SICUREZZA E DIFESA
Le conclusioni della Commissione Difesa del Senato
Il servizio militare professionale:
un ruolo costituzionale
collegato ai cittadini e al territorio

Indagine conoscitiva sul reclutamento e sulla formazione dei militari a lunga ferma delle Forze armate

di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Difesa

Abbiamo prestato attenzione ai soldati, alla qualità della loro vita, alla dislocazione e all'organizzazione delle caserme, alle prospettive di carriera, alla paga. Sono aspetti fondamentali per la vita di persone che compiono una scelta professionale non tradizionale, quale è comunque quella militare, sia che si tratti di una scelta a tempo sia che tratti di una scelta di vita.
Partendo dalla vita delle persone, la commissione Difesa del Senato, attraverso la propria "Indagine conoscitiva sul reclutamento e sulla formazione dei militari a lunga ferma nelle Forze armate", è in grado di arrivare a conclusioni che non riguardano solo le persone e la loro vita. Riguardano la struttura cui appartengono, riguardano una componente essenziale della complessiva organizzazione della Repubblica.
Certo in tema di reclutamento di un personale volontario e temporaneo ci sono innovazioni che solo la struttura militare è in grado di progettare e realizzare. Le leggi possono aiutare, ad esempio spingendo perché il reclutamento regionale diventi la norma, come per i Corpi non militari, ma l'adeguamento della mentalità, dello stile di rapporti è tutto interno. Penso ad esempio alla formazione della gerarchia intermedia nel rapportarsi con giovani che hanno motivazioni diverse e diverse prospettive rispetto ai giovani di leva.
Al momento del reclutamento occorre valorizzare molto, oltre alla componente psico-fisica del candidato, la sua reale e motivata volontà di inserirsi armonicamente in un contesto molto gerarchizzato quale è quello militare. Ciò per evitare dimissioni spesso non "pesate" nel momento in cui si approfondisce il reale valore del contesto in cui si viene inseriti. Di concerto, servono maggiore umanizzazione e disponibilità da parte della gerarchia ad aiutare i giovani che si arruolano.

Il Senato analizza le domande dei militari e individua le risposte. "La Commissione ritiene che, al fine di conseguire gli obiettivi di funzionalità, equilibrio organizzativo e sostenibilità delle missioni ad esso assegnate, l'Esercito abbia la necessità inderogabile di eliminare o attenuare il più possibile le difficoltà nel reclutamento di personale volontario, definendo sicuri modelli d'alimentazione, nella considerazione che ogni possibile fluttuazione negativa nello specifico settore determinerebbe conseguenze allarmanti".
"In particolare, non è da sottovalutare la riconsiderazione dell'anticipazione al 2004 della sospensione del servizio militare di leva, eventualmente rispettando i termini già indicati dalla normativa in vigore, intensificando, contestualmente, un'efficace promozione del militare di leva verso l'opzione per il servizio volontario".
"Il trattamento economico del personale militare è uno dei principali ambiti d'intervento sul quale è opportuno portare l'attenzione, al fine di salvaguardare la peculiarità della condizione militare".
"A parere della Commissione, la qualità della vita nel corso del servizio e nelle caserme è un aspetto finora trascurato. I problemi più gravi messi in evidenza da parte dei soldati nelle varie caserme visitate, in particolare in quelle dislocate in zone disagiate e lontane dalle zone d'origine dei giovani, si riferiscono alle carenze alloggiative interne, al servizio di vettovagliamento, alla mancanza d'alloggi a prezzo agevolato per i nuclei familiari e alla spesso carente disponibilità di infrastrutture e attrezzature per il tempo libero e per lo svago".
Ho citato alcuni brani della proposta di relazione del senatore Luigi Manfredi. Alle stesse conclusioni arriva la relazione del senatore Pascarella. Stabilità del reclutamento, trattamento economico adeguato o almeno comparabile a quello di altri servizi repubblicani, qualità della vita con specifico riferimento all'alloggio: sono questi i problemi che con documentata analisi l'indagine della commissione Difesa del Senato evidenzia al parlamento e al governo. Problemi noti, anche prima dell'indagine, ma ora ufficializzati dall'iniziativa di una commissione parlamentare, organo che non è un ufficio studi e che non lavora per diffondere le conoscenze ma per fare leggi. Dunque le indicazioni che emergono dall'indagine dovrebbero essere coerenti con le politiche che sia il governo che la maggioranza propongono ed attuano

Il governo rende impraticabili le soluzioni. Questa indagine conoscitiva si conclude all'interno della sessione di Bilancio qui in Senato. Ora non voglio riaprire il dibattito che abbiamo fatto a proposito della legge Finanziaria, ma è evidente a tutti che alcune delle problematiche emerse dall'indagine non potranno essere risolte se lo strumento di programmazione non è adeguato sia nei contenuti economici che in quelli normativi. Il Cocer Comparto Difesa in un comunicato ufficiale si è detto "fortemente preoccupato dell'impatto che la proposta di legge finanziaria in itinere avrebbe sul personale qualora non fosse modificata" ed ha ricordato che "le aspettative sulle risorse per i rinnovi contrattuali, per le carriere, per la questione dell'amianto e per gli alloggi, sembrano essere disattese".
Stipendi ed alloggi sono per l'appunto due degli elementi di criticità che l'indagine ha appurato.
Aggiungo che il Finanziaria non c'è un progetto programmatico per l'anticipazione della fine della leva obbligatoria.
I parlamentari non possono seguire il governo in questo comportamento incongruente. Da una parte vuole anticipare la fine della leva, dall'altro non prevede le condizioni finanziarie perché questo avvenga, presupponendo che la trasformazione sia a costo zero. L'indagine della Commissione Difesa ha ulteriormente documentato che questo non può avvenire, anzi che con questo approccio si determinerà una crisi dell'arruolamento.
Addirittura il governo va a prendere risorse economiche dai militari per impiegarle altrove.
Ad esempio, proprio mentre è in atto la loro impegnativa trasformazione professionale, la manovra economica per il 2004 priva le Forze armate della possibilità di soddisfare almeno una delle esigenze che sono sotto gli occhi di tutti e che l'indagine conoscitiva ha confermato: la modernizzazione del sistema alloggiativo. Sottraendo la gestione del patrimonio immobiliare ad una attività di reinvestimento da parte delle Forze armate, non solo si impoverisce il comparto Difesa oggi e domani, ma si lancia un segnale negativo a chi oggi svolge questa professione e a chi vorrebbe entrarci: i costi delle politiche economiche di questo governo li dovete pagare non solo come contribuenti, ma anche come militari; prezzo doppio dunque per i militari, come se non bastassero le condizioni negative cui essi sono sottoposti nella vita quotidiana ad allontanare le persone dall'abbracciare la professione militare.

