SICUREZZA E DIFESA
La nuova condizione delle Forze armate non è presa in considerazione
L'esercito professionale
è sconosciuto nella Finanziaria

Anche nel settore della Difesa la Destra conferma la sua cronica incapacità di governare i processi di cambiamento

La commissione Difesa del Senato ha dedicato alcune sedute all'esame della legge Finanziaria per il 2006. I gruppi di opposizione hanno presentato un documento conclusivo che boccia la manovra per quanto riguarda le Forze armate. Alcuni dei temi del documento finale sono stati anticipati nell'intervento del senatore Tino Bedin, capogruppo della Margherita in commissione. Riportiamo il testo dell'intervento rivisto e completato rispetto ai tempi concessi in commissione.

di Tino Bedin capogrupppo Margherita in commissione Difesa

Tocca alle Forze armate italiane il contrasto al terrorismo internazionale? Il ministro della Difesa e il relatore di maggioranza sulla legge Finanziaria per il 2006 non hanno dubbi sulla risposta: l'uno e l'altro hanno introdotto l'illustrazione delle cifre del bilancio della Difesa in commissione al Senato richiamando gli attentati terroristici, il carattere globale della minaccia.
Da questa premessa hanno tratto conclusioni politiche e strategiche, riassunte nell'enfasi - certamente ingiustificata e in ogni caso secondo me assolutamente non condivisibile - posta imprudentemente sia dal senatore Zorzoli sia dal ministro Martino sul nostro ruolo in Iraq e sulla nostra capacità di ostacolare il terrorismo.

Militari o forze antiterrorismo? Per il senatore Zorzoli, relatore della Finanziaria a nome della maggioranza, la minaccia del terrorismo "richiede la predisposizione di uno Strumento militare sempre più idoneo ad affrontare con successo questa sfida e a garantire efficaci risposte coordinate sia sul piano interno che su quello internazionale". Si tratta di una visione strategica delle Forze armate che non possiamo condividere perché non corrisponde né alla natura dei nostri militari, né alla loro formazione, né al mandato che il nuovo esercito professionale ha ricevuto dal Parlamento. Sul piano politico, poi, significa accettare il terrorismo come interlocutore e dare "dignità" di guerra ad azioni che puntano sull'assassinio delle popolazioni civili per ottenere risultati militari e politici. Sul piano operativo le missioni militari in Afghanistan e in Iraq stanno confermando che il terrorismo, sia indigeno sia attratto da alcuni scenari, non si contrasta con le forze armate; anzi in alcune situazioni la presenza di forze armate straniere allarga il bacino dentro il quale i terroristi possono mimetizzarsi o nascondersi.
Per il ministro della Difesa, Martino, a nome del governo, "gli attentati di New York, di Madrid e di Londra confermano il carattere globale e permanente del terrorismo: una minaccia per tutti, anche per noi italiani. Non ci sono strategie diverse per combatterlo, se non intervenire dove si presenta e dove sono le sue radici". Il governo della Destra italiana sposa dunque come "normale" la teoria della guerra preventiva di Bush, afferma il diritto di invasione di territori sovrani, sulla base della "scelta di campo fra democrazia e terrorismo". Anche in questo caso la strada indicata dal governo è al di fuori del mandato delle nostre Forze armate ed è al di fuori della nostra Costituzione.

