitario di integrazione nelle politiche di sicurezza e di difesa che era già sviluppato e che, non solo ai tempi della guerra del Golfo, ma neppure al momento della crisi nei Balcani non esisteva e per molte parti non era neppure programmato.
Verso la speranza duratura. Si tratta di un quadro, come ho detto, ancora incompleto, ma ormai stabile, tanto è vero che anche il Senato italiano è impegnato nell’elaborare una proposta per il controllo parlamentare delle politiche di sicurezza dell’Unione (ne discuteremo a Bruxelles il 6 e 7 novembre in un’apposita conferenza interparlamentare).
Contemporanea deve essere l’azione a livello politico. L’impegno più convinto va posto per far a varare un nuovo round di negoziati mondiali sul commercio. Gli europei hanno titolo per chiederlo e per guidarlo, avendo dalla loro le politiche seguite in preparazione dell’allargamento dell’Unione, le uniche politiche di globalizzazione democratica fino ad ora sperimentate nel mondo. La missione "Libertà duratura", nella quale siamo impegnati giustamente, sarà incompleta se non riuscirà a costruire in tutto il mondo anche una "Speranza duratura".
È il momento di progettare, ma soprattutto realizzare, una nuova fase per l’intero bacino del Mediterraneo. L’Europa vi si è impegnata da tempo, ma i risultati sinora ottenuti non sono soddisfacenti. Nello spazio euromediterraneo bisogna dare concretezza alla integrazione economica, ma anche cominciare a discutere l’instaurazione di meccanismi istituzionali per prendere decisioni in comune. Se l’Italia non sarà all’altezza di contribuire a determinare la linea politica dell’Unione Europea, questo difficilmente si realizzerà.
Contemporaneamente il processo di allargamento dell’Unione ad Est, va accompagnato con relazioni speciali con la Russia e l’Ucraina. Lo stretto legame che si è creato in queste settimane tra Russia e Stati Uniti non è sufficiente ad assicurare stabilità duratura al nostro continente. Tocca agli europei avere a cuore la loro terra: dall’Atlantico agli Urali.

21 ottobre 2001

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