Qualcosa di più di una professione? È una professione o anche qualcos'altro, la vita militare? Soprattutto, è qualcosa di più di una professione?
La risposta a questa domanda è un punto che l' indagine ha lasciato nell'ombra.
Le conclusioni a cui stiamo per arrivare confermerebbero che si tratta di una professione e basta. La descrizione delle motivazioni del passaggio dall'esercito di leva all'esercito professionale, centrata sui contenuti operativi e sulle connotazioni sociali, avvalora questa rappresentazione. Le cause per le quali il reclutamento è in difficoltà sono sostanzialmente cause professionali, collegate cioè al trattamento economico, alla carriera e quindi alla sicurezza del posto di lavoro, alle condizioni di espletamento del proprio lavoro. Quando lo stesso ministro della Difesa propone la creazione di una "Brigata albanese" per sopperire alle difficoltà del reclutamento di persone italiane, avvalora - anzi svilisce - questa tesi.
Certamente la componente professionale c'è tutta intera. In particolare nella fase della trasformazione certamente occorre valorizzare, sia nella considerazione dell'opinione pubblica che nella valutazione del personale militare, l'aspetto del lavoro, anche per spingere al miglioramento complessivo della qualità della vita professionale.
Ma il miglioramento della vita professionale - con le risorse economiche ed organizzative che esso richiede - si avrà a condizione che si riconosca che nella scelta della vita militare c'è qualcos'altro rispetto alla professione, c'è qualcosa di più.
La relazione del senatore Manfredi ne fa cenno proprio nell'ultimo periodo, ricordando che "le Forze armate e i loro uomini sono ormai da oltre dieci anni ambasciatori dell'Italia in tutti quei teatri ove la Comunità internazionale ha deciso di intervenire per ristabilire la pace e la democrazia. I nostri soldati stanno rendendo un ottimo servizio al Paese". Ma è messa più per rafforzare le conclusioni precedenti che per inquadrare gli interventi richiesti in una visione più completa di quella professionale. La citazione di "un di più" nella scelta militare c'è nelle conclusioni della relazione del senatore Pascarella, dove si richiama, seppure solo per confronto, la Costituzione: "La Commissione ritiene che la trasformazione dell'esercito di leva in un esercito professionale debba garantire al personale militare condizioni di lavoro e di vita migliori di quelle fin qui realizzate quando si chiedeva a 200-250 mila giovani di sacrificare un anno della loro vita per adempiere ad un diritto-dovere costituzionale. Questo spirito del sacrificio nobilitato da un fine fortemente etico ha condizionato anche la componente da sempre professionale. Prova ne sia il fatto che una serie di diritti ritenuti fondamentali in ogni rapporto di lavoro o di servizio sono stati riconosciuti al personale militare di carriera soltanto recentemente".

La delega di un servizio costituzionale. Bisogna comunque dire di più. La difesa della pace e la tutela della democrazia, entrambe affermate nella Carta costituzionale italiana e nel Trattato costituzionale europeo, sono compiti che non possono essere solo una professione, pur dovendone avere tutte le peculiarità. Sono compiti svolti a nome e per conto di tutti i cittadini. È dunque necessario affermare che il servizio militare mantiene la sua connotazione di servizio costituzionale anche nella sua espressione professionale; si tratta di un servizio che la comunità delega in questa fase della vita repubblicana ad un gruppo di propri componenti, ma di cui resta titolare.
Il servizio militare professionale come ruolo costituzionale delegato: si fonda su questa consapevolezza, costituzionale e politica insieme, la realizzazione di una moderna, apprezzata, valorizzata professione militare; su questa consapevolezza si costruisce il presente ed il futuro delle Forze armate.
Questa visione ha effetti immediati nella considerazione sociale della vita militare, ma anche sui comportamenti delle istituzioni repubblicane, che sono chiamate a non lasciare a se stesso l'esercito, a collaborare - a nome dei cittadini di cui sono espressione - al raggiungimento degli obiettivi costituzionali delegati alle Forze armate. Le situazioni in cui rendere evidente questa collaborazione sono molteplici. Di alcune parlerò più avanti, trattando ad esempio il tema del reclutamento. Mi limito - solo come esempi che possono dare un'idea dell'ampiezza delle opportunità - a situazioni che riguardano due articolazioni della Repubblica, l'autonomia municipale e l'autonomia scolastica.

Al posto degli "uffici leva" nei Comuni. Comincio dalle amministrazioni locali. Gli "uffici leva" dei Comuni appaiono in una visione solo professionistica delle Forze armate come strumenti destinati alla storia: letteralmente essi sopravviverebbero alla fine della leva obbligatoria solo per gestire i documenti "storici" del periodo in cui quella vigeva; non avranno infatti più cittadini da organizzare.
Questi uffici dovrebbero piuttosto essere riconvertiti e potenziati. Per quanto riguarda l'indagine della commissione Difesa del Senato, va segnalato che ci sono delle esperienze di Comandi militari che hanno attivato dei "punti di informazione" in collaborazione con i Comuni. Sono esperienze positive, che non dovrebbero essere lasciate alla buona volontà e di cui la relazione conclusiva dovrebbe dare notizia.
Ma il ruolo costituzionale delle Forze armate richiede che presso i municipi siano attivi uffici di consulenza e organizzazione al quale le persone possano far riferimento per il servizio militare ed anche per il servizio civile. Pur nella diversità della struttura e della finalità, l'uno e l'altro verrebbero così valorizzati come periodi ed occasioni di servizio alla comunità nazionale ed ai valori costituzionali. Da uffici leva a "uffici per il volontariato repubblicano": attraverso di essi il Comune - la più diffusa dimensione della nostra Repubblica - può collaborare, per limitarmi all'oggetto dell'indagine conoscitiva, con le Forze armate, indicando così ai giovani che la loro scelta ha anche una dimensione comunitaria.