Il governo manca i suoi obiettivi. Dopo aver affermato queste rischiose scelte politiche e strategiche, dopo aver ricordato agli italiani, che "bisogna sapere che la lotta al terrorismo - sono parole del ministro Martino - ha tempi lunghi, richiede un impegno concreto di uomini e mezzi, non si può limitare ad inutili proclami verbali, non consente di abbassare la guardia, in patria e all'estero", dopo tanto incitamento, sia la maggioranza sia il governo di centrodestra... battono in ritirata di fronte ai "nemici", che il senatore Zorzoli così individua: "una congiuntura economica internazionale non ancora favorevole" e "una politica di bilancio irrigidita dalle regole del patto di stabilità che impongono il raggiungimento del pareggio entro il 2006".
Come tutte le attuali malore dell'Italia, secondo il centrodestra, vengono "da fuori" (dal mondo, dall'Europa) anche questi "nemici" che non consentono di mettere nella legge Finanziaria tutte le risorse economiche di cui il settore della Difesa ha certo bisogno, anche se non per gli obiettivi strategici e politici indicati dalla maggioranza e dal governo, ma per assolvere al proprio ruolo sia interno che internazionale, secondo la natura e la storia delle nostre Forze armate.
Sono "nemici" particolarmente cocciuti e resistenti, contro i quali né Berlusconi né Martino sono riusciti a fare granché da quando sono al governo. Ha ammesso il ministro della Difesa presentando la legge Finanziaria: "Il bilancio, per quando riguarda la Funzione Difesa propriamente detta, si pone rispetto al Pil ad un valore inferiore all'1 per cento, dunque assai lontano dall'obiettivo programmatico del governo. Purtroppo, nel corso della legislatura, la congiuntura economica ha impedito, è onesto prenderne atto, di sostenere adeguatamente gli obiettivi strutturali della Difesa e di allineare i nostri valori relativi a quelli degli altri Paesi alleati".
Parole da ministro-ombra dell'opposizione, non da ministro effettivo. Mi succede così, dopo avere ascoltato il relatore, il ministro ed i colleghi di opposizione già intervenuti, di notare con un misto tra lo stupore e la preoccupazione che le cifre ed il loro commento, sia da parte della maggioranza che della minoranza, sono per molti versi simili. Se non fosse per le valutazioni politiche che ho ricordate, sulla valutazione delle cifre potremmo anche concordare.

Le Forze armate "pagano" per la sicurezza. Riprendo alcune di queste cifre, così come saranno riassunte nella proposta di parere contrario redatta dai senatori dell'Ulivo.
Il bilancio di previsione per l'anno finanziario 2006 per il Settore della Difesa dispone 19.018.575.673 euro come stanziamento di cassa e 19.500.439.073 di competenza poiché la competenza include 470 milioni di euro di spese contrattuali per il personale. Si tratta di uno stanziamento pari a quello delle previsioni assestate per il 2005 che risultano essere 19.389.119.105. Tenendo conto che nel 2006 ci sarà comunque un tasso di inflazione, c'è una riduzione dello stanziamento in termini reali.
Sullo stanziamento di competenza (bilancio di previsione assestato 2006) pari a 19.500.439.073 vengono per di più applicati i tagli sulle due voci relative ai consumi intermedi e agli investimenti fissi lordi. Da questi tagli sono esclusi i comparti della sicurezza e del soccorso, cioè gli stanziamenti del ministero dell'Interno per le Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare e per i Vigili del fuoco. Questo vuol dire che per il ministero della Difesa, nel cui bilancio sono inclusi circa 4.795 milioni di euro per i Carabinieri, i tagli sono concentrati sulle voci di bilancio destinate a Esercito, Marina, Aeronautica.
Sono quindi particolarmente gravosi (1.692 milioni di euro) l'insieme dei tagli, la cui previsione è contenuta negli elenchi 1 e 2 del disegno di legge finanziaria, ed il contenimento degli incrementi di spesa per consumi intermedi e per investimenti fissi lordi, che rideterminano le risorse da assegnare: nel dettaglio la Difesa "paga" alla Sicurezza 802 milioni di euro sui consumi intermedi, 890 milioni di euro sugli investimenti fissi e lordi.
A tutto questo va aggiunta la riduzione del 10 per cento previsto all'articolo 6 del disegno di legge finanziaria, di difficile quantificazione.

