Un secolo dopo l'entrata dell'Italia nella Grande Guerra
Il 24 maggio suona il silenzio
Non c'è "una inutile strage" da celebrare; ci restano milioni di morti da onorare: questa volta anche quelli a cui fu tolto l'onore di caduti
di Tino Bedin
All'inizio me l'hanno raccontata così, a scuola:
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
Dei primi fanti il ventiquattro maggio:
l'Esercito marciava per raggiunger la frontiera,
per far contro il nemico una barriera.
Muti passaron quella notte i fanti;
tacere bisognava e andare avanti.
S'udiva intanto dalle amate sponde
Sommesso e lieve il tripudiar de l'onde:
era un passaggio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: "Non passa lo straniero".
È la "leggenda del Piave" e interpreta l'entrata in guerra dell'Italia nel conflitto europeo, scoppiato un anno prima, appunto il 24 maggio 1915.
Più avanti negli anni, sempre a scuola, me l'hanno invece insegnata così:
VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un'intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la bocca
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d'amore
Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.
È una delle poesie di Giuseppe Ungaretti, composte finché stava al fronte a combattere con la divisa di fante, come quella dei commilitoni che avevano oltrepassato il Piave il 24 maggio. E oltre il Piave non avevano trovato sogni luminosi di gloria, non avevano vissuto il mito della vittoria, che qualche altro poeta e molti intellettuali avevano propagandato fino a creare le condizioni per l'entrata in guerra dell'Italia. I fanti avevano trovato le trincee, il freddo, la fame, la morte, le mutilazioni, la solitudine: come il fante Giuseppe Ungaretti; come i sei milioni di italiani che vi parteciparono.
In questo 24 maggio del centenario è dunque Ungaretti a farmi da maestro.
Il gesto che accompagna la pietà. Alla fine del conflitto mondiale l'Italia si troverà dalla parte dei vincitori, ma non abbiamo comunque una guerra da "celebrare" il 24 maggio. Molto opportunamente l'unico gesto corale che il governo ha proposto a istituzioni, società civile e mondo dello sport per domenica 25 maggio alle 15 è un minuto di raccoglimento: il gesto che accompagna la pietà per i morti. La morte è l'incontrastata dominatrice della Grande Guerra: solo tra gli italiani è costata 650 mila caduti militari e 600 mila vittime civili, molte delle quali causate da fame e malnutrizione o dall'influenza spagnola conseguenza delle condizioni precarie dovute alla guerra.
Alcuni italiani avevano cominciato a morire anche prima del 24 maggio 2015: erano i militari trentini di lingua italiani, arruolati nell'esercito austro-ungarico nell'estate del 2014 e inviati prevalentemente sul fronte russo, lontani da casa, per evitare "contaminazioni". Questi altri italiani entrano nel "conto generale" della guerra mondiale: una carneficina con 10 milioni di morti, milioni di feriti e mutilati, e avanti negli anni milioni di vedove e di orfani.
Ci "spiega" ancora Giuseppe Ungaretti:
SAN MARTINO SUL CARSO
Valloncello dell'albero isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore
Il paese più straziato
Nel minuto di raccoglimento è compresa anche la loro memoria, la memoria dei paesi distrutti.
I luoghi delle Istituzioni sono imbandierati. L'esposizione del Tricolore è onore al sacrificio che è stato richiesto a milioni di persone e di famiglie: non c'è nessuno spirito revanscista e in Alto Adige hanno fatto male a rifiutare un segno che è memoria per tutti. Anche perché il Tricolore viene esposto con l'Azzurro stellato dell'Europa: quella dei cimiteri di guerra di allora, quella della pace di oggi.
Una storia da completare. Ha fatto bene invece Roberto Fontanot, sindaco di Ronchi dei Legionari, ai piedi del Carso, che sabato 23 maggio ha dedicato una piazza a Francesco Giuseppe I d'Asburgo Lorena; proprio lui: l'imperatore d'Austria contro cui un secolo fa l'Italia entrò in guerra. Fontanot è un sindaco del Partito Democratico, che con questa intitolazione ha dato un segno alla continuità della vita e della storia pur nel variare dei confini: vita e storia che oggi nell'Unione Europea rimettono insieme territori e culture.