Il rapporto tra militari professionisti e territorio. Questo legame tra il militare e la sua comunità non può esaurirsi nel momento della scelta.
C'è un aspetto delle nostre Forze armate professionali che l'indagine del Senato fotogra con grande nitidezza: la loro meridionalizzazione.
"È innegabile - annota la relazione del senatore Manfredi - come la situazione geo-economica ed occupazionale del Paese influisca nelle scelte individuali. Ciò è riscontrabile nella netta preponderanza di volontari d'estrazione meridionale, oggi arruolati nelle schiere dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica. Affinché la scelta del militare di truppa non scada a mera alternativa allo stato di disoccupazione, occorre che la professione militare sia elevata al rango che merita all'interno della società civile".
La relazione del senatore Pascarella ne fa una delle condizioni di maggiore problematicità, tanto che vi dedicata un apposito capitolo in cui descrive "la riproposizione di una questione meridionale".
"Oggi, i dati sul reclutamento ci dicono che la questione meridionale si sta riproponendo. Il reclutamento raggiunge l'80% nelle regioni meridionali e in quelle insulari. Sul piano funzionale questa situazione ha messo in seria difficoltà l'alimentazione di corpi che erano particolarmente legati al territorio. Ci riferiamo essenzialmente alle truppe alpine", con il rischio di "disperdere un bagaglio di valori e di tradizioni sviluppatosi nel tempo tra le popolazioni delle regioni alpine e le truppe alpine stesse". "Ma il reclutamento al sud e l'impiego al nord pongono innanzitutto un problema di modello sociale. L'impiego e la permanenza nelle regioni del nord aumentano i problemi. Intanto c'è la necessità di adattarsi ad un ambiente nuovo. E non è questo soltanto un problema psicologico. Se il rapporto con l'esterno diventa difficile si rafforza la tendenza a rimanere dentro la caserma anche oltre il necessario e non si sviluppa quel processo di integrazione sul territorio utile sia alle popolazioni sia alle forze armate. Il costo della vita è di solito più elevato e quindi il trattamento economico percepito appare nel tempo sempre più inadeguato, soprattutto quando il progetto diventa quello di formare una famiglia".
Le due relazioni ricavano dalla constatata meridionalizzazione delle Forze armate una serie di indicazioni e di soluzioni che in buona parte condivido, e che qui non richiamo, anche se prima di risolvere i problemi determinati dalla innaturale composizione socio-geografica delle nostre Forze armate, è utile cercare di ridurre, se non eliminare, il problema all'origine.
Una delle strade da percorrere è - a mio parere - quel rapporto fra i litari professionisti ed il territorio che è citato - pur in contesti diversi e con finalità non convergenti - dalle due relazioni. È per questo che richiamo il tema della meridionalizzazione mentre sto individuando i ruoli che i Comuni possono svolgere a fianco delle Forze armate. Un maggiore equilibrio territoriale nel reclutamento si può ottenere se i militari sono avvertiti dalle comunità come propri componenti, non solo a livello individuale ma anche a livello di struttura. Questo si registra già - ad esempio - nei Carabinieri. Anche nell'Arma c'è una prevalenza geografica del Sud, ma non nelle proporzioni individuale per l'esercito: il 60 per cento dei carabinieri è meridionale, il 40 per cento è centro-settentrionale. Questo minore squilibrio ha molte ragioni, ma quella determinante è certamente la condizione di migliore inserimento nella vita sociale delle Forze dell'ordine. Queste ultime sono avvertite come immediatamente utili alla vita normale della comunità: professionisti, certamente; legati alle strutture gerarchiche dello Stato, certamente; ma contemporaneamente a disposizione della comunità locale.
Ciò può accadere anche per i militari a condizione che venga loro offerta l'opportunità continua di essere presenti nella vita sociale della loro comunità. Ci vuole sforzo di fantasia (personale del Genio che risolve problemi cittadini di manutenzione straordinaria, altrimenti non risolvibili per scarico di responsabilità fra enti preposti, sistemazione sentieri alpini, addestramento degli studenti delle classe superiori alla difesa civile). Qui possono continuativamente operare i Comuni. Pensiamo a come potrebbe essere recuperata - ad esempio - la tradizione delle truppe alpine, se i militari professionisti operassero anche nella loro zona di provenienza.
Si tratta di rendere stabile una attività che i militari sanno fare nelle emergenze. E non si tratterebbero di attività estranea alla loro formazione, in quanto le operazione di peace-keeping e di peace-enforncing all'estero prevedono quasi sempre interventi di sostegno alle popolazioni e di supplenza rispetto all'organizzazione pubblica locale.
Aggiungo che questa specifica prospettiva potrebbe spingere anche la presenza femminile nella Forza armata, visto lo scarsissimo appeal che sta esercitando.

Regionalizzare l'agenzia per l'impiego della Leva. Un rapporto stabile e strutturato tra militari professionisti e territorio offrirà anche la base per concretizzare quell'azione di supporto allo sbocco professionale che a livello nazionale la Direzione generale della Leva ha intrapreso con la stipula di specifiche convenzioni con le organizzazioni degli imprenditori, "al fine di agevolare l'inserimento nel mondo del lavoro al termine della ferma contratta dal personale di truppa congedatosi senza demerito", annota la relazione del senatore Manfredi, aggiungendo che "si tratta, è bene precisare, di un'esigenza al momento circoscritta a poche unità, in quanto l'Esercito, attraverso l'attivazione di periodiche procedure concorsuali, ha proceduto al transito in servizio permanente della totalità dei volontari in ferma breve meritevoli".
Questa iniziativa andrà richiamata anche nelle conclusioni dell'indagine, aggiungendo che è opportuno fin da ora, prima che le dimensioni diventino difficilmente gestibili, decentrare a livello regionale questa agenzia per l'impiego, in modo da consentire ai militari che non restano nelle Forze armate di essere contattati dalle ditte civili locali. L'accreditamento dell'agenzia per l'impiego dovrebbe essere esteso anche ai volontari in ferma annuale, che attualmente ne sono esclusi.
La regionalizzazione dell'agenzia per l'impiego dovrà avere fra i propri compiti anche quello di promuovere i contatti tra soldati ed imprese, anche sull'esempio di convenzioni già sottoscritte con associazioni imprenditoriali locali.
Le recenti nuove competenze delle Province in materia di occupazione e di formazione professionale, sono un altro campo nel quale l'Agenzia per l'impiego regionalizzata delle Forze armate trova strumenti per assolvere alla propria missione.
L'esistenza di queste convenzioni e di questi rapporti preordinati costituirà un incentivo per i giovani volontari non solo ad entrare nelle Forze armate, ma anche a dare la disponibilità per assegnazioni non altrimenti appetibili.

