di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Difesa
Le armi all'uranio impoverito fanno male ai militari? Il dubbio, in molte situazioni tragico, è non solo di militari italiani impiegati in operazioni di pace nei Balcani e successivamente colpiti da tumori maligni. Il dubbio non è solo dei loro familiari, che lo vivono spesso con una sensazione di isolamento e di impotenza. Sono ormai anni che in Senato si cerca il modo di dare una risposta, in particolare all'interno della Commissione Difesa. Interpretazioni regolamentari, competenze delle due Camere, incertezze del governo hanno finora tenuto lontano il Parlamento da un'azione diretta.
Ora le difficoltà sembrano essere superate. Tutti i gruppi parlamentari si sono dichiarati d'accordo nell'istituire una commissione parlamentare d'inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace e sulle condizioni della conservazione e dell'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari in Italia. Entro settembre la Commissione Difesa del Senato potrebbe esaurire la discussione. Ho già proposto che si possa chiedere ed ottenere che la decisione definitiva possa essere presa sempre in Commissione in sede deliberante, senza aspettare il calendario dell'aula di Palazzo Madama.
Il coinvolgimento delle alleanze militari. Il Senato può fare meglio di commissioni scientifiche o di iniziative ministeriali, che pure ci sono state in questi anni, da quando la "sindrome dei Balcani" si aggira come uno spettro tra i militari italiani impegnati all'estero? La domanda è emersa anche nel confronto in Commissione Difesa. Oltre che porre in problema dell'ambito dell'inchiesta parlamentare, essa contiene anche il dubbio della possibile politicizzazione.
Io credo che l'intervento diretto del Senato sia utile non perché farà meglio dei tecnici, ma perché è in grado di apportare qualcosa di più rispetto ai risultati delle analisi tecniche e scientifiche, che non solo restano fondamentali, ma vanno approfondite.
La presa in carico da parte del Senato dà innanzi tutto ai militari colpiti e ai loro familiari la consapevolezza di non essere soli. Quel "sentimento di patria" che viene evocato sempre in Parlamento quando si parla dei militari all'estero (se ne è avuta conferma anche nell'ultima discussione parlamentare sulle missioni militari internazionali a fine luglio) deve essere tenuto vivo sempre, anche al di fuori delle situazioni "eroiche", anche quando la battaglia è con la malattia e non con il terrorismo.
In secondo luogo il dubbio sull'uranio impoverito non è solo tecnico, non è solo militare: è anche un dubbio politico, perché coinvolge direttamente la partecipazione dell'Italia a coalizioni internazionali, in particolare l'Alleanza Atlantica e la Forza europea di intervento rapido. Il governo da solo non basta ad assicurare la massima trasparenza ed affidabilità delle conclusioni e soprattutto delle conseguenze sul piano delle regole di ingaggio dei nostri militari e di quelli di altri paesi delle forze multinazionali. Una commissione parlamentare, per la sua natura e la sua composizione, ha invece la possibilità di formulare ipotesi di lavoro e di esprimere conclusioni più aderenti alla effettiva realtà che si scopre.
Una risposta anche alle popolazioni coinvolte. Il paventato rischio della politicizzazione è nel caso della "sindrome dei Balcani" molto ridotto, per non dire inesistente, non fosse altro che per il fatto che il punto di partenza dell'inchiesta riguarda missioni iniziate nella scorsa legislatura. Ma non solo: voglio ricordare che sia il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che il presidente della Commissione europea Romano Prodi sono intervenuti perché la Nato faccia piena luce sull'uranio impoverito. La conferma che questo rischio non esiste si è avuta comunque già nel primo confronto alla Commissione Difesa del Senato.
C'è invece un altro rischio, che l'ambito dell'inchiesta affidata alla commissione del Senato sia allargato ad altre situazione di rischio. Il problema della tutela sanitaria del personale militare italiano esiste ed io stesso l'ho sollevato in queste settimane anche formalmente con emendamenti che ho presentati al decreto sulle missioni militari internazionali e che sono stati bocciati. Tuttavia non è la commissione d'inchiesta lo strumento per dare risposta a questo tema generale. Soprattutto si finirebbe con il lasciare senza risposta il dubbio che attanaglia militari e familiari.
A mio parere la commissione deve misurarsi con il tema dell'uranio impoverito e limitarsi ad esso. Il che non significa che non si tratti di un tema generale: esso va affrontato infatti non solo in riferimento ai militari, ma anche avendo attenzione alle popolazioni per le quali i nostri militari si sono impegnati in azioni di pace e puntando alla creazione di regole che riguardino l'Italia all'interno delle alleanze militari di cui fa parte.
Per questo, in vista del dibattito di metà settembre nella Commissione Difesa, ho predisposto una proposta che prevede per la commissione d'inchiesta "le seguenti finalità: a) indagare sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano, civile e militare, impegnato nelle missioni internazionali di pace; b) accertare le effettive condizioni di stoccaggio e conservazione dei materiali bellici contenenti uranio impoverito, anche verificando gli eventuali effetti di contaminazione sulle popolazioni residenti nei territori interessati; c) verificare se ed in quale misura, in occasione di esercitazioni militari sul territorio nazionale sia stato utilizzato materiale bellico contenente uranio impoverito, accertando in tal caso gli eventuali effetti di contaminazione sulle popolazioni residenti nei territori interessati; d) individuare le misure più idonee a favorire la massima trasparenza negli scambi informativi con i Paesi alleati in ordine all'impiego e allo stoccaggio di materiali che possano esporre le popolazioni e gli operatori a danni alla salute non controllabili né circoscrivibili".
28 luglio 2004
|