È la rivincita della pace, un secolo dopo quello che fu poi definito "il maggio radioso", manifestazioni violente sopraffecero l'opposizione neutralista italiana, presentarono l'intervento militare come "quarta guerra d'indipendenza" per liberare "le terre irredente" (come se Trentino, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia fossero qualche volta nella storia appartenute al Regno d'Italia).
Sempre questa settimana, mercoledì 21 maggio, la Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge "Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la prima Guerra mondiale", che ha come primo firmatario il deputato Pd Gian Paolo Scanu.: un'altra grande svolta culturale e politica. Con questa legge, trasmessa ora al Senato, la Repubblica italiana "riabilita" e aggiunge ai propri caduti in guerra i militari italiani condannati a morte o giustiziati sul campo durante la prima guerra mondiale. Gli archivi militari ci restituiscono i nomi di 750 militari fucilati dopo un processo e di 350 militari giustiziati direttamente dai loro superiori. Sono però molte migliaia i militari italiani uccisi dal "fuoco amico" durante i combattimenti per evitare che arretrassero. Gli ufficiali si avvalevano di un ordine di servizio del Capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Cadorna, che consentiva di andare oltre la legge.
"È sorprendente - ha osservato mons. Santo Marcianò, vescovo Ordinario militare - con quanta facilità costoro siano stati giustiziati, in molti casi senza un regolare processo e ad opera di altri militari. E che tale esecuzione fosse motivata da ragioni punitive o dimostrative non cambia la realtà: essa è stata e rimane un atto di violenza ingiustificato, gratuito, da condannare. Non c'è ragione che possa giustificare tale violenza, unita a diffamazione, vergogna, umiliazione. La mutata sensibilità comune nei confronti della guerra aiuterà a comprendere che, quale che sia la ragione che ha sostenuto la scelta di quei soldati, fosse anche la semplice paura, si tratta di un frutto amaro che, in ogni caso, la guerra ha causato. Così come è frutto amaro la scelta della violenza, anche quella punitiva o dimostrativa, che la guerra genera e moltiplica".
Il reato più diffuso tra i militari era quello di diserzione. I giovani italiani non si allontanavano dalla trincee per paura. Era piuttosto la nostalgia delle famiglia a spingerli a ritornare a casa. Molto spesso era la volontà di rendersi utili a chi era rimasto a casa. Tante volte la diserzione era la risposta all'autoritarismo degli ufficiali, che negava i permesso di partecipare ai funerali dei congiunti più stretti. I comandi militari lo sapevano così bene che ad un certo punto del conflitto arrivarono a prevedere sanzioni anche contro i familiari dei disertori, come la confisca dei loro beni.
Mariti e figli in trincea erano preoccupati per le loro mogli, per le loro mamme; temevano che non potessero farcela da sole. La Grande Guerra è stata anche una drammatica esperienza per le donne italiane: si trovarono a prendere il posto dei loro uomini non solo in famiglia, ma anche nelle comunità, in legame con i loro uomini in trincea non era solo di lettere ma anche di partecipazione attiva, di retrovia combattente ed operosa; nei luoghi più vicini al fronte, molte ragazze divennero staffette e portatrici. Molti mattoni per la costruzione dell'emancipazione femminile in Italia sono stati cotti nella fornace della Grande Guerra: non saranno utilizzati subito, ma verranno buoni al tempo della Repubblica e della democrazia.
L'inutilità della strage. Questo centenario è anche la rivincita di papa Benedetto XV: la sua definizione della guerra come "inutile strage" sembra oggi la più appropriata per riassumere quel conflitto enorme. Le cifre della strage le ho già ricordate. L'inutilità fu confermata dal permanere - dopo la sua conclusione - delle ragioni di conflitto che c'era precedentemente; anzi le condizioni imposte ai vinti aggravarono le ragioni di contrasto, tanto che una nuova terribile strage toccò alla stessa generazione che aveva patito la prima guerra mondiale.
Ungaretti ci aveva lasciato questa istantanea sui fanti:
SOLDATI
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
D'autunno
Sugli alberi
Le foglie
Non lo sapeva, il poeta, ma milioni di persone avrebbero continuato per decenni a stare "come d'autunno / sugli alberi / le foglie". Nell'intervallo fra le due grandi stragi del Novecento, erano tutti gli europei a non avere un futuro sicuro, ad aspettare di essere fatalmente portati via dall'uragano di una nuova guerra.
24 maggio 2015 |