Crediti formativi scolastici tra i lagunari. Quelli che ho citati sono solo esempi di un necessario rapporto tra autonomie locali e Forze armate. Qualche esempio si può fare anche per i rapporti di queste ultime con le autonomie scolastiche.
Nella dimensione puramente professionistica sarebbe ingiustificata un'attività specifica dei docenti delle scuole superiori verso questo tipo di impegno dei giovani diplomandi. Nella dimensione di ruolo costituzionale invece un'attività della scuola pubblica per il servizio militare (ed anche per il servizio civile, lo ricordo di tanto in tanto per evitare fraintendimenti) sarebbe senz'altro giustificata e potrebbe arrivare fino a conferire alle presidenze degli istituti superiori la possibilità di raccogliere le domande di interesse da trasferire poi agli organi competenti.
Nel frattempo la presenza delle Forze Armate nelle scuole va comunque organizzata secondo esperienze positive già in atto.
Particolarmente interessante mi sembra al riguardo l'acquisizione di crediti formativi da parte degli alunni all'interno delle Forze armate: in Lombardia, Veneto e Liguria ci sono già esperienze di stages che - dopo l'iniziale incertezza dei capi di istituto - sono stati apprezzati sia dagli studenti che dai dirigenti scolastici. In Veneto, ad esempio, sono stati realizzati stages nei lagunari molto apprezzati dai giovani, per l'inserimento diretto nell'ambiente militare. Si tratta di un veicolo di conoscenza molto importante che va perseguito, anche se comporta un ulteriore aggravio di attività per i reparti operativi.

Cittadini a partire dall'esercizio del voto. Affrontare la condizione del servizio militare come espletamento di un ruolo costituzionale delegato non ha conseguenze solo per i comportamenti delle istituzioni repubblicane, di cui ho proposto qualche esempio. Comporta anche una più compiuta considerazione delle persone delle Forze armate in quanto depositarie di diritti di cittadinanza. Richiede di non continuare a considerare questi diritti come cedenti rispetto alla condizione militare, come è avvenuto nell'esercito di leva, anche in considerazione della "provvisorietà" di quella condizione per le singole persone.
I militari sono cittadini, a partire dall'esercizio del voto, per citare subito un caso concreto di mancato adeguamento alla nuova condizione professionale. L'attività all'estero dei cittadini in armi è non solo una condizione di vita normale ma viene considerata - anche come risultato della nostra indagine - una delle specificità dell'esercito professionale. Come è possibile non prevedere che i cittadini in armi essi possano esercitare normalmente il diritto di voto all'estero, come ad esempio avviene per i militari statunitensi?
Nessuno ce l'ha chiesto nel corso della nostra indagine? Ma la questione è stata posta tra le deficienze di cui il Senato vuole farsi carico?

L'aggiornamento della rappresentanza militare. Sul tema della cittadinanza dei militari c'è troppo silenzio nella proposta di relazione del senatore Manfredi. La relazione afferma che "il passaggio da Forze armate basate sulla leva ad uno strumento militare professionale, al di là dalle considerazioni economico-finanziarie, implica una ridefinizione delle caratteristiche delle risorse umane a disposizione delle Forze armate in relazione al tempo di permanenza nell'istituzione". La ridefinizione dei diritti di cittadinanza non è però indicata tra le caratteristiche dei futuri militari professionisti.
Anzi, secondo la proposta di relazione, la "rideterminazione organizzativa dovrà incidere sulle seguenti opportunità: miglioramento della qualità della vita, armonizzazione della formazione specialistica con corrispondenti percorsi formativi privati, adeguamento del trattamento economico" e "l'insieme dei summenzionati provvedimenti è volto a ristorare l'indiscusso disagio della condizione militare che comporta una serie di privazioni, la limitazione d'alcune libertà costituzionali, l'assoggettamento ad una più stringente normativa a carattere disciplinare e penale (il militare, oltre al Codice penale ordinario è soggetto anche al Codice penale militare)".
L'idea che ne ricavo è di uno scambio fra miglioramento organizzativo e permanere degli attuali limiti all'esercizio della cittadinanza, il cui adeguamento a lavoratori professionisti non è nemmeno preso in considerazione.
Ho già citato il passaggio della proposta di relazione del senatore Pascarella nella quale invece si ricorda "che una serie di diritti ritenuti fondamentali in ogni rapporto di lavoro o di servizio sono stati riconosciuti al personale militare di carriera soltanto recentemente" ed aggiunge: "Ed altri attendono ancora di essere riconosciuti. Il passaggio al professionale impone una accelerazione sotto tutti i punti di vista: i diritti di rappresentanza, il trattamento economico, le condizioni di lavoro, la flessibilità di impiego, la piena conciliabilità delle esigenze di servizio con quelle della famiglia. Il fatto che l'esercito professionale sarà composto di uomini e donne rafforza tutte queste esigenze".
La mancanza di un organo di tutela del personale che possa farsi sentire come forza contrattuale è una delle condizioni di insicurezza del personale militare e un freno al miglioramento di queste condizioni. Ci vuole una rappresentanza con un potere negoziale, come è in molti paesi europei. Va messo anche questo tra gli aspetti negativi della situazione italiana che, come è scritto nella proposta di relazione Manfredi, "sono stati percepiti in modo più netto, incidendo vieppiù sul morale del personale, dal momento in cui è aumentato il processo d'integrazione internazionale, con la sempre più consistente partecipazione ad operazioni con forze alleate".
Da oltre un ventennio del resto il Parlamento Europeo attraverso risoluzioni e raccomandazioni (l'ultima delle quali è la 1572 del settembre dello scorso anno) continua ad esortare gli stati membri affinché le legislazioni nazionali riconoscano ai militari di professione, in tempo di pace, la facoltà di esercizio dei diritti associativi e sindacali, a tutela dei loro interessi professionali. Si tratta di arrivare progressivamente alla unificazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei militari, la cui garanzia di esercizio è di vitale importanza per la forza europea di reazione rapida.

