Il senatore Tino Bedin ha tenuto il discorso ufficiale nella celebrazione del 4 Novembre a Piove di Sacco, in rappresentanza della Federazione provinciale dell'Associazione nazionale combattenti e reduci. In Piazza Incoronata il parlamentare del Piovese ha parlato di fronte ai rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni patriottiche ed ad alcune scolaresche. Riportiamo il testo del discorso.
di Tino Bedin senatore
Si è arricchito e precisato con gli anni il contenuto della festa nazionale del 4 Novembre. Segno che effettivamente si tratta di una data "storica", non solo e non tanto nel senso che ricorda un avvenimento, ma nel valore più profondo: è una data che fa la storia della comunità nazionale.
Quando ero studente, sia con la maestra che con i professori, il 4 novembre facevamo vacanza a scuola per celebrare l'Anniversario della Vittoria. Era da poco stata vissuta direttamente dai nostri genitori e dai nostri insegnanti l'esperienza della seconda guerra mondiale, a conclusione della quale l'Italia era seduta dalla parte delle nazioni sconfitte. Prevaleva dunque il bisogno di ricordare che non sempre era andata così, tanto che meno di trent'anni prima l'Italia era stata dalla parte dei vincitori della Grande Guerra.
Oggi celebriamo la ricorrenza del 4 Novembre soprattutto come Giornata dell'Unità Nazionale. Essa è anche dedicata ai Decorati al Valor Militare, è anche la Festa delle Forze Armate, è anche il giorno della riconoscenza per i Combattenti.
Sono tutti contenuti veri. Lungo i novant'anni che ci separano dall'inizio della Grande Guerra, nel 1915, essi si sono consolidati nella coscienza nazionale ed hanno preso il sopravvento anche sulle ragioni politiche per le quali l'Italia decise di entrare in guerra.
Il compimento dell'unità nazionale. Davvero il 4 Novembre è la Giornata dell'Unità nazionale. Non è una sottolineatura di questi anni. Ancora ai tempi della scuola, libri ed insegnanti parlavano della guerra del Quindici-Diciotto come della "Quarta guerra d'Indipendenza".
Questo ci insegnavano, facendo concludere nel 1918 i settant'anni lungo i quali le classi dirigenti della società italiana avevano contribuito ad aggregare politicamente la Penisola italiana attorno alla guida della Casa di Savoia.
La Grande Guerra, pur con le sue atrocità, era stata vissuta dal popolo italiano come l'ultima guerra d'indipendenza, che aveva portato a compimento la riunificazione d'Italia. Non era stata, e non aveva voluto essere, una guerra di conquista, una guerra figlia dell'odio, ma una guerra di liberazione, combattuta per riunire all'Italia Trento e Trieste.
Per questo il 4 Novembre è Giornata dell'Unità Nazionale, oltre che Festa delle Forze Armate. Il ricordo degli eroismi e delle battaglie della nostra storia risorgimentale non può andare disgiunto dal patrimonio di cultura, di lingua, di arte che ha cementato il popolo italiano, che lo ha portato ad essere libero e unito.
Riascoltando la Leggeenda del Piave. A distanza di tanti anni, continuiamo a suonare e ad ascoltare le note della Leggenda del Piave. Quelle parole e quelle note non erano e non sono un canto aggressivo contro popoli allora nemici, oggi nostri concittadini nell'Unione europea. Esse esprimevano la volontà degli italiani di voler continuare ad essere italiani, uniti in uno Stato, in una comunità nazionale orgogliosa e libera.
La Leggenda del Piave, così come la Canzone del Grappa celebrano i valori di un popolo che sentiva di essere Nazione, desiderava difendere l'integrità della Patria, l'autorità e l'indipendenza delle sue istituzioni. Richiamano la consapevolezza che soltanto sui valori dell'unità nazionale, del Risorgimento, della tradizione popolare delle nostre Forze armate militare si poteva ricostruire l'Italia delle libertà civili; si può oggi conservarla.
