SICUREZZA E DIFESA
Regolamento per i lavori del Genio militare
Investimenti sottratti al mercato,
informazioni negate ai cittadini

"Fotocopiate" le norme del 1932, invece di innovare con la nuova qualità delle Forze armate e con la concorrenza

Lo Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante: "Regolamento per i lavori del Genio militare" (n. 445) è stato sottoposto per il parere alle Commissioni riunite Difesa e Lavori pubblici del Senato. Il senatore Tino Bedin ha svolto nelle sedute del 17 e 23 febbraio e dell'1 marzo una serie di considerazioni, che vengono compendiate nel testo seguente.

di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Difesa

Troppi segreti e poca Europa nel regolamento per gli appalti di lavori pubblici della Difesa, che il governo ha presentato in Parlamento. I segreti diventano trasferimento completo di sovranità quando si tratta dell'Alleanza Atlantica. Non c'è invece traccia delle procedure da seguire per gli interventi della Difesa europea. Vengono poi formalmente non applicate direttive europee in materia di appalti pubblici.
Il risultato di queste scelte è la sottrazione di un'altra fetta di investimenti pubblici alla concorrenza e al mercato.

Undici anni passati inutilmente. Con nove anni di ritardo rispetto alla scadenza prevista dalla legge Merloni sugli appalti dei lavori pubblici anche il Genio militare sta per avere un suo Regolamento per gli appalti e la realizzazione di edifici ed infrastrutture. Era il 1994 quando il ministro Merloni riuscì a far approvare la legge-quadro sui lavori pubblici, inserendovi rilevanti contenuti di trasparenza e fondamentali principi di concorrenza negli appalti. Si decise allora che questi principi andavano adattati agli appalti della Difesa, per sue specificità e si diede tempo al governo di preparare un decreto entro l'1 gennaio 1996. È finita la dodicesima legislatura, è passata tutta intera la tredicesima, manca un anno alla fine della quattordicesima ed ecco finalmente il decreto promesso nel 1994.
In questi anni la legge Merloni è stata più volte aggiornata. Contemporaneamente si è sempre meglio precisato il quadro europeo in materia di appalti e di concorrenza. Il regolamento proposto dal governo per i lavori del Genio militare invece guarda più al passato che al futuro. I suoi 258 articoli sembrano essere stati scritti non prendendo per base la legge Merloni e le disposizioni europee ed inserendo norme giustamente speciali per questo tipo di opere, ma prendendo come testo base il regolamento attualmente in vigore (è del 1932, con qualche ritocco che risale al 1959) e mettendovi parole e procedure della legge Merloni. Non era questa la delega che il governo aveva avuto dal Parlamento. Bisognava scrivere un testo del tutto nuovo anche se peculiare per le Forze Armate, non una fotocopia del testo precedente.

Assente l'Europa della Difesa. La "vecchiaia" del testo governativo si misura proprio in relazione all'Unione Europea.
Lo si deduce da una constatazione di carattere generale: è del tutto assente una categoria di infrastrutture realizzate sul territorio nazionale e finanziate dall'Unione Europea.
Eppure la Politica europea di sicurezza e di difesa (la Pesd) è ormai una realtà. Solo per citare le ultime decisioni il 2 dicembre l'Ue ha assunto il controllo politico e la direzione strategica della missione militare Althea in Bosnia Herzegovina, in sostituzione dell'operazione Nato Sfor. L'operazione impegna settemila uomini (si tratta della più ampia missione Pesd sinora) e si svolge nel quadro degli accordi Berlin Plus con la Nato.
Nel quadro della missione Althea, il Cops ha nominato a capo dell'elemento di comando dell'Ue a Napoli il generale italiano Ciro Cocuzza, capo di stato maggiore del comando Nato Afsouth.
Il 6 dicembre il Consiglio europeo ha messo a disposizione 14 milioni di euro, finanziati dal bilancio generale dell'Unione, per coprire i costi operativi della missione di polizia dell'Ue in Bosnia Herzegovina (Eupm).
La presenza diretta dell'Europa con propri corpi di politica internazionale è dunque una realtà destinata a crescere e in questa crescita è probabile un utilizzo di infrastrutture sul territorio italiano da parte della Ue, in considerazione della proiezione mediterranea ed africana. Vanno quindi previste le procedure per questo genere di opere pubbliche da realizzarsi in Italia. Ma per il governo italiano l'Europa non solo va costruita in Italia, ma addirittura va "limitata".

Disapplicate le direttive europee. Infatti alcuni articoli del regolamento del Genio militare sono in contrasto con direttive europee; in particolare si esclude esplicitamente l'applicazione della direttiva 93/37/CEE e delle leggi nazionali di recepimento. Si tratta di norme che riguardano gli appalti e la cui non applicazione riduce la concorrenza e la trasparenza.
Ancora più grave dal punto di vista delle procedure europee è un articolo con il quale si prevede che per la realizzazione di opere della Nato si invitano solo imprese di Stati membri della Nato. Siamo di fronte ad una chiara infrazione al principio del Mercato unico. Escludere all'interno dell'Unione Europea ditte che risiedono in uno degli Stati membri sarà difficilmente sostenibile. La norma probabilmente è storicamente datata e va corretta, tenendo conto che ci sono paesi dell'Unione Europea che non appartengono alla Nato. Sarebbe già una concessione equiparare le ditte di paesi Nato non Ue alle ditte Ue.