Il Parlamento al posto del sindacato? Ho insistito sulla qualità della vita civile dei militari, sul ruolo costituzionale dell'esercito professionale, sia perché ritengo l'una e l'altro condizioni all'interno delle quali inserire i nostri successivi interventi parlamentari, sia per offrire un contributo alle proposte di relazione che ci sono state presentate.
Basteranno questa cornice costituzionale e questa prospettiva di cittadinanza attiva sia come istituzione che come persone a superare il fatto che sono pochi i ragazzi che si arruolano e lo fanno spesso per una alternativa alla disoccupazione e non tanto per una vera e propria convinzione? Da sole, certamente no.
Servono contestualmente quelle che la proposta di relazione definisce "le misure più urgenti da adottare".
"Si tratta di un sostanziale miglioramento del trattamento economico, di un'opportuna ridislocazione delle caserme nelle aree dove maggiore è il gettito di volontari, di una sostanziale ristrutturazione delle caserme stesse (attualmente concepite in base alle esigenze di una Forza armata basata sulla coscrizione obbligatoria), anche per adeguarle al volontariato femminile.
"Si impone, altresì, sempre nel quadro del miglioramento della qualità della vita nelle caserme, una revisione del vettovagliamento e delle sue attuali procedure (vettovagliamento veicolato e appalti centralizzati, che si sono rivelati assolutamente inadeguati), per migliorarne la qualità e rendere i reparti in grado di operare con efficacia anche in condizioni d'emergenza e in operazioni.
"Non ultima, in ordine d'importanza, si sottolinea la necessità di prevedere efficaci "corsie preferenziali" per l'impiego in altri rami della Pubblica amministrazione una volta terminato il periodo di ferma".
Le ho rilette perché le condivido, ma anche per sottolineare che si tratta di richieste tipicamente "contrattuali". Una scarsa progressione di carriera, la poca chiarezza nelle funzioni, un trattamento economico inadeguato (un operaio civile della Difesa guadagna quanto un volontario) sono questioni, il cui superamento generalmente si negozia attraverso la rappresentanza sindacale.
Che tocchi al Parlamento farsene carico è una anomalia che bisogna risolvere assieme ai problemi appena descritti.
Al Parlamento spetta fornire un progetto complessivo che riguardi l'ingresso, la permanenza in servizio, la condizione a conclusione del servizio nelle Forze armate. Per essere più preciso: un progetto di servizio militare strettamente integrato con altri servizi pubblici (ed anche privati) che preveda entrate ed uscite flessibili nell'ambito di un percorso sia delle persone che dell'istituzione non episodico.
Non basteranno gli incentivi di natura non professionale e non economica, come il passaggio alle forze di Polizia (a cui il governo sembra votarsi per colmare i vuoti), per assicurarsi un bacino di personale volontario. Questa prospettiva, al di fuori di un quadro coerente e complessivo, è perfino dannosa: rafforza infatti l'idea che l'esercito sia un passaggio, un trampolino per altre destinazioni; al servizio nelle Forze armate mancherà la motivazione di base che solo una carriera allettante può dare.

Interrogativi sulla fine anticipata della leva. Farà in tempo il Parlamento ad intervenire sulle "misure più urgenti" in un solo anno. Farà in tempo l'organizzazione militare ad assorbire ed applicare una nuova "rivoluzione" in meno di dodici mesi? Con la legge Finanziaria in discussione non si prevedono né risorse aggiuntive né revisioni organizzative né accelerazioni burocratiche (ad esempio in tema di appalti di forniture).
Invece che mettere il Parlamento in condizione di risolvere i problemi che ci sono, il governo ne crea di nuovi con la proposta di legge presto in discussione al Senato, dopo il dibattito alla Camera, di anticipare la sospensione del servizio di leva alla fine del 2004.
Su questo punto i risultati della nostra indagine sono assai eloquenti ed entrambe le relazioni lo evidenziano.
"In particolare - conclude la proposta di relazione del senatore Manfredi - non è da sottovalutare la riconsiderazione dell'anticipazione al 2004 della sospensione del servizio militare di leva, eventualmente rispettando i termini già indicati dalla normativa in vigore, intensificando, contestualmente, un'efficace promozione del militare di leva verso l'opzione per il servizio volontario".
E la conclusione non è dettata da difficoltà organizzative, ma dalla consapevolezza che i problemi del reclutamento non si risolvono per via impositiva.
"L'obiettivo di una sospensione anticipata - dice a sua volta la relazione del senatore Pascarella - è da noi assolutamente condiviso. Non vi è dubbio infatti che il passaggio dalla leva obbligatoria al professionale ha un punto di convenienza entro una certa soglia della presenza dei militari di leva al di sotto della quale diventa scelta obbligata optare per un sistema interamente professionale. Assai diverso però è il nostro punto di vista sulle modalità con cui garantire un reclutamento che per qualità e quantità assicuri alle forze armate la presenza e il ricambio di un numero di giovani sufficiente ad alimentare il modello professionale".
Siamo di fronte ad un nuovo episodio delle politiche di questo governo che sembra non resistere al desiderio di far promesse prima di poterne verificare la sostenibilità e che al momento della loro realizzazione ne scarica il peso sui cittadini stessi.
Lo scarica prima di tutte sulle Forze armate.
Nel corso dell'esame al Senato del disegno di legge del governo, bisognerà tenere conto dei risultati dell'indagine. Ecco cosa abbiamo appurato.
"Al 1° gennaio 2007 lo strumento militare sarà verosimilmente carente di circa 20.000 unità nella categoria dei militari di truppa, con un conseguente contraccolpo negativo sulle capacità operative in termini di disponibilità di personale per la costituzione di complessi di forze multinazionali aventi capacità d'intervento rapido nella gestione o risoluzione delle crisi. Pertanto, è manifestamente minacciata la possibilità di assolvere i compiti sanciti dalla normativa in vigore ed gli impegni assunti dal Paese in ambito internazionale. Va soggiunto, inoltre, che pure il mantenimento degli attuali sforzi operativi risulterebbe fortemente compromesso.
"La situazione ovviamente peggiorerebbe, qualora si desse corso alla sospensione del servizio di leva già dal 31 dicembre 2004 senza aver messo a punto un opportuno sistema d'arruolamento che consenta di fare fronte alle problematiche evidenziate. In tal caso, la carenza di militari di truppa risulterebbe incrementata addirittura a circa 25.000 unità".
È di questi giorni l'allarme lanciato dall'ammiraglio Eugenio Sicurezza, comandante generale del corpo delle Capitanerie di Porto. "Quando al termine del 2004 sarà abolito il servizio di leva, il Corpo passerà dai circa 10 mila uomini a circa 7.500. E se il personale mancante non sarà sostituito con personale volontario, avremo un futuro pieno di incertezze, senza parere se saremo in grado di fare quanto stiamo attualmente facendo". La Guardia costiera sta svolgendo uno ruolo essenziale in uno dei fronti più cruciali della vita italiana ed europea.

