È un 4 Novembre speciale questo del 2018. Siamo al Centenario della fine della Grande Guerra.
L'evento è storicamente importante e giustifica sicuramente la persistenza della memoria. Furono cancellati quattro imperi (quello austro-ungarico, quello tedesco, lo zar in Russia, l'impero ottomano). Una nuova potenza si affacciò in Occidente, gli Stati Uniti, decisiva nell'esito del conflitto e più avanti nella storia contemporanea fino ai giorni nostri.
Per l'Italia è memoria del giorno del pieno raggiungimento dell'unità nazionale, che era perseguita da oltre mezzo secolo. È il giorno della riscossa dopo la rotta di Caporetto, con la resistenza sul Piave, sull'Altopiano di Asiago e sul Grappa, la vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto.
I lutti più duraturi della Vittoria. La celebrazione del 4 Novembre è nata per la Vittoria, certo, e così e continuata. Ma nel cuore delle famiglie, nella memoria collettiva delle comunità piccole e grandi rimasero i lutti di quella guerra: Trento, Trieste, la Dalmazia diventate italiane con un milione e 200 mila morti tra militari e civili.
Come sempre, è anche per loro, soprattutto per loro che le comunità si ritrovano ai monumenti ai caduti. E per tutti gli altri che hanno avuto la stessa sorte: l'evento della Grande Guerra è infatti storicamente decisivo anche per il numero dei morti.
Sedici milioni di morti sono non solo la cifra di una strage.
Sono il conto di un debito con la popolazione cui per la prima volta era stato chiesto così massicciamente di pagare le scelte degli Stati e che poi gli Stati non furono in grado di restituire onorando le promesse: ed è anche dall'incapacità di onorare quella tragica cambiale che sarebbe stata generata la seconda guerra mondiale.
Ora nessuno ce la racconta dal vivo. Le conclusioni della Grande Guerra hanno dunque avuto conseguenze permanenti nella storia europea; eppure lo storico Emilio Gentile, che è tra i maggiori studiosi di storia contemporanea, ci ha fatto notare che solo il 10 per cento degli italiani sa cos'è il 4 Novembre.
È probabile che in parte della popolazione ci siano ricordi scolastici approssimativi e avvertiti come insignificanti per il presente.
Se le comunità si ritrovano ancora al Monumento ai Caduti è tuttavia segno che la nostra comunità non ha perso la memoria.
Si poteva perdere di quell'evento? Possiamo ancora perderla?
In effetti un secolo è lungo. Non c'è più nessuno che lo racconta dal vivo; da tempo. Non ci sono più coloro che l'hanno vissuta e coloro che se la sono sentita raccontare sono sempre meno. E poi questi secondi, più che la guerra dei padri, hanno da raccontare le loro guerre, soprattutto la più devastante, la Seconda Guerra Mondiale.
Poi è difficile - nati e cresciuti in pace - celebrare una guerra, per quanto vittoriosa, per quanto essenziale nella storia del nostro popolo e nell'evoluzione dell'Europa con i suoi Stati nazionali.
È difficile non da oggi. Cinquant'anni fa, era il Sessantotto: accanto alle celebrazioni ufficiali per il mezzo secolo dal 4 Novembre 1918, ci furono molte contestazioni, non perché si volesse perdere la memoria, ma perché ci pareva - dico a noi studenti di allora - che la nostra comunità devesse parlare di pace e non di guerra. Il 4 Novembre sembrava superato dopo cinquant'anni. Infatti nel clima di quel periodo quando per lavorare di più si decise di ridurre i giorni festivi, il 4 Novembre divenne una festa mobile, cioè non più giorno festivo in sé.
Siamo però arrivati a celebrare il secolo di questa Festa nazionale.
4 novembre 2018