Decide tutto la Nato, da sola. Un conto è infatti la leale appartenenza all'Alleanza Atlantica, un conto sono la riservatezza che deve riguardare la realizzazione di strutture di difesa, altro è il rispetto di principi costituzionali.
Invece per quanto riguarda le infrastrutture della Nato l'intero regolamento configura un vero e proprio trasferimento di sovranità nazionale senza capacità di verifica. È, ad esempio, ragionevole che per opere finanziate dalla Nato si seguano le procedure dell'Alleanza. Ma queste procedure dovrebbero almeno essere pubbliche e quindi essere allegate come protocollo aggiuntivo allo schema di decreto legislativo, con la clausola che la variazione sarà comunicata alle competenti commissioni parlamentari.
Inoltre queste procedure dovrebbero essere il risultato di appositi accordi che regolino le modalità di controllo delle autorità nazionali sul rispetto delle procedure stesse.
La carenza di partecipazione nazionale alla realizzazione di infrastrutture Nato è resa ancora più evidente dall'articolo relativo alla approvazione dei progetti. L'autorità nazionale non ha nessuna voce in capitolo secondo quanto è scritto. L'assenza dell'autorità nazionale è ancor più grave, perché essa non collabora nemmeno alla scelta del sito, essendo il suo compito limitato a garantire la disponibilità delle aree necessarie per l'esecuzione dei lavori, comprese quelle da sottoporre ad eventuali espropri.
Italia assente nella decisione, della programmazione e nell'appalto di opere della Nato. Ovviamente non si ha neppure un cenno alla realizzazione di queste opere. La totale assenza di indicazioni configura, come ho già detto, un trasferimento di sovranità che non appare giustificato e che comunque richiede almeno la pubblicità dei regolamenti generali della Nato, come allegato al regolamento nazionale.
Si tratta di una concezione ormai superata dell'Alleanza Atlantica, che conferma la scarsa modernità del regolamento che il governo ha proposto al Parlamento.

All'estero senza chiedere "permesso". Anche in altri campi questa "vecchiaia" è del tutto evidente. Faccio due esempi che riguardano le missioni internazionali, che nel 1932 e neppure nel 1959 facevano parte integrante dell'attività delle nostre Forze Armate.
C'è un articolo che dà le regole per la realizzazione di infrastrutture del Genio militare fuori del territorio nazionale. Sembra che quando sono all'estero, i nostri militari siano i "padroni" del campo, come succedeva nei tempi in cui si andava alla guerra. Non si prevede infatti la modalità di raccordo con le autorità civili e militari del paese ospitante o con l'autorità di coordinamento multilaterale, ove le autorità locali siano impossibilità ad esercitare la loro funzione. Non è poi specificato di chi è la proprietà delle infrastrutture realizzate, cioè in che patrimonio esse poi vengono iscritte. Non è precisato come essere vengono dismesse a conclusione della missione per cui sono state realizzate.
Non si tratta solo di questioni patrimoniali: indicazioni di questo tipo confermerebbero il carattere di polizia internazionale della nostra presenza all'estero, il rispetto della sovranità dei paesi ospitanti, la scelta multilaterale dell'Italia.
Un altro articola regola le infrastrutture realizzate dal Genio militare all'estero, non per finalità di difesa ma a sostegno di missioni umanitarie. Proprio per questa diversa finalità, è del tutto incongruo che la decisione sia presa esclusivamente dai comandanti delle forze dispiegate e che l'approvazione delle proposte spetti allo Stato maggiore della Difesa. Trattandosi di interventi destinati ad azioni umanitarie dovrebbe essere previsto il concerto (a mio parere la titolarità non può essere in capo alla Difesa) con altri Ministeri ed organi civili, ad esempio la Direzione generale per la Cooperazione del Ministero degli Esteri, la Presidenza del Consiglio per la Protezione civile.
Eppure non è che il governo non si sia... accorto delle nostre missioni internazionali. Se ne serve però per restringere ulteriormente la trasparenza. Suscita infatti perplessità l'estensione a tutte le attività del Genio militare dei principi contenuti nel decreto-legge n. 180 del 1999 in ordine ai limiti di spesa: infatti questo decreto si riferiva esclusivamente alle missioni in Kosovo ed in Macedonia, ossia prendeva in considerazione un ambito ristretto di applicazione ed un periodo temporale coincidente con la durata di quelle operazioni internazionali.

Gli alloggi "segreti" dei militari. Neppure per la attività in territorio nazionale delle nostre Forze Armate il regolamento del governo è aggiornato. La Destra continua ad immaginare i nostri militari acquartierati all'interno delle caserme e quindi prevede che gli alloggi dei militari abbiamo tutte le deroghe delle opere della difesa. Sembra difficile immaginare ragioni di segretezza in palazzine di edilizia pubblica costruire in quartieri residenziali e destinate ai militari.
Il risultato di queste scelte è la sottrazione di un'altra fetta di investimenti alla concorrenza e al mercato. Ad esempio il governo prevede che il Genio militare possa procedere a trattativa privata per lavori il cui importo ecceda la soglia comunitaria dei trecentomila euro. A queste gare informali di notevole rilievo economico il Genio militare può invitare anche solo cinque imprese, mentre la legge generale sui lavori pubblici prevede che gli invitati siano almeno quindici.
La scelta della trattativa privata è poi autoreferenziale, decisa dallo stesso Ministero della Difesa. Occorre invece ricercare una procedura trasparente volta ad accertare l'effettivo carattere militare dell'opera sottoposta a segreto, ad esempio con una comunicazione all'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici nel caso di lavori sottoposti a segreto militare. Ma anche questo richiamo sarebbe stato troppo "moderno" per il regolamento-fotocopia.
Tutto questo avviene in un periodo particolare: siamo all'avvio dell'esercito professionale e la specificità del ruolo dei militari va esaltata, ma deve riguardare il più possibile la loro missione e il meno possibile il loro stato. È cioè indispensabile che comportamenti e norme evitino del tutto i rischi di separazione tra le nuove Forze Armate e la società italiana.

1 marzo 2005


2 marzo 2005
sd-133
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Tino Bedin