Dalla "leva obbligatoria" alla "leva forzosa"? In queste condizioni i responsabili militari non hanno potuto che prendere atto della volontà del governo e non possono che augurarsi che funzioni il meccanismo previsto dal disegno di legge del governo, nell'ambito del quale è stabilita l'alimentazione degli organici nei ruoli delle carriere iniziali dei corpi armati dello Stato, dei Vigili del fuoco e del corpo militare della Croce rossa al cento per cento attraverso il reclutamento di volontari. Contemporaneamente viene disposto l'obbligo, per coloro che intendono concorrere in tali corpi, di prestare almeno un anno di servizio militare.
I responsabili militari sono coscienti che solo così possono avere qualche speranza di coprire le prevedibili e misurabili carenze di organico, sapendo che l'altra strada, quella di rendere immediatamente competitiva la scelta professionale nelle Forze armate, il governo non la percorre perché non ci mette i soldi.
Si tratta, come ben descrive la relazione del senatore Pascarella, di una soluzione che reintroduce il servizio obbligatorio di leva. Certo non a carico di tutti ma soltanto per coloro che aspirano a prestare servizio nei corpi armati dello Stato. E non si tratta di cifre di poco conto: sono circa 600 mila i partecipanti ai concorsi per l'immissione in ruolo nei corpi di polizia e negli altri corpi nazionali.
Nel corso dell'esame in Aula la Camera dei deputati ha modificato il meccanismo che obbliga tutti i corpi armati dello Stato ad alimentare i ruoli organici delle proprie carriere iniziali esclusivamente attraverso i volontari delle forze armate, fatte salve alcune preesistenti riserve di posti per coloro che hanno prestato servizio civile ma non come obiettori di coscienza.
La modifica è avvenuta tuttavia non sulla base di una convinzione condivisa ma per una frattura nella maggioranza, determinata probabilmente da un precedente voto, anche in questo caso contrastato nella maggioranza, sull'arruolamento di persone non italiane. Vedremo se nell'esame al Senato il governo insisterà nel ritornare al modulo di alimentazione dei corpi dello Stato che prevede come "pre-requisito obbligatorio" il servizio militare di leva riproposto della durata di 12 mesi; al termine dell'anno di servizio militare i migliori passeranno direttamente nei corpi armati dello Stato, mentre il completamento della riserva di posti avverrebbe, per gli altri, al termine della ferma prolungata.
Avremo modo di discuterne, ma per quanto riguarda la conclusione della nostra indagine, mi pare che oltre ai dubbi sull'anticipo, vadano espressi dubbi su altre due questioni.
Una l'ho già citata: non è possibile reintrodurre di fatto una leva obbligatoria a carico di cittadini che aspirano ad un'altra professione.
La seconda è di carattere ancora più generale: si tende a militarizzare l'insieme dei corpi dello Stato, alcuni dei quali sono armati ma non sono militari (a partire dalla polizia). Corpi come la Croce rossa o i Vigili del fuoco non sono militarizzati, non prevedono neppure l'utilizzo delle armi. La questione riguarda i Corpi ma anche le persone: si predeterminano le condizioni di disparità per l'obiezione di coscienza; obiezione che può riguardare l'uso delle armi, ma che nell'attuale situazione internazionale e negli attuali impegni delle Forze armate italiane potrebbe riguardare l'impiego della forza nelle controversie internazionali. Un cittadino che vuole fare il vigile del fuoco potrebbe trovarsi a dover partecipare ad azione da codice militare di guerra come quella in Iraq.
Il problema del reclutamento comunque rimane ed è uno dei temi della nostra indagine cui non è possibile sottrarsi. Invece che con strumenti del passato (la "leva forzosa") o con strumenti copiati (lo "scambio" cittadinanza-arruolamento, prefigurato in un emendamento approvato alla Camera) lo si può però risolvere utilizzando nuovi strumenti del mercato del lavoro e la nuova realtà istituzionale costituita dall'Europa con una propria Costituzione ed una propria politica estera e di sicurezza.

