Quest'anno il Quattro Novembre rimette al centro l'evento da cui ha tratto origine questa festività nazionale: la Grande Guerra. L'anno centenario dell'inizio di un conflitto prima europeo e poi globale riporta la memoria e la necessaria riflessione sull'inizio e l'epilogo di quella guerra, pur senza tralasciare le componenti via via divenute prevalenti nella celebrazione di quell'evento: il compimento dell'Unità nazionale e il ruolo che le Forze armate hanno svolto e svolgono in oltre 150 di storia unitaria dell'Italia.
Il pianto silenzioso dei sacrari. Riportare la guerra al centro della celebrazione di questo Quattro Novembre significa ascoltare soprattutto il pianto silenzioso dei cimiteri e dei sacrari, restituire voce alle parole di marmo dei monumenti.
La lontananza nel tempo rischia di rendere muti i ricordi.
In mezzo a noi ci sono persone che possono ancora raccontare una guerra, ma è quella successiva, ancora più devastante, ancora più micidiale. E anche a loro in questa festa nazionale rendiamo onore e riconoscenza.
Della guerra 1915-1918 restano invece gli archivi, i documenti, i musei; restano soprattutto i cimiteri, i sacrari, i monumenti: luoghi e segni di un culto civico che teniamo vivo e coltiviamo perché ci consente di rendere onore ai molti che sono morti combattendo - seicentomila furono alla fine del triennio i soldati italiani caduti - non per sé o per un'ideologia, ma servendo una patria che per la prima volta si affacciava agli occhi e alla coscienza di molti giovani e molte spose e molte mamme.
Erano giovani; non volevano morire.
Timau è un piccolo paese dell'Alta Carnia a un tiro di schioppo dal confine austriaco; zona di guerra. Lì c'è uno di questi sacrari e c'è anche un piccolo ma eloquente museo della Grande Guerra che accoglie il visitatore con la scritta lasciata sul sasso della trincea da un ignoto alpino: "Negli anni più belli, i giorni più tristi". Parole incise in uno scenario agghiacciante: giovani uomini impegnati a schivare le pallottole dei cecchini e poi mandati in furiosi corpo a corpo a schivare le baionette infilzando con la propria baionetta altri giovani uomini.
Sempre in Friuli c'è il più noto sacrario militare di Redipuglia: lì è andato a pregare il 13 settembre Papa Francesco.
E per un giorno ha restituito la parola ai caduti.
"Trovandomi qui, in questo luogo, in questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia... Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni..., ma le loro vite sono state spezzate. Perché? ....
Mentre Dio porta avanti la sua creazione, ... la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l'essere umano... La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà...
È proprio dei saggi - ha concluso Papa Francesco - riconoscere gli errori, ... chiedere perdono e piangere... Per tutti i caduti della "inutile strage", per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo".
È quello che in questo anniversario fanno molte comunità e il frequente coinvolgimento di tutte le generazioni è il segno che queste comunità intendono non perdere la memoria della guerra per non ritornare alla follia.
Costituzione ed Europa: monumenti alla pace. Il culto civico verso i caduti di tutte le guerre non ha del resto prodotto solo sacrari e monumenti.
Le pietre dei sacrari e dei monumenti di guerra che sono stati eretti in tutta la prima metà del Novecento, sono state messa a fondamenta della nostra Costituzione e a fondamenta dell'Unione Europa. Costituzione ed Europa sono state "edificate" soprattutto come presidio contro la guerra, sono due monumenti alla pace.
Tra i "principi fondamentali" su cui si è costruita e si mantiene la nostra comunità nazionale c'è l'articolo 11 della Costituzione.
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
È questo il più alto riconoscimento alle sofferenze, agli sforzi, alle tragedie e agli eroismi di quanti combatterono e spesso morirono per la loro terra e per le loro famiglie.
Da qui infatti la nostra comunità ha costruito un modo diverso del servizio alla Patria in armi, per cui oggi possiamo celebrare la Giornata delle Forze armate citando non operazioni di guerra, ma operazioni di pace: sempre rischiose anch'esse, come stanno sperimentando i due fucilieri di marina processati in India; a volte tragiche, tanto che altre lapidi sono state aggiunte negli anni della Repubblica.
Questo impegno delle nostre Forze Armate ha consentito di salvaguardare la pace vicino e lontano da noi; ha salvato vite umane, ha fronteggiato la guerra e la morte.