Per questo il 4 Novembre deve rimanere, anzi, deve rafforzarsi come solennità civile della Repubblica, Giornata dell'Unità Nazionale, nella quale l'Italia repubblicana si stringe attorno alle sue Forze Armate, nel ricordo della Grande Guerra, della Vittoria del 1918.
Sono passati novant'anni dopo l'inizio; ottantasette anni dalla conclusione di quella guerra. Sono molti; questa lontananza non ci consente però, e noi non lo possiamo e non lo vogliamo, di dimenticare i lutti, le sofferenze che quella terribile strage provocò, il dolore, lo sconvolgimento degli animi, i risentimenti che furono poi sfruttati da regimi dittatoriali.
E le dittature trascinarono l'Europa e il mondo in un'altra, ancor più spaventosa, guerra. Stiamo infatti vivendo il sessantesimo anniversario della fine di quest'ultimo terribile conflitto. Per gli italiani coincide con il sessantesimo anniversario della Liberazione.
La liberazione ripetuta nel 1945. "Liberazione": ecco una parola che ritorna nelle celebrazioni di quest'anno, come per Trento e Trieste nel 1918. Il 1945, sessant'anni fa, fu per le città del Nord d'Italia l'anno della Liberazione. Per l'Italia tutta, fu un nuovo anno della ricomposizione dell'unità nazionale, nel nome della libertà.
Unità nazionale: di nuovo un'aspirazione ed una conquista: nel 1945 come nel 1918.
Con un arricchimento. Nel 1945 non qualcosa di più dell'unità geografica e politica. La lotta contro l'occupazione nazista e la dittatura fascista fu anche lotta per dar vita a una nuova identità nazionale, fondata su diritti eguali per tutti.
A poco più di un anno dalle giornate indimenticabili della Liberazione, l'esperienza esaltante delle prime elezioni politiche libere, il 2 giugno del 1946, fece scoprire a tutti gli italiani il gusto della libertà; consacrò l'unità nazionale; guidò i cittadini nella scelta della Repubblica. E così in un breve periodo di tempo, superando divisioni le politiche e ideologiche, gli eletti del popolo in Assemblea Costituente diedero vita alla Costituzione repubblicana.
La pace diventa un dovere costituzionale. Liberazione, unità, popolo: un filo ininterrotto lega gli ideali e le vicende del Risorgimento alle imprese della Lotta di Liberazione.
E lega il 4 Novembre al 25 aprile alla rinascita dell'Italia. Il 4 Novembre è un tassello essenziale nel percorso della memoria che ha il suo perno nella Festa del 2 giugno, la nascita, per volontà del popolo, della Repubblica. Le Istituzioni hanno il dovere di irrobustirlo, per consentire alla comunità nazionale di celebrare i propri valori.
Le celebrazioni patriottiche sono occasione per meditare, tutti insieme, sui valori fondanti della nostra Patria, libera e unita, sugli ideali condivisi da tutto il nostro popolo, riconciliato con se stesso nel nome della libertà.
Ed anche in nome della pace.
Impossessandosi definitivamente del loro destino, gli italiani seppero fare molto meglio di quanto avevano saputo fare i governanti dopo il 4 Novembre del 1918. Donne e uomini non misero la rivincita in testa ai compiti dello Stato. Anzi con la profezia che spesso è figlia della tragedia, scrissero nella loro Costituzione, nella nostra Costituzione il ripudio della guerra.
La pace è idivisibile. Le democrazie, che siano tali per davvero, non pensano alla guerra e la nostra Costituzione, con assoluta chiarezza, "ripudia la guerra"; le Forze armate hanno compiti ben più alti e più degni, poiché sono presidio di protezione, di difesa delle istituzioni, sono presenza di pace.
Le Forze armate - impegnate come mai prima d'ora nella storia della Repubblica in tante aree di crisi nel mondo - si stanno confermando, giorno dopo giorno, una preziosa ed efficace risorsa al servizio del "sistema Italia".
