di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Difesa
Per dire "No" al decreto sulle missioni internazionali basta votare a nome della "superpotenza" che si è manifestata ed espressa un anno fa: l'opinione pubblica mondiale. Per votare "No" basta essere parte di quella cittadinanza europea che, ha ricordato Romano Prodi al Palasport di Roma il 14 febbraio, si è concretizzata per la prima volta proprio sulla pace.
Io ho votato "No" nel voto finale in Senato non solo per queste due scelte di campo, ma perché va respinto il decreto così come è congegnato.
La Destra strumentalizza i militari. Il governo prima, la maggioranza poi stanno tentando di utilizzare i militari italiani non per portare la pace nel mondo, ma per portare la "guerra" all'interno dell'opposizione. Finalità meschina; politicamente irresponsabile: essa mette le istituzioni a servizio della politica: in questo le "istituzioni" sono persone, hanno i volti e nomi dei nostri militari impegnati all'estero.
Senza discussione e senza motivazione - non è tale l'affermazione che si tratterebbe di una legge di spesa, di puro rifinanziamento - il governo e la maggioranza hanno fatto un passo indietro rispetto al cammino che era stato percorso con il precedente decreto sulle missioni militari internazionali, quando si era preso atto della differenza esistente tra l'intervento in Iraq e le altre missioni internazionali cui l'Italia partecipa.
I militari italiani, esperti riconosciuti per operazioni di pace, vanno protetti contro questa Destra: la scelta fatta in Iraq compromette l'immagine del soldato italiano nel mondo, mette in difficoltà anche le altre le altre missioni prorogate dal decreto.
Ho votato "No" al decreto per respingere questa strumentalizzazione meschina ed irresponsabile; irrispettosa nei confronti dei militari italiani, della loro professionalità.
Il voto è sul governo. Invece di far discutere il Parlamento sui problemi e sulle esigenze delle persone impegnate in Iraq e in molte altre parti del pianeta, con il decreto sulle missioni militari internazionali il governo ha chiesto al Parlamento un voto sulla sua politica estera. Il provvedimento è congegnato in modo che prima il Senato e poi la Camera mettano il timbro "si approva" su un'operazione come l'intervento in Iraq, che la maggioranza parlamentare il 15 aprile del 2003 aveva autorizzata solo per "assicurare il futuro migliore al popolo iracheno" e che il governo ha invece interpretata come realizzazione delle velleitarie ambizioni di un presidente del Consiglio che crede di essere grande solo perché si mette alla destra di Bush.
Ho votato "No" al decreto perché questo è il tema che il governo ha proposto al Parlamento: il "No" è il solo voto possibile se si tratta della politica estera della Destra.
Tutto uguale a sei mesi fa in Iraq? Per questo "voto a pie' di lista" sulle proprie scelte il governo non ha ritenuto di dover presentare neppure un rendiconto: eppure nella conversione in legge del precedente decreto sulle missioni era prevista, per legge, una relazione al Parlamento. Non è mai stata né presentata né discussa. Il "No" al decreto censura questa lacuna illegale, che ha fatto comodo alla Destra.
Non c'è stato al Senato un solo emendamento presentato dalla maggioranza: tutto perfetto in Iraq, tutto uguale a sei mesi fa, nessun dubbio. La strage di Nassiriya è come non ci fosse stata. Il sacrificio dei militari italiani caduti e delle loro famiglie è citato per tuonare che non si può indietreggiare; viene anche utilizzato per zittire chi, come me, propone di cambiare la natura della nostra missione, anche per evitare che i militari italiani finiscano per essere confusi con gli occupanti e patiscano da questo giudizio altre conseguenze .
La maggioranza non ha voglia di parlare dei nostri militari, perché accettare la discussione significherebbe farsi venire qualche dubbio sulla scelta di partecipare all'intervento unilaterale in Iraq, interrogarsi sulle ragioni della nostra presenza, fare quello che persino gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno facendo: promuovere un'inchiesta sulle informazioni fasulle, ora che tutti ammettono che l'Iraq non aveva armi di distruzione di massa. Significherebbe andarsi a rileggere le sicurezze esposte in Parlamento da Berlusconi, da Frattini, da Martino a proposito di Saddam Hussein e chiedere loro chi li ha imbeccati.
Ricominciare insieme, in molti. Ci sono due obiettivi che il "No" al decreto può contribuire a raggiungere: interrompere il legame tra l'Italia e le forze di occupazione; rilanciare concretamente il ruolo delle Nazioni Unite.
C'è chi ci invita a prendere atto che i nostri militari "ormai" sono in Iraq. C'è chi mette in risalto la condizione della popolazione irachena in assenza di un potere efficace. C'è chi continua a dire che non bisogna lasciare soli gli americani (e non sai mai se lo dicano perché amano gli Usa o perché li temono). Credo che il bene dell'Italia, il bene dell'Iraq, il bene degli Usa si raggiungono con meno difficoltà e meno tragedie se si ricomincia da capo, in molti, insieme con gli iracheni. Per ricominciare una strada insieme, bisogna dichiarare che quella che si è intrapresa in maniera solitaria ed avventurosa è finita. È finito anche l'intervento italiano. Si vota "no" alla proroga. Si riparte.
26 febbraio 2004
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