Non episodico il rapporto professionale nelle Forze armate. L'idea da realizzare è quella di non di considerare l'impiego temporaneo nelle forze armate come un episodio, quasi un biglietto da pagare per entrare in altre professioni, ma piuttosto come una delle fasi attraverso le quasi si acquisisce o si perfeziona una professionalità di cui vari impieghi hanno bisogno.
In questa ottica si potrebbe anche accettare lo strumento della "obbligatorietà" del servizio militare per i componenti di una serie di corpi dello Repubblica e non solo dello Stato (ad esempio includendo, con l'accordo della Conferenza Stato-Città, anche i corpi della polizia municipale) ma con tempi invertiti rispetto al percorso individuato dal governo: i singoli corpi svolgono autonomamente il reclutamento sulla base delle loro esigenze ed attingendo all'intera platea degli aspiranti; per i vincitori dei bandi è previsto che il primo anno di servizio sia svolto nelle forze armate; addirittura si può prevedere che il servizio nelle forze armate abbia durata biennale, con il secondo anno dedicato alla formazione professionale specifica per il corpo di destinazione.
In questa maniera si evita il ripristino della "leva forzosa" ed il servizio militare temporaneo diventa un'occasione per la formazione di base comunque di una serie di impieghi nei ruoli della Repubblica.
Lo stipendio sarà quello del Corpo per cui si è vinto il bando ed al quale si è destinati: in questa maniera si potrà procedere ad una progressiva ed automatica perequazione dei livelli stipendiali fra diverse funzioni.
Questo rapporto con le Forze armate dovrà non essere episodico e non limitato alla sola fase di ingresso alla professione. Dai vari corpi della Repubblica le Forze armate potrebbero successivamente attingere, su base volontaria, per la soluzione di una delle questioni emerse dall'indagine. Mi riferisco alla opportunità, come è proposto dalla relazione Manfredi, di "creare un'efficace forza di completamento a base volontaria e a reclutamento regionale, allo scopo di colmare le attuali deficienze di organico e, inoltre, di poter costituire dei serbatoi "specifici" di volontari per taluni Corpi speciali". Una scelta preordinata e strutturata nelle forze dei corpi della Repubblica ha il duplice vantaggio sia per le Forze armate che per i corpi di appartenenza. Le Forze armate possono disporre di personale che nella vita professionale mantengono attitudini organizzative e in buona parte operative simili a quelle della struttura militare; acquisiscono immediatamente l'aggiornamento delle professionalità che richiamano. Da parte loro i corpi della Repubblica dispongono di una struttura di formazione permanente, sia sotto il profilo professionale che dello scambio di esperienze.
Riassumo: la riserva potrebbe essere collegata dunque al personale che è transitato in ferma breve annuale nelle forze armate e poi è passato al altri corpi delle istituzioni repubblicane. Si tratterebbe di personale che ha acquisito esperienze specifiche; potrebbe essere previsto nel loro stato giuridico la possibilità di chiedere o di accettare un rientro temporaneo nelle Forze armate, ovviamente conservando il trattamento economico e giuridico di miglior favore. Si tratterebbe in molti casi di una specie di aggiornamento professionale che potrebbe risultare utile anche al loro impiego attuale.
Senza ricorrere alle proposte di legge che la relazione Manfredi cita e che non ci sembrano mature, raggiungeremmo così non solo lo scopo individuato dalla relazione, ma anche quello più generale di non far considerare la professione militare né un episodio né una tassa da pagare.

Il ruolo delle associazioni combattentistiche. La annotazione del senatore Manfredi suggerisce qualche altra indicazione, forse utile. Gli ufficiali in ausiliaria e nella riserva possono bene svolgere il ruolo di collegamento tra associazioni combattentistiche e bacino di reclutamento. I militari in ausiliaria del resto sono già remunerati per le eventuali esigenze delle Forze armate.
Si tratta di un tema che l'indagine conoscitiva ha affrontato e che è giusto considerare importante. Le Associazioni d'arma sono state e sono soprattutto luogo di sostegno allo spirito militare. Ora si tratta di incrementare il loro ruolo come luogo di raccordo tra la società ed il volontariato militare. La loro forza propulsiva dovrebbe favorire soprattutto il reclutamento del personale del Nord Italia. Si segnala l'opportunità peraltro di unificare le associazioni in quattro grandi strutture a rappresentanza delle quattro Forze armate.

Preparati ai ruoli civili nella gestione delle crisi internazionali. La proposta di relazione del senatore Manfredi annota che "l'operatività dei volontari di truppa dell'Esercito è un aspetto qualificante, al quale occorre dedicare la massima attenzione, soprattutto da quando le missioni internazionali impegnano i reparti italiani in compiti molto delicati, nei quali non solo l'addestramento al combattimento e all'uso delle armi, bensì anche la collaborazione con unità d'altri Eserciti e i rapporti con le popolazioni civili, esigono una preparazione multiforme, che non era richiesta in passato".
In questo quadro lo scambio continuo di formazione professionale tra Forze armate e Corpi della Repubblica - così come l'ho delineato per dare stabilità al reclutamento - risulta particolarmente interessate nella formazione specifica dei membri delle Forze armate, per i compiti di polizia e di contatto con la popolazione civile che i nostri militari sono chiamati a svolgere all'estero.
Si tratta di un'azione che oggi è indispensabile, che oggi non può che essere affidata all'esercito. Per questo la soluzione proposta mi sembra corrisponda ad un arricchimento della professionalità dei nostri militari.
Sappiamo però che non è un'azione peculiarmente militare. Le operazioni militari da sole otterranno poco più che il contenimento temporaneo di una situazione di crisi, se non verranno create le condizioni per il perseguimento di obiettivi più ampi da parte degli attori civili. Una risposta civile-militare coerente massimizzerebbe il potenziale per disinnescare i conflitti, fornendo sicurezza e capacità di costruzione della pace alle popolazioni locali.
L'Unione europea è uno dei principali organismi internazionali che affermano l'importanza della costruzione della pace e della prevenzione dei conflitti. Durante la Conferenza dell'UE sulla Prevenzione dei Conflitti tenutasi a Helsingborg nell'agosto 2002, il Ministro degli Affari Esteri greco, Georgios Papandreou, ha detto che "l'unico modo per occuparsi dei conflitti consiste nell'affrontarne le cause profonde mediante una politica di prevenzione strutturale a lungo termine". Per questo l'Unione europea ha riconosciuto il ruolo chiave dei civili nella gestione delle crisi e importanti progressi sono stati compiuti negli anni passati nello sviluppo dello spiegamento di personale civile per la gestione delle crisi.
Gli obiettivi per il personale civile nelle quattro aree civili di gestione delle crisi identificati dal Consiglio Europeo di Feira (operazioni di polizia, stato di diritto, amministrazione civile e protezione civile) si dovrebbero raggiungere entro il 2003. La Commissione ha anche istituito una rete di istituzioni nazionali specializzate nella formazione all'intervento civile nelle crisi con lo scopo di sviluppare moduli di formazione comune per il personale civile nelle aree dello stato di diritto e dell'amministrazione civile.
Un modello di attività professionale nei Corpi civili integrato con attività periodica e volontaria nelle Forze armate metterà il personale italiano in una posizione di eccellenza nella partecipazione ai i corpi civili internazionali e particolarmente europei. In questi anni - anche in considerazione della crescente integrazione della Pesc-Pesd nell'attività dell'Unione e tenuto conto della evoluzione di alcune missioni (Macedonia), la attività nei corpi civili europei potrà essere uno degli sbocchi naturali per i volontari che escono dalla Forza armata.