Slittano i piani industriali. Sulla base del ridimensionamento così effettuato le somme destinate alla "funzione Difesa" passano da 13.859 milioni di euro dell'esercizio finanziario 2005 a 12.147 milioni di euro per l'esercizio finanziario 2006. In rapporto al Prodotto interno lordo questo stanziamento equivale allo 0,84 per cento, che è il valore più basso mai assegnato alla "funzione Difesa". Le prospettive indicate dal ministro Martino in occasione dell'esame dei documenti di bilancio lo scorso anno sono così del tutto disattese ed anzi si accentua la riduzione della quota Pil alla Difesa. Il rapporto rispetto al Pil prima del taglio del 10 per cento raggiunge il valore dell'1,358 per cento inferiore rispetto a quello del 2005 che era di 1,376 per cento, a quello del 2004 che era di 1,453 per cento, a quello registrato nel 2003 che era risultato pari a 1,486 per cento.
Dall'analisi delle previsioni di spesa scomposte nelle classiche quattro funzioni in cui sono articolate (funzione difesa; funzione sicurezza pubblica, cioè le spese per l'Arma dei Carabinieri; funzioni esterne, cioè quelle attività non strettamente collegate con i compiti istituzionali della Difesa; pensioni provvisorie, cioè le pensioni di personale in ausiliaria che restano a carico del bilancio della Difesa fino al collocamento nella categoria del congedo), appare, non essendo stati effettuati tagli nel disegno di legge finanziaria alla funzione sicurezza pubblica, un'ulteriore diminuzione del rapporto funzione Difesa-Pil, che raggiunge il valore dello 0,84 per cento, mentre era stato dello 0,987 per cento nel 2005, dell'1,048 per cento nel 2004, dell'1,061 per cento nel 2003, dell'1,079 per cento nel 2002.
Gli investimenti che sono destinati all'ammodernamento dello strumento militare erano già stati nel bilancio previsionale del 2004 ridotti del 9,2 per cento rispetto a quelli del 2001. Questa minore disponibilità di risorse non ha consentito di rispettare le programmazioni assunte da tempo in materia di ammodernamento delle infrastrutture, ricapitalizzazione delle componenti logistiche, accordi internazionali per l'acquisizione di mezzi e di sistemi d'arma, e i piani di programmazione industriale che sono stati rivisti e slittati nel tempo.

Taglia, aggiusta, ma non governa. Queste cifre della legge Finanziaria e le considerazioni sulle loro conseguenze per la Difesa le ho ascoltate innanzi tutto dalla maggioranza e dal governo. Ma questa non è assolutamente una ragione di soddisfazione. Non mi soddisfa affatto veder riconosciute in ritardo alcune delle osservazioni che come opposizione abbiamo fatte in questi quattro anni.
Sono invece preoccupato che si perda anche un altro anno.
Non basta riconoscere le difficoltà di bilancio; non è sufficiente dire che non è stato possibile raggiungere gli obiettivi che ci eravamo prefissati, perché le risorse finanziarie disponibili non lo hanno consentito. Il ministro ha affermato - ed è una considerazione drammatica - che il settore Difesa del nostro Paese, con questa finanziaria, sta esaurendo la posizione di qualità che l'attuale governo ha ereditato dalla passata legislatura: è certamente un buon atto di verità, ma non è un atto di governo. All'Esecutivo si chiede di governare e alla legge finanziaria di indicare gli strumenti per farlo. Al contrario, anche nel settore delle Forze armate, come in tutti gli altri, questa legge finanziaria taglia, aggiusta, ma non indica la strada sulla quale incamminarsi.

Finisce la leva, finiscono i soldi. Se dopo quattro anni di calo degli investimenti per il comparto, il Governo e la maggioranza non sono in grado di dire quali sono le prospettive per il futuro del nostro modello di Difesa, allora vuol dire che si è rinunciato a governare. È questo il contenuto più drammatico per gli italiani della legge Finanziaria proposta quest'anno dalla Destra: l'incapacità di governare impoverirà le famiglie e le imprese assai più dei pur pesanti tagli ai servizi.
Questa incapacità di governo si registra a partire dalle scelte sulla posizione delle Forze armate.
La continua riduzione degli investimenti richiederebbe almeno di verificare se il modello di Difesa a 190 mila professionisti sia ancora sostenibile. La previsione è contenuta nella riforma del reclutamento e corrispondeva alle capacità finanziarie che la legislatura dell'Ulivo aveva assegnato alla funzione Difesa. Cinque anni dopo quelle risorse finanziarie non ci sono più. Che cosa ne direbbe il Governo se questo modello fosse portato a 120 mila uomini (a nostro parere, un numero certamente sufficiente per gli impegni internazionali e la sicurezza del Paese) e se, per sopperire al decremento di uomini, fossero adottati altri strumenti di cooperazione internazionale? Io credo che gli strumenti ci siano. I corpi civili di pace, di cui dirò brevemente alla fine del mio intervento, costituiscono un'alternativa allo strumento militare, tra l'altro meno costosa per quanto riguarda la strumentazione.
Nel quadro finanziario e gestionale, che è il risultato dell'incapacità di governo, sembra quasi una fatalità che la spesa per il personale, come ha riferito il ministro Martino, salga al 60 per cento dell'intero bilancio e che questa percentuale sia destinata a crescere ancora. A rammaricarsene è tuttavia il ministro di quello stesso governo che ha deciso, autonomamente, di anticipare la sospensione della leva popolare - anche se era già stata programmata dalla legislatura dell'Ulivo - e che doveva essere poi in grado di gestire questa decisione.
Noi riteniamo strategica la scelta delle Forze armate professionali. Lo ritiene davvero anche la maggioranza? Il dubbio è motivato dalla constatazione che questa scelta strategica non appare nella legge di bilancio che riguarda il primo anno dell'esercito professionale e nella quale dovrebbe essere messa a regime e per intero la sospensione della leva. Succede invece esattamente il contrario: la Finanziaria non tiene conto che sono cambiati i soggetti che formano le Forze armate.

