di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Difesa
Erano tutti volontari, erano tutti professionisti i caduti di Nassiriya. Ma è una professione o anche qualcos’altro, la vita militare? Soprattutto, è qualcosa di più di una professione? La risposta data dagli italiani è stata chiara.
Anche le leggi e l’organizzazione devono ora dire qualcosa di più.
La difesa della pace e la tutela della democrazia, entrambe affermate nella Carta costituzionale italiana e nel Trattato costituzionale europeo, sono compiti non circoscritti ad una professione, pur dovendone avere tutte le peculiarità. Sono compiti svolti a nome e per conto di tutti i cittadini. È dunque necessario affermare che il servizio militare mantiene la connotazione di servizio costituzionale anche nella sua espressione professionale; si tratta di un servizio che la comunità delega in questa fase della vita repubblicana ad un gruppo di propri componenti, ma di cui resta titolare.
Il servizio militare professionale come ruolo costituzionale delegato: si fonda su questa consapevolezza, costituzionale e politica insieme, la realizzazione di una moderna, apprezzata, valorizzata professione militare; su questa consapevolezza si costruiscono il presente ed il futuro delle Forze armate, con effetti immediati nella considerazione sociale della vita militare, ma anche sui comportamenti delle istituzioni repubblicane.
La cittadinanza ancora limitata. La tragedia di Nassiriya fa diventare argomenti di opinione pubblica anche temi che finora i militari hanno dovuto affrontare da soli, come i temi della cittadinanza, come i diritti sociali o quelli sindacali.
La trasformazione professionale dell’esercito comporta una più compiuta considerazione delle persone delle Forze armate in quanto depositarie di diritti di cittadinanza, che non si può continuare a considerare “cedenti” rispetto alla condizione militare.
I militari sono cittadini, a partire dall’esercizio del voto, per citare un caso concreto di mancato adeguamento alla nuova condizione professionale. L’attività all’estero dei cittadini in armi è non solo una condizione di vita normale ma viene considerata - come si è visto anche in questa tragedia - una delle specificità dell’esercito professionale. Come è possibile non prevedere che i cittadini in armi possano esercitare normalmente il diritto di voto all’estero, come ad esempio avviene per i militari statunitensi?
La mancanza di un organo di tutela del personale che possa farsi sentire come forza contrattuale è, poi, una delle condizioni di insicurezza del personale militare e un freno al miglioramento di queste condizioni. Ci vuole una rappresentanza con un potere negoziale, come è in molti paesi europei. Da tempo il Parlamento europeo chiede che le legislazioni nazionali riconoscano ai militari di professione, in tempo di pace, la facoltà di esercizio dei diritti associativi e sindacali, a tutela dei loro interessi professionali.
17 novembre 2003
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