SICUREZZA E DIFESA

Quattro Novembre: un insieme di sofferenze che fanno
la nostra storia; per questo abbiamo bisogno di risentirle

Dopo un secolo
dentro la guerra con tutta la sua durezza

Lo strazio si è certo cicatrizzato nel cuore delle persone,
ma non può scomparire dalla vita di un popolo

di Tino Bedin

Era d'autunno, come oggi, giusto un secolo fa.

Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie

Il poeta Giuseppe Ungaretti racconta così se stesso (si era arruolato volontario come fante solo qualche mese prima) e gli altri soldati italiani. Gli alberi sono quelli della piana del fiume Isonzo, in Friuli.
In quell'autunno del 1915 l'esercito italiano era all'offensiva. All'alba del 21 ottobre era cominciata la terza battaglia dell'Isonzo. Seguirà anche la quarta battaglia dell'Isonzo. Ma come tutti gli sforzi di quei primi mesi di guerra con scarsi risultati. Quella che il 24 maggio veniva presentata come una "passeggiata a Lubiana", era già diventata una guerra di trincea.
Il bollettino di guerra è chiarissimo:
"Scarsi furono però i risultati dell'offensiva dell'autunno 1915 e in generale del primo anno di guerra; comunque non proporzionati alle nostre perdite di quei primi sette mesi: noi avemmo, infatti, 66.000 morti e 180 mila tra prigionieri ammalati e feriti. Più delle nostre furono però le perdite subite dal nemico che tra morti, ammalati e prigionieri sofferse 300.000 uomini fuori combattimento".
Nei primi mesi di guerra in quel 1915 l'Italia perse la parte migliore delle proprie forze armate: i militari più addestrati, i volontari più motivati.

Il paese più straziato. Dinanzi al monumento ai Caduti, dinanzi alle bandiere delle Associazioni combattentistiche, quest'anno mi sembra giusto tornare là dove questa celebrazione ha avuto il suo inizio.
In questo 2015, in coincidenza con il centenario della Grande Guerra, la Festa nazionale del 4 Novembre - Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate - ci riporta con tutta la sua durezza dentro la guerra.
Sintetizza ancora Giuseppe Ungaretti.

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto neppure tanto

ma nel cuore
nessuna croce manca

è il mio cuore
il paese più straziato

Dopo un secolo quello strazio si è certo cicatrizzato nel cuore delle persone, ma non può scomparire dalla vita di un popolo.

Esercizio di storia europea. Se la durezza della guerra rivive oggi, non è però per rivendicazioni o recriminazioni. Rivive per far vivere la pace.
Questo 2015 è anche un altro anniversario: sono settant'anni che l'Europa è in pace al suo interno, dopo aver patito la successiva e ancor più straziante seconda guerra mondiale.
Succede così che questo centenario lo riviviamo insieme tra europei e che i luoghi delle battaglie, i cimiteri militari, le lapidi diventino memoria europea non solo nazionale. Sempre più spesso ci si ritrova insieme rappresentanti istituzionali e rappresentanti di forze armate che un secolo fa erano su fronti opposti e che oggi da europei commemorano i propri morti e la propria storia dentro una storia più grande.
Un secolo fa la Grande Guerra ha unificato l'Italia, non solo nello spazio geografico e politico, ma soprattutto nel cuore dei propri concittadini.
Oggi questo centenario - che per alcuni europei è incominciato già nel 1914 - sta spontaneamente mostrando come nel cuore delle persone i confini in Europa siano scomparsi.
Oggi non sappiamo immaginare un'Europa in guerra. Ma nulla ci viene regalato. Nulla è scontato.
Nel 1914 nazioni che da decenni vivevano in pace e gustavano i frutti del progresso, scelsero la strada della devastazione, della frattura con la storia.
E oggi vedete cosa sta succedendo delle frontiere. Sembravano appartenere al passato. Eppure stanno tornando in Europa: intanto per fermare chi viene da fuori, ma una volta rialzate non sarà facile abbassarle.
Onorare insieme i morti di ciascuno popolo diventa così un esercizio di unità di cui l'Europa ha bisogno.

Unità anche con gli esclusi di allora. Unità è una delle parole chiave della Festa nazionale del 4 Novembre. Giornata dell'Unità nazionale è una delle sue declinazioni.
Mi piace sottolineare il gesto della regione Puglia. Proprio il 4 novembre il suo presidente Michele Emiliano era a Cima Grappa con gli studenti pugliesi e i loro insegnanti: sono venuti qui in Veneto alla ricerca della vita (e della morte) dei loro nonni e bisnonni, perché proprio sul Grappa hanno combattuto la Brigata Barletta e la Brigata Bari, lasciando alla montagna centinaia di giovani pugliesi impegnati a contrastare l'avanzata austriaca. Dalla Puglia sono venuti alla fonte di una storia che è unitaria, perché ha come protagonisti giovani e ragazze, uomini e donne, cioè il popolo italiano.
Il giornalista Aldo Cazzullo, un anno fa ha cominciato a raccontare la Grande Guerra sul Corriere con questa annotazione:
La Grande guerra non ha eroi. (…) Altre guerre, per esempio quelle napoleoniche, portano il protagonista nel nome. Il secondo conflitto mondiale è legato al ricordo dei vincitori - Roosevelt, Churchill, Stalin - e dei vinti: Mussolini e Hitler. Oggi nessuno, tranne gli storici, si ricorda di Cadorna o di Hindenburg.
Gli eroi, o meglio i protagonisti della Grande guerra, sono i nostri nonni. (…) I diari, le lettere, le cartoline restituiscono una sofferenza che oggi non riusciamo neanche a immaginare.