Monetizzata la salute dei militari. L'articolo 31, comma 10, della legge finanziaria prevede, per le infermità riconosciute dipendenti da cause di servizio e a carico dell'amministrazione, la spesa per la corresponsione di un equo indennizzo per la perdita dell'integrità fisica eventualmente subita dall'impiegato. Fino al 31 dicembre di quest'anno, le amministrazioni sono tenute a pagare le spese mediche ospedaliere, di protesi e di cura. Ora, con la previsione del 2006 si paga solo un equo indennizzo. Sembra un punto non essenziale. Sicuramente non si tratta di un aspetto fondamentale nella legge finanziaria e tale non è per le Forze armate. Ciò nondimeno, sono lesi i diritti e la condizione di vita anche dei militari, proprio nel primo anno in cui questi ultimi, di fatto, costituiscono un esercito professionale.
Che ciò risulti stridente, lo dimostra anche l'intervento del ministro in commissione Difesa del Senato. Fra le cose che egli ha sottolineato, tra i desideri che ha espresso, egli ha detto che sarebbe da valorizzare la sanità militare in funzione della riduzione delle conseguenze di questo articolo della legge finanziaria. Ma il ministro è ministro, deve governare: è lui che doveva preventivamente decidere che, avendo le Forze armate a disposizione un sistema di sanità militare, era opportuno e giusto che i militari si avvalessero di questo sistema.
Voglio dire anche di più a proposito di questo apparentemente piccolissimo episodio, in quanto, forse per la mia personale attitudine giornalistica, spesso ricavo dai fatti quotidiani considerazioni più generali.
Il taglio all'assistenza sanitaria e al sistema di sicurezza della salute dei militari avviene mentre sono in corso indagini, sia della magistratura sia parlamentari, che riguardano persone che sono ancora o sono state impiegate nelle Forze armate e che stanno patendo le conseguenze dell'esposizione all'uranio impoverito o all'amianto. Lo stesso relatore, nella parte conclusiva del suo intervento, ha fatto cenno a queste persone e alla necessità e opportunità di intervenire con la legge finanziaria affinché abbiano un sostegno pubblico. Se l'articolo 31 della Finanziaria non tiene conto appunto di quanto anche il relatore ha detto, se ci sono persone nelle Forze armate che oggi, pur pagando un costo altissimo sulla loro salute, sono trattate alla pari di tutti gli altri, è evidente che si aggrava lo scollamento tra le decisioni e le necessità.
Noi riteniamo che in generale, per quanto riguarda tutti i cittadini pubblici dipendenti, questa decisione sia grave, perché monetizza la salute e mette sul mercato un bene indisponibile, quale appunto la salute stessa; ma, nel caso dei dipendenti della Difesa, il comma in questione può suonare come un chiamarsi fuori da parte dello Stato rispetto alle proprie responsabilità. Credo che questo sia esattamente il contrario di quello che il periodo di consolidamento della Forza armata professionale richiede da parte delle istituzioni nei confronti dei dipendenti.