L'ultima grande operazione di pace delle nostre Forze armate è Mare Nostrum.
Al di là delle valutazioni politiche sull'insieme dell'iniziativa italiana, si è trattato della più grande operazione di soccorso in mare mai realizzata nel Mediterraneo, un esempio di collaborazione tra le forze armate, molto apprezzato anche in Europa, con più di 94 mila migranti, tra cui novemila minori, recuperati dalle navi della Marina Militare, con l'impiego di 920 militari al giorno.
Ora l'impegno italiano continua con il contrasto agli scafisti e con il pattugliamento delle coste, mentre l'attività di Mare Nostrum è in parte assorbita dall'operazione "Tritone" dell'agenzia europea Frontex.
Questa situazione nel Mediterraneo ha confermato la preparazione e il ruolo delle nostre Forze armate, ma ha anche confermato che l'Unione Europea va adeguata ai cambiamenti globali, va portata più vicina ai bisogni dei propri abitanti.
La convinzione è diffusa e ci auguriamo che il nuovo Parlamento e la nuova Commissione dell'Unione, da questa settimana nel pieno delle proprie competenze, impieghino i prossimi cinque anni a raggiungere questi obiettivi.
Quello che non bisogna mettere in discussione è l'integrazione, è l'unità; è la motivazione dell'Unione Europea.
Proprio il centenario della Grande Guerra può farci tutti convinti della irreversibilità dell'integrazione europea.
L'armistizio senza pacificazione. Già il modo e il tempo con cui facciamo memoria di questa guerra raccontano del resto quanto la coscienza di essere europei abbia mutato il nostro spirito; addirittura abbia cambiato la percezione della nostra storia.
A scuola abbiamo imparato che la nostra Grande Guerra è quella del Quindici-Diciotto.
"Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio", quello del 1915. Le dichiarazioni di guerra in Europa erano del 28 luglio 1914; l'Italia se n'era chiamata fuori con la dichiarazione di neutralità del 2 agosto 1914, fino alla dichiarazione di guerra del 23 maggio 1915.
La memoria del centenario però la stiamo già vivendo assieme a tutti gli altri paesi europei fin da quando la guerra è scoppiata nel continente. La partecipazione italiana è oggi vissuta come un episodio di un evento collettivo più vasto. È diventato spontaneo numerare la Grande Guerra nella sua interezza, non più 1915-1918.
In questa maniera la memoria della guerra e delle sue conseguenze non avrà effetti divisivi, ma addirittura può aiutare ad aggiungere la storia comune alle ragioni economiche e politiche dell'unità europea.
Mano a mano che da qui al 2018 ci avvicineremo al centenario dell'armistizio di Villa Giusti, questa memoria collettiva degli europei farà emergere nella coscienza contemporanea la lezione di una pace (quella appunto decisa a Villa Giusti) cui non seguì la pacificazione, tanto che nel giro di una sola generazione l'Europa - e con essa il mondo - precipitò nel secondo più terribile conflitto mondiale.
Solo le dimensioni assunte dalla ravvicinata duplicazione della strage portarono finalmente al progetto di integrazione europea che ha dato agli europei già due generazioni di pace e che sta continuando a produrre effetti di pacificazione e anche a completare percorsi storici, alcuni risalenti proprio all'epilogo della Grande Guerra. È il caso del nostro Nordest.
La pace supera la guerra. Il Quattro Novembre è anche il Giorno dell'Unità nazionale, essendo questa anche la data di riferimento per l'integrazione di Trento e Trieste nel Regno d'Italia.
Si compiva un grande progetto di unificazione territoriale: desiderio e bisogno degli italiani nel contesto degli stati-nazione. Ma il fatto che questo obiettivo fosse il risultato di una guerra ha anche rafforzato i confini in Europa e Trieste con tutto il Nordest sono diventate un'area di confine e non più di cerniera. Era una storia secolare che si chiudeva.
Oggi non è più così: il Nordest è tornato al centro di un vasto territorio europeo. L'ultimo capitolo è stato scritto un anno fa con l'ingresso della Croazia nell'Unione Europea. La pacificazione europea ha consentito anche di superare i limiti della vittoria militare nella Grande Guerra, di completarne i risultati a vantaggio di tutta l'Italia e dell'Europa.
2 novembre 2014