Un Paese, il nostro, che in un mondo in continua e rapida evoluzione è chiamato a fornire un contributo attivo e determinante alla sicurezza, alla stabilità e alla pace.
La pace è infatti indivisibile. Una consapevolezza nuova ha caratterizzato la conclusione della seconda guerra mondiale, rispetto ai giorni che seguirono il 4 Novembre 1918 sia in Italia che in Europa. La consapevolezza che la sicurezza ha fondamenta fragili quando sottovaluta le esigenze dello sviluppo degli altri popoli e le esigenze dell'ambiente: solo se avremo affrontato con decisione i flagelli che tormentano centinaia di milioni di esseri umani nel resto del mondo potremo guardare con serenità al nostro avvenire.
Le sfide della sicurezza e della pace che ci attendono in un futuro sempre più globalizzato si chiamano: terrorismo internazionale, proliferazione delle armi di distruzione di massa, crisi regionali violente, realtà statuali fallite o dittatoriali ma anche esistenza nel mondo di un vuoto in cui si alimentano povertà, ignoranza, mancanza di democrazia e violenza.
Qui abbiamo scelto di essere presenti ormai da molti anni.
Da volontari nelle Forze armate. Le missioni internazionali di pace hanno costituito una vera e propria nuova fonte di legittimazione sociale per le Forze Armate della Repubblica. Hanno reso possibile il ritorno della sfilata del 2 giugno in un contesto di concordia civile, di simpatia, di affetto, di orgoglio.
Anche questo diffuso consenso ha reso possibile attuare in tempi così rapidi la sospensione della leva obbligatoria.
Tale sospensione non fa venir meno il dovere costituzionale di "difendere la Patria in armi". E ciò rende tanto più apprezzabile la scelta professionale di chi partecipa ai concorsi per volontari.
L'Italia non ha dato vita a un esercito "professionista", ma a un esercito di "volontari", che è sempre l'esercito del popolo italiano, nel solco di una tradizione nazionale che trae origine dalle guerre d'indipendenza.
A queste nuove Forze armate rendiamo omaggio in questa giornata. Sappiamo che la trasformazione richiede anche risposte alle condizioni di vita; comporta cambi di mentalità sulla presenza femminile. È resa possibile solo da un uso nuovo ed appropriato delle risorse finanziarie.
C'è anche la necessità che effettivamente le missioni militari internazionali corrispondano allo spirito con cui le intendono gli italiani, che è poi lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana. Su questo occorre vigilare da parte del Parlamento, perché è il modo più appropriato per garantire l'appoggio nazionale alle Forze armate e per assicurare una effettiva protezione ai nostri volontari all'estero.
Rinunciare ai monumenti. È anche la maniera migliore per onorare il sacrificio di coloro che proprio per portare la pace sono caduti lontano da casa.
Lo stesso onore che rinnoviamo qui ai caduti di tutte le guerre.
Ai caduti militari, ai caduti civili, sapendo che anche per i civili non si è trattato di "effetti collaterali", ma di coinvolgimento diretto nel conflitto.
Anche questo è un punto sul quale la strada da percorrere è ancora lunga. Ma non bisogna rinunciarvi, specialmente ora che il terrorismo utilizza proprio l'aggressione ai civili come propria arma decisiva. L'Italia che con l'Europa ha saputo in questi sessant'anni dare una risposta positiva ai conflitti e ad evitare che le piazze d'Italia si riempissero di altri monumenti e di altre lapidi ha questo compito.
Coloro che avendo combattuto o avendo atteso a casa il ritorno dei combattenti hanno fatto tragica esperienza del conflitto aiuteranno anche le generazioni successive a capire e ad impegnarsi.
Questo è il 4 Novembre. Giornata dell'Unità nazionale e della volontà di pace. Giornata della vittoria non sul nemico ma sulla guerra.
Viva la pace. Viva l'Italia.
Piove di Sacco, 4 novembre 2005
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