Nemmeno un accenno nel Documento di programmazione
economica e finanziaria
Nel futuro dell'Italia di Tremonti
non c'è l'Europa allargata
Si tratta di un processo che avrà determinanti
conseguenze, ma per il governo Berlusconi è troppo preso dalla "danza attorno al
buco" per prestarvi attenzione. Mancano anche indicazioni sugli investimenti per il
capitale umano di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli Affari europei del Senato
Il giudizio negativo sulla compatibilità europea del
Documento di programmazione economica e finanziaria presentato dal governo Berlusconi si
fonda innanzi tutto sul firmatario del Dpef. Se il ministro Tremonti non è attendibile è
difficile che lo sia una sua proposta. Appare grave, infatti, che il ministro Tremonti, da
un lato, sia andato all'Ecofin per dichiarare che l'Italia non ha problemi e confermare la
volontà del Governo di rispettare gli impegni assunti nel quadro del patto di stabilità
e, dall'altro, continui a drammatizzare la situazione con una serie di cifre sul presunto
"buco" di bilancio: l'ultima è di 25 mila miliardi, ma era stata anche di 64
mila o di 45 mila miliardi
Non essendo attendibili le prime, è ragionevole che
nemmeno questa sia la cifra sulla quale eventualmente procedere nella valutazione del
Dpef. Questo è certamente grave per i cittadini italiani, ma è altrettanto grave a
livello europeo, in quando toglie credibilità al nostro paese: se esistono cifre per uso
interno e cifre per uso europeo, è chiaro che la sorveglianza sull'Italia è destinata ad
aumentare.
Al di là della propaganda di Tremonti in televisione, lo stesso ministro nel Dpef sparge largo ottimismo ed annuncia le condizioni del "nuovo
miracolo" economico. Contemporaneamente nei giudizi informali il governo Berlusconi
lascia intendere la volontà in autunno di rinegoziare i parametri del patto di stabilità
europea, magari cercando l'alleanza con uno o più dei grandi paesi dell'Unione. Anche in
questo caso siamo di fronte ad un comportamento che è del tutto antieuropeo: la sola
ipotesi che il patto di stabilità possa essere discussa in autunno non dovrebbe neppure
essere ventilata; è quello infatti il momento della "effettiva" entrata in
vigore dell'euro. Sarebbe sommamente imprudente, dunque, per i possibili effetti
sull'opinione pubblica e sui mercati finanziari, rimettere in discussione i parametri su
cui si fonda la moneta unita proprio in quel momento; vorrebbe dire voler procedere ad una
ulteriore svalutazione dell'euro, adottando a livello comunitario le tattiche contabili
che in Italia hanno portato al grande deficit degli anni Ottanta.
Ma anche sul piano dei contenuti il Dpef non è coerente con l'Europa.
Pur avendo lo stesso orizzonte temporale, il documento è privo di qualsiasi
riferimento al processo di allargamento dell'Europa nei prossimi anni. Si tratta di un
processo decisivo per il futuro dell'Italia in Europa, che richiede una strategia in due
direzioni.
Innanzi tutto occorre prevedere quali possono essere i vantaggi e i problemi che
deriveranno all'Italia dall'allargamento dell'Europa in modo da accrescere le opportunità
con una serie di interventi sia sulle infrastrutture sia sui cambiamenti indispensabili al
nostro sistema produttivo in tutti i settori. Ebbene, non una parola di questa che sarebbe
autentica programmazione, anzi progettazione politica c'è nel Dpef.
In secondo luogo il Documento risulta carente in merito all'impatto del processo di
allargamento sui fondi strutturali e sulle altre politiche di coesione dell'Unione,
dimenticando che il periodo di programmazione finanziaria a cui esso si riferisce sarà
probabilmente l'ultimo nel quale le regioni italiane potranno beneficiare dell'attuale
sistema di aiuti strutturali. Anche in questo caso l'assoluto silenzio è indice di una
"non compatibilità" del progetto economico del governo Berlusconi con l'Europa.
A meno che, al di là delle belle parole di Berlusconi in occasione del G8, questo
silenzio non nasconda un progetto: bloccare l'allargamento dell'Unione. È un progetto che
proprio Tremonti non ha negato all'indomani della vittoria elettorale.
Ma anche in questo scenario il silenzio non è giustificabile. Invece il Dpef è ad
esempio carente anche sotto il profilo della mancanza di riferimenti alla dimensione
europea dell'agricoltura, venendo trascurati aspetti quali l'impatto dell'allargamento su
tale settore e la tutela delle produzioni di qualità, che oltre ad interessare i
consumatori costituiscono un importante fattore di competizione per l'agricoltura
italiana.
L'assenza di una visione europea del futuro dell'Italia si ricava del resto anche dal
fatto che siano state trascurate importanti indicazioni dell'Unione, diverse da quelle
monetaristiche enfatizzate nel Dpef, come gli orientamenti comunitari in materia di
partecipazione alle società della conoscenza (quindi di investimento sul capitale umano)
e di azioni positive per le pari opportunità (indispensabili per realizzare una autentica
politica della famiglia a livello europeo). Si tratta di argomenti sui quali il Dpef fa
della normale "letteratura" (voglio dire che in questo caso almeno c'è in
paragrafo scritto), senza precisare però impegni finanziari e misure concrete.
Infine non è condivisibile l'atteggiamento acritico del Governo nei confronti delle
sollecitazioni internazionali volte a tagliare la spesa sanitaria e previdenziale. Gli
atteggiamenti di contestazione della globalizzazione che emergono nell'opinione pubblica,
come lo stato di tensione a proposito del G8, sono infatti riconducibili proprio
all'inflessibilità di talune prese di posizione degli organismi europei ed
internazionali.
19 luglio 2001
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