Un insieme di sofferenze che fanno la nostra storia. Per questo abbiamo bisogno di risentirle. Anzi, a cento anni di distanza, possiamo riascoltare la storia di tutti quelli che hanno vissuto la guerra, ricomponendo oggi l'unità nazionale con tutti, anche con quelli che allora vi furono esclusi.
Onoriamo i combattenti, tutti e prima di tutti. Hanno combattuto fra loro 65 milioni di militari di 30 paesi di tutto il mondo. I nostri erano in maggioranza contadini; la gran parte di loro non riuscirono mai a comprendere le ragioni di quella guerra. Furono però capaci di sopportare fatiche incredibili, di compiere atti di valore, di praticare la solidarietà. Moltissimi morirono, come abbiamo già detto parlando nei primi mesi di guerra. Fu una carneficina. I militari italiani morti furono 651 mila. L'aspettativa di vita media in trincea era di circa sei settimane. Ogni giorno almeno 6 mila soldati persero la vita: alla fine tutti i paesi in guerra piansero quasi 10 milioni di morti.
Onoriamo i civili. I bombardamenti, i rastrellamenti, le rappresaglie spostarono la guerra direttamente anche nelle città e nei paesi. I morti civili italiani furono 589 mila. A milioni i civili morti durante il conflitto. Ma più micidiale della guerra furono la miseria e la scarsità di medicinali: la pandemia di influenza del 1918 fece in tutto il mondo 50 milioni di morti.
Le donne sono pienamente dentro questa storia. Non solo vittime di bombardamenti. Non solo vedove. Non solo mamme vestite di nero. La Grande Guerra chiede loro di prendere posto in città e in campagna degli uomini e dei ragazzi abili per la trincea. Diventa normale quello che oggi è normale e che un secolo fa era impensabile. Donne nelle fabbriche a fare bombe e proiettili, a fresare spolette e a cucire divise; donne a guidare i tram; donne negli uffici a fare conti e a scrivere carte. E ancora donne al fronte, come le volontarie della Croce Rossa che a migliaia parteciparono ai soccorsi e all'assistenza dei soldati feriti.
Onore anche agli italiani d'Austria: soldati anche loro. Fin dal 1914 almeno 100 mila trentini e giuliani furono inviati dall'Austria a combattere prevalentemente in Galizia, il regno tra Ucraina e Polonia con capitale Leopoli. Loro si sono trovati nel 1915 come nemici a casa propria.
Soldati erano anche coloro che rifiutarono la guerra o la sentivano inutile e furono processati, condannati, imprigionati, fucilati o addirittura passati per le armi sul momento, senza processo.
Soldati erano gli internati nei campi di prigionia. Furono 600 mila, quasi esclusivamente militari di truppa. Ne morirono almeno 100 mila, la maggior parte di fame e di freddo, perché il Comando militare li considerava vigliacchi e disertori e non faceva arrivare nei campi di internamento l'assistenza che invece tutti gli altri Stati dispensavano ai loro prigionieri.

La convivenza ha una dimensione planetaria. Così ricomposto, l'inizio della nostra storia unitaria che oggi commemoriamo ci consegna due verità collettive.
L'unità nazionale oggi come ieri si alimenta soprattutto di obiettivi condivisi, si consolida se ciascuno si sente protagonista e sente di valere per quello che è. Questa è la prima.
La conquista della pace è fatica. Non si sopravvive senza la fatica. Nulla viene regalato. Questa è la seconda verità.
Oggi la fatica della convivenza ha una dimensione planetaria. A volte sembra tanto fuori della nostra misura che appare più sicuro rinchiudersi in casa. Non è così. La sicurezza sta nell'essere parte del nostro mondo.
A questa sicurezza contribuiscono in maniera decisa le nostre Forze armate.
La Festa nazionale del 4 Novembre è anche la Giornata delle Forze armate. Nel centenario della Grande Guerra è in particolare alle missioni internazionali di pace delle nostre Forze armate che è giusto dare riconoscimento. Questo impegno dimostra la capacità dei nostri militari di interpretare le aspettative e le speranze dei cittadini di cui sono espressione. Il loro lavoro è apprezzato unanimemente.
Soprattutto è l'attuazione visibile e concreta della nostra Costituzione che - scritta dopo una guerra - insegna come costruire la pace.

4 novembre 2015


13 novembre 2015
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Tino Bedin