Militari senza sbocchi professionali. Questa non è che una delle carenze e delle incongruenze di questa legge finanziaria. Ad esempio, come si concilia il blocco del personale con il principio che prevede la precedenza dei volontari delle Forze armate nell'assunzione nelle amministrazioni pubbliche? Dov'è la norma del disegno di legge finanziaria che, all'interno del blocco generalizzato delle assunzioni, garantisce questa possibilità? Il governo, il Parlamento, la maggioranza hanno scritto una norma che prevede l'assunzione privilegiata delle persone che escono dalle Forze armate da parte di altre amministrazioni dello Stato; ora però con la legge finanziaria si bloccano le assunzioni di queste altre amministrazioni. Se servono 2.500 persone per il settore sicurezza, come è detto nella legge finanziaria, quanti di questi posti e come la legge finanziaria prevede che potranno essere effettivamente coperti dal personale in uscita dalle Forze armate?
Non si tratta solo del doveroso rispetto di una norma legislativa e di un "patto" scritto per legge con i militari. Si tratta di una scelta economica e quindi tipica di una legge finanziaria. Perché, se i militari in condizione di congedo non escono, restano nelle Forze armate, e questo appesantisce proprio la situazione relativa al personale cui il ministro ha fatto esplicito e preoccupato riferimento come una situazione di difficoltà.
Bisogna dunque governare i processi - ho fatto l'esempio della salute e quello delle assunzioni del personale che esce dalle Forze armate - e non lasciare che questi processi si svolgano da soli.

La formazione è considerata un "consumo". L'incapacità di programmare secondo un progetto, in questo caso secondo il progetto della Forza armata professionale, si legge anche nelle cifre che sono state riportate sia nelle relazioni del senatore Zorzoli e del ministro, sia negli interventi dei colleghi senatori in commissione Difesa. I tagli degli investimenti, in particolare alle spese per i consumi intermedi, sono particolarmente decisivi dal punto di vista della trasformazione della nostra Forza armata.
Con l'attuale legge finanziaria l'esercizio è ulteriormente decurtato di 461 milioni di euro. Durante la legislatura si sono registrate decurtazioni al bilancio della difesa per effetto di misure collaterali, come il cosiddetto decreto "tagliaspese", che sono risultate nel 2003 superiori a 300 milioni di euro concentrati soprattutto nell'esercizio. Il tetto del 2 per cento del 2004 ha colpito i consumi intermedi e gli investimenti, con un decremento di 21,3 milioni di euro (- 0,6 per cento) che corrisponde ad una diminuzione di risorse in termini reali pari al 2,3 per cento.
L'insieme delle riduzioni ha messo in difficoltà quasi tutti i settori della Difesa. Tagliare sull'esercizio significa spendere di meno per le attività addestrative, la formazione, la qualificazione del personale, la razionalizzazione e la modernizzazione e quindi per l'efficienza dello strumento militare, per la flessibilità e per le stesse condizioni di sicurezza, perché è del tutto evidente che anche la sicurezza è direttamente influenzata dai livelli di qualificazione e formazione raggiunti e costantemente mantenuti.
Significa spendere di meno per la qualità di vita delle persone, la loro soddisfazione professionale, la loro formazione, sia finché sono al servizio delle Forze armate, sia successivamente quando decideranno o saranno nelle condizioni di uscire ed avranno bisogno di essere professionisti richiesti nel mercato del lavoro.

La qualità della vita dei militari. In merito alle condizioni di vita del personale delle Forze armate, questo disegno di legge finanziaria non affronta una serie di questioni che il rapporto alternativo predisposto dall'opposizione riassume. Sono questioni indispensabili perché il passaggio dall'esercito di leva a quello professionale avvenga in condizioni di cittadinanza accettabili per le persone che scelgono di svolgere una funzione costituzionale, qual è la difesa della patria.
Secondo il centrosinistra è necessario:
- prevedere un più adeguato accantonamento che consenta di promuovere per un più generale riordino delle carriere di tutti i ruoli delle Forze armate e delle Forze di polizia;
- finanziare un piano casa per alloggi di servizio attraverso la vendita diretta agli utenti di parte consistente dell'attuale patrimonio e utilizzando il ricavato anche per la ristrutturazione di alcune caserme; si tratta di elementi necessari per il buon esito delle iniziative di reclutamento dei volontari; essi esigono la rinuncia all'ipotesi di cartolarizzare migliaia di alloggi di servizio senza ritorno significativo per la Difesa e con grave danno per le famiglie militari con reddito medio-basso;
- costituire un fondo pensioni integrativo in grado di assorbire gli attuali assetti patrimoniali delle casse ufficiali e sottufficiali e di dare copertura previdenziale adeguata a quella che è ormai la maggioranza del personale militare: quello, cioè, entrato in servizio dopo il 1995 (anno della riforma previdenziale) nei ruoli dei marescialli e degli ufficiali, tutto il personale appartenente al ruolo dei volontari e tutti coloro che alla data del 1995 avevano un'anzianità di servizio inferiore ai 19 anni effettivi;
- prevedere la necessaria copertura finanziaria almeno di due disegni di legge: la legge quadro "Norme sullo stato giuridico e il trattamento economico dei militari inviati alle operazioni all'estero", e la legge "Norme in favore dei militari di leva e di carriera infortunati o caduti durante il periodo di servizio", fermi entrambi in Commissione Difesa della Camera per mancanza di copertura finanziaria;
- prevedere un adeguato accantonamento finanziario per approvare norme che definiscano le misure e gli strumenti operativi in grado di garantire al personale militare la tutela della salute, la prevenzione dai molteplici rischi derivanti dalle attività istituzionali e un sistema risarcitorio più favorevole;
- incrementare il Fondo unico di amministrazione del personale civile della Difesa per consentire la realizzazione di un programma straordinario di formazione e di riqualificazione del personale civile in grado di corrispondere alle esigenze della ristrutturazione delle Forze armate.
Sono questioni sulle quali in Commissione Difesa del Senato tutti ci diciamo d'accordo, ma poi al momento delle scelte economiche mancano le risorse, oggi la scelta su questi problemi diventa ancora più qualificante proprio perché è cambiata la natura del servizio militare.