La comunitarizzazione del reclutamento. Elemento centrale non solo in questa prospettiva, ma anche nella attuale attività delle nostre Forze armate è la formazione internazionale dei militari.
Opportunamente la proposta di relazione Manfredi osserva che "assume particolare rilevanza la preparazione linguistica dei volontari, tenuto conto che la conoscenza della lingua inglese si configura come elemento indefettibile nell'addestramento del personale militare destinato ad essere impiegato in ambito internazionale. La Commissione ha accertato che l'attenzione della Forza Armata è indirizzata al progetto "Euroformazione", che prevede, altresì, lo svolgimento di corsi d'informatica e d'orientamento professionale. In particolare, i volontari in ferma breve svolgono un corso di lingua inglese della durata di 336 ore, commisurato allo specifico grado di preparazione. I volontari in servizio permanente frequentano, in base ad una pianificazione annuale, corsi di perfezionamento linguistico a distanza. Per lo svolgimento delle suddette attività, l'Esercito ha approntato un apposita struttura (scuola di lingue estere di Perugia), cui si affianca la stipula di convenzione con istituti privati".
Suggerisco che questa descrizione sia almeno citata nelle conclusioni, per sottolineare che questa formazione va intesa come strutturale per le Forze armate professionali. Aggiungo tuttavia che la internazionalizzazione della formazione professionale si ottiene non solo con la lingua ma all'interno di un ambiente internazionale. Per questo io credo sia opportuno prevedere la comunitarizzazione della nostra Forza armata con l'apertura dei bandi di concorso ai cittadini comunitari.
Questo è il terzo elemento di innovazione che indico nella soluzione del problema del reclutamento del quale è necessario farsi carico.
Non si tratta di fare la "brigata albanese", come non molte settimane fa ha ipotizzato proprio il ministro della Difesa; è l'esatto contrario della legione straniera; è invece l'avvio normale della europeizzazione delle Forze armate. Noi siamo contrari a ripetere in Italia l'esperienza dei "gurka" inglesi o della "legione straniera" francese. L'Italia ha di fronte a sé una strada nuova, che allora non c'era: rendere appetibile per giovani europei, dell'Europa a 27, che hanno la stessa nostra Costituzione e la nostra stessa Carta dei diritti fondamentali, che hanno o avranno la stessa moneta. Non stranieri, ma cittadini; cittadini il cui mercato del lavoro sarà in tempi prestabiliti unificato e che potrebbero essi stessi porre il problema di parità di opportunità nell'esercito professionale italiano o in quello olandese o in quello inglese. Riflettendo oggi su questo tema, risolvendolo positivamente, il Parlamento italiano potrà fornire una direzione di scelta per una futura ma probabile normativa europea in materia.
Questa è una condivisione di cittadinanza europea, non uno scambio cittadinanza-arruolamento, come ci proporrà il disegno di legge in arrivo dalla Camera dei deputati.
Come ho già detto, questa innovazione sarà assai interessante dal punto di vista della formazione professionale, in quanto abituerebbe ad operare in un ambiente internazionale, con la pratica di una lingua veicolare e con l'amalgama di varie provenienze, in vista anche dell'impiego fuori area. Certo ci sono già reparti internazionali, ma essi sono a comando multilaterale, mentre qui è la Forza armata italiana che è titolare del percorso professionale.
In questa prospettiva potrebbero essere valorizzate le caserme e gli impianti militari del Nord Italia ed in particolare del Nordest in quanto un reclutamento aperto sarebbe più appetibile per i giovani europei se il luogo di servizio è il più vicino possibile al paese di residenza. Si tratta di un elemento aggiuntivo ma non secondario, vista l'attenzione che sia la relazione del senatore Manfredi che quella del senatore Pascarella dedicano al tema dellla dislocazione delle caserme sul territorio italiano.

Dentro le caserme per capire meglio i militari. Il tema delle caserme torna frequentemente nel corso dell'indagine conoscitiva compiuta dalla commissione Difesa del Senato, al punto che si potrebbe rileggere quasi tutti i suoi contenuti e le valutazioni che suggerisce proprio parlando delle caserme.
Ad esempio ci consente di misurare la distanza dell'attenzione che il governo italiano dedica ai militari rispetto a quello che fa il governo spagnolo: Aznar ha pure deciso di mettere in vendita le caserme, ma il ricavato resta nelle caserme, serve cioè a realizzare insediamenti più adeguati al nuovo esercito spagnolo. Il governo italiano vende le caserme per la cassa generale.
Le pessime condizioni alloggiative sono tra le ragioni del depauperamento degli alpini: un corpo non solo tradizionale, ma moderno ed affidabile, che l'esercito italiano dovrebbe consolidare. Il caso dell'Alto Adige con i militari che sono troppo… ricchi per avere alloggi di edilizia pubblica e troppo poveri per consentirsi gli affitti elevati di quella regione aprono lo scenario della diversità di indennità a seconda della destinazione dei militari, oltre che quello principale dell'adeguamento degli stipendi.
La revisione della "geografia delle caserme" richiama da una parte il tema della collocazione europea delle nostre Forze armate e dall'altra l'attuale squilibrio regionale nel reclutamento. I diritti di cittadinanza dei cittadini militari sono affermati anche con la scelta della "caserma aperta", applicata in alcune situazioni dagli Stati Uniti (ad esempio) a El Paso ed incrementando la strutturazione delle caserme sull'esempio della Cecchignola, in modo che la qualità della vita migliori.
Anche questo aspetto rilancia quel rapporto stretto tra professionisti militari ed enti locali, di cui ho già descritto alcune componenti. Al Comune si richiede infatti una progettazione urbanistica in grado di soddisfare questa esigenza. Alla Forza armata si richiede la disponibilità di poter valorizzare il patrimonio immobiliare che attualmente utilizza e che spesso è nei centri storici delle città: valorizzazione non immediatamente commerciale, ma attraverso l'ente locale anche civica, soprattutto per i molti siti storici che oggi l'esercito occupa.
Anche queste sono solo esemplificazioni. Dicono però che non si può continuare con interventi settoriali e spesso slegati. Serve un'idea generale, a livello parlamentare e a livello di governo, che dia certezze alla Forza armata, evitando i continui cambiamenti che in questi anni rendono spesso inutilmente onerosa la vita militare.

Intervento nella discussione sulle proposte di documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sul reclutamento.
Commissione Difesa del Senato, 5 novembre 2003


10 novembre 2003
sd-107
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Tino Bedin