Un ruolo nella Difesa europea. Tra le necessità che individuiamo come opposizione c'è anche quella di prevedere una più adeguata copertura finanziaria ai piani di ammodernamento delle Forze armate, con particolare riguardo ai progetti più qualificanti per restare al passo con le esigenze operative poste dall'impiego delle nostre Forze armate sullo scenario internazionale e anche dal processo di costituzione di quella che appare ormai un'esigenza irrinunciabile e cioè l'integrazione europea ed il progetto di difesa comune.
Richiamo l'attenzione su questo punto della Difesa europea, perché anche in questo settore sia la relazione del ministro, sia le cifre del disegno di legge finanziaria non indicano una strada. L'insufficiente visione strategica della legge Finanziaria nel settore della Difesa si coglie infatti anche nei rapporti con l'Unione Europea.
Faccio anche qui qualche esempio.

Riconversione dell'industria degli armamenti. Il ministro ha citato con soddisfazione l'istituzione avvenuta l'anno scorso di un'Agenzia di difesa europea, nata per sostenere gli Stati membri nel loro sforzo per migliorare le capacità europee di difesa nel campo della gestione delle crisi.
L'Agenzia deve promuovere la collaborazione nel settore degli equipaggiamenti, dei progetti nel campo della ricerca e della tecnologia e in quello delle acquisizioni. Tutto ciò dovrebbe consentire preziose sinergie ed economie di scala per la spesa di difesa europea. In particolare, l'Agenzia dovrebbe essere in grado di coordinare gli sforzi per colmare le carenze individuate dal Piano d'azione europeo sulle capacità (ECAP).
Perché abbia un impatto effettivo, comunque, l'Agenzia va finanziata adeguatamente. Dov'è l'impegno dell'Italia nella legge finanziaria perché essa effettivamente funzioni?
Eppure questo impegno, oltre che rendere possibile una riduzione delle spese ed una qualificazione degli investimenti, ha un alto valore sia strategico che politico, ma anche industriale.
Sui contenuti strategici e politici ritornerò subito, non prima di aver richiamato l'attenzione sulle conseguenze industriali della politica europea degli armamenti e della ricerca di risparmi negli armamenti. Il Ministro si dice d'accordo, e non abbiamo dubbi, sul progressivo trasferimento di fatto della gestione relativa all'acquisto di armamenti all'Agenzia europea e quindi all'apertura del mercato, secondo le linee che la maggioranza ha approvato con la deformazione della legge n. 185 del 1990, relativa al commercio delle armi. Se questa è la strada, quali risorse mettono in campo a partire dal 2006 il governo e la sua maggioranza per prevedere la riconversione di imprese italiane che operano nel campo della produzione di armamenti, visto che cambia appunto lo scenario europeo?
La Destra italiana darà ancora la colpa all'Europa, se le imprese e i loro lavoratori non saranno stati accompagnati nel cambiamento delle conduzioni produttive e commerciali del settore della Difesa in Italia?
Si tratta di un processo generale di riconversione che in questi anni non è stato perseguito, ma che ora con le nuove competenze che anche l'Italia ha affidato all'Europa, diventano urgenti.

Qual è la specializzazione dell'Italia? Il principio di una permanente cooperazione strutturata per la Difesa è del resto formalmente riconosciuto nella Costituzione europea. Certo il processo di ratifica è precario, ma l'Italia ha approvato quella Costituzione e i suoi comportamenti dovrebbero ora essere coerenti sul piano politico, ma anche su quello finanziario.
I criteri che governano questa cooperazione sono rigorosi, almeno sulla carta. Fra le altre cose, gli stati membri devono avere un adeguato livello di spesa per la Difesa, assumere misure concrete per migliorare la disponibilità, l'interoperabilità, la flessibilità e la dispiegabilità delle loro forze armate e assegnare risorse per affrontare le carenze individuate dal meccanismo ECAP. La vera novità sta nell'impulso a coordinare l'individuazione delle esigenze militari, a specializzare la Difesa nazionale e a mettere in comune le capacità. Data la debolezza dei bilanci della Difesa e la cronica carenza di investimenti in ricerca e tecnologia, le acquisizioni collettive e le forze multinazionali rappresentano le ovvie soluzioni. Se attuata, la permanente cooperazione strutturata potrebbe offrire un contesto prezioso in cui trasformare le dinamiche della Difesa europea.
Qual è la specializzazione dell'Italia in questo quadro? Cosa emerge dalla cifre della legge Finanziaria e dalla relazione del ministro?
Anche in questo quadro c'è contraddizione.

I "gruppi di battaglia". Il ministro ha enfatizzato il contributo dell'Italia all'attuazione del concetto di Gruppo di battaglia, approvato dall'Unione Europea nel novembre scorso.
I gruppi di battaglia sono una novità nella strategia militare dell'Unione Europea e quindi dell'Italia, perché prevedono interventi rapidi, non operazioni di consolidamento ed interposizione stabili o prolungati nel tempo, come quelle che caratterizzano la nostra presenza oggi sullo scenario mondiale. Questa iniziativa è un diretto effetto dell'esperienza dell'Operazione Artemis nella Repubblica democratica del Congo nel 2003. Il concetto di Gruppo di battaglia è basato su una capacità di "rapido intervento, rapido disimpegno" per ripristinare l'ordine, specialmente in Africa, il che avverrebbe "esplicitamente ma non esclusivamente" in base ad un mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu. In un secondo momento, è previsto poi che subentrino soldati della pace africani o di altri paesi.
Gruppi di battaglia di 1.500 uomini, con elementi di sostegno e servizi di supporto, rappresentano un pacchetto di forze più flessibile, in grado di sostenere operazioni ad alta intensità. Dispiegabili in cinque giorni, saranno a ranghi completi, ben equipaggiati ed addestrati, e saranno dotati di adeguati mezzi di trasporto strategico.
Sarebbe utile capire che cosa questo significhi, sia dal punto di vista politico e strategico che degli impegni economici. Significa che si vuole cambiare il ruolo delle nostre Forze armate? Dove sono gli strumenti di trasporto strategico rapido che questa evoluzione richiede?

Quanto contiamo nella Nato? Un'accentuazione della presenza italiana nei gruppi di battaglia significa, inoltre, una possibile sovrapposizione con la Forza di risposta rapida dell'Alleanza atlantica. In tal caso, avremmo una duplicazione delle spese, perché il bilancio della Nato - com'è noto - non rientra nel bilancio che ci viene sottoposto, essendo in buona parte segretato e coperto da altre contribuzioni che vanno dallo Stato italiano alla Nato.
Non è solo un tema di compatibilità e di non sovrapposizione.
Dato che la Forza di risposta rapida della Nato è essenzialmente composta da soldati europei, gli europei sono comprensibilmente desiderosi di avere voce in capitolo nel decidere come usarla. La Nato non può diventare la donna delle pulizie per operazioni militari decise solo da Washington.
Le condizioni del processo decisionale sono cambiate, infatti, radicalmente negli ultimi anni. Dato che la Nato si è spinta oltre l'area euro-atlantica, un accordo sulla struttura di base dell'ordine mondiale, in particolare sull'uso della forza, è divenuto un prerequisito necessario per un efficace processo decisionale dell'Alleanza. Data l'accresciuta importanza delle questioni globali sul rapporto transatlantico, c'è urgente necessità di valutare l'entità del consenso e la natura delle divergenze in un maggior numero di settori di quanto non fosse una volta il caso.
Perciò avrei gradito che il ministro non si fosse limitato a raccomandare ed esaltare la partecipazione italiana a tali organismi, ma ci avesse detto in che modo l'Italia partecipa alle decisioni di intervento delle forze di risposta rapida della Nato. Occorre trovare degli strumenti il più possibile trasparenti nei confronti dell'opinione pubblica, perché le decisioni in merito agli interventi, che ormai vanno molto al di fuori dei confini degli Stati membri e dell'Alleanza, siano comprese e soprattutto giustificate.

Senza una strategia internazionale. Per quanto riguarda i gruppi di battaglia e la loro filosofia, mi chiedo, infine, come essi riescano a convivere con la nuova situazione determinata dall'allargamento dell'Unione Europea. Questo ha fatto sì che teatri prima distanti e possibilmente rischiosi, come la Moldavia o il Caucaso, oggi siano diventati contigui. L'Unione europea è riuscita a gestire sapientemente la crisi nel caso dell'Ucraina, con contributi significativi da parte della Lituania e della Polonia.
Qual è il contributo alla stabilità dei nuovi confini europei che l'Italia si appresta a fornire nella nuova geografia europea e quali risorse mette a disposizione di questa nuova politica? Non abbiamo alcuna risposta.
Leggiamo intanto nella legge finanziaria che lo stanziamento per le missioni internazionali viene ridotto, senza alcuna strategia, di 200 milioni di euro sui 1.200 previsti nel 2005.
A domanda specifica, il ministro ha risposto alla commissione Difesa del Senato che attualmente spendiamo le risorse perché l'Italia occupa due posizioni di comando militare internazionale, che presto aumenteranno a tre. Al venir meno di queste posizioni, sarà ridotta anche la nostra partecipazione finanziaria. A me sembra una scelta poco politica, una scelta che non contiene una strategia internazionale, ma solo il bisogno di apparire. Una scelta che - purtroppo - conferma una delle ragioni per le quali siamo in Iraq: poter partecipare a qualche summit internazionale in qualche ranch del Texas.
Credo che la scelta più opportuna e giusta in questo momento, con la manovra finanziaria in esame, sarebbe considerare conclusa la missione in Iraq e recuperare tutte le risorse finanziarie ad essa destinate per partecipare attivamente, ad esempio, alle politiche di sicurezza e ai nuovi confini dell'Unione europea.

Progettare i corpi civili di Difesa. Concludo, con due cenni a questioni che ci si ostina a non considerare pertinenti della Difesa.
All'inizio del mio intervento ho detto che, se una forza militare di 190 mila uomini non è compatibile con le nostre finanze, la si può anche ridurre o comunque va analizzata quest'ipotesi. Credo che questa sia una strada da percorrere. Inoltre, negli ultimi due anni, in occasione della discussione della legge finanziaria, ho sollevato il tema essenziale dei corpi civili di pace. Credo che lo si possa fare senza ridurre le capacità della Difesa sia all'interno che all'estero.
Nell'attuale situazione, le Forze armate italiane svolgono lodevolmente all'estero compiti che potrebbero essere svolti, da un punto di vista professionale, anche da personale civile. In questa stessa direzione, nel 2004, si è mossa la Danimarca, costituendo dei nuclei integrati di cooperazione civile militare, proprio partendo da esperienze che anche noi condividiamo, come quelle in Afghanistan o in Kosovo. Credo che questa sia una delle strade da percorrere e che intraprenderemo - se avremo il consenso degli elettori - perché riteniamo che oggi la sicurezza nel mondo debba essere certamente garantita con l'ausilio delle Forze armate, ma soprattutto con strumenti pacifici.
A tal proposito, con questa finanziaria - ed è il secondo cenno conclusivo - sarebbe necessario annullare una grave norma introdotta da questa maggioranza con la finanziaria del 2002, cioè quella di destinare l'80 per cento degli introiti dell'8 per 1.000 ad operazioni militari all'estero. È una scelta in contrasto con la legge di istituzione dell'8 per 1.000, perché militarizza gli aiuti internazionali. Quindi pensiamo che sia necessario eliminare questa incongruenza, anche per dare alle Forze armate il loro giusto riconoscimento.

Senato, 12 ottobre 2005


9 novembre 2005
sd-147
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Tino Bedin