Lo schema di decreto legislativo sui materiali a "duplice uso" Importante è vendere,
anche se è il prodotto può diventare un'arma
Unico responsabile il ministero delle Attività produttive. Dall'Europa si prende solo quello che conviene
Il Parlamento (sia il Senato che la Camera dei deputati) ha al proprio esame lo schema di decreto legislativo sui prodotti a "doppio uso". Si tratta di materiali che possono avere un impiego sia civile e militare e sul cui commercio l'Unione Europea ha una regolamentazione frequente ed aggiornata. Il decreto nasce proprio dalla necessità di rendere operativo un regolamento europeo del 2000. Per questo il decreto del governo è stato esaminato per un parere consultivo anche dalla Giunta per gli affari europei del Senato. Il senatore Tino Bedin è intervenuto sul decreto nelle sedute del 5 e del 12 marzo 2003. Nella prima ha chiesto alcuni chiarimenti in riferimento all'effettiva applicazione anche delle norme europee più recenti. Nella seconda seduta ha proposto una serie di osservazioni che - partendo dalle competenze europee della Giunta - hanno posto interrogativi sul merito. La Giunta ha accolto la proposta del senatore Bedin di corredare il parere alla commissione Attività produttive di molte delle sue osservazioni. È infatti quest'ultima commissione che deve dare il parere al governo. Riportiamo l'intervento del senatore Bedin nella seduta del 12 marzo, in una versione sistemata per rendere comprensibile il tema anche al di fuori delle aule parlamentari.
intervento di Tino Bedin senatore dell'Ulivo
Attraverso un decreto legislativo il governo attua il Regolamento europeo 1334 del 2000 in materia di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie di duplice uso.
È lo stesso regolamento europeo all'articolo 2 a spiegare che per prodotti di duplice uso si intendono "i prodotti, inclusi il software e le tecnologie, che possono avere un utilizzo sia civile sia militare; essi comprendono tutti i beni che possono avere sia un utilizzo non esplosivo sia un qualche impiego nella fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni esplosivi". Si tratta di prodotti e materiali, quindi, suscettibili di essere utilizzati nell'industria civile così come in quella militare, per la produzione di sistemi d'arma o comunque bellici.
In allegato al regolamento CE sono elencati i prodotti ed i materiali da considerare di duplice uso: si tratta di un elenco assai vasto, che occupa 204 pagine e che va dal materiale utilizzabile per la costruzione di reattori nucleari a prodotti chimici od agenti patogeni che è possibile impiegare a scopi offensivi, fino ad arrivare a software impiegabile in processi di armamento.
Si tratta di materia che sia per ragioni tecnologiche che di sicurezza è soggetta a continuo aggiornamento, come dimostrano i successivi atti dell'Unione Europa che ho citati nella scorsa seduta.
In seguito alle domande che avevo poste abbiamo potuto acquisire informazioni dal Ministero delle Attività produttive sui provvedimenti europei successivi al Regolamento del 2000. Le informazioni rispondono agli interrogativi che avevo sollevati, dando atto che il recepimento del regolamento 1334/2000 incorpora anche gli atti successivi. Io credo che il nostro parere dovrebbe contenere nei "considerando" l'informazione che ci è stata fornita.
Propongo quindi che nel parere al governo sia inserito: "Considerando che i regolamenti comunitari n. 2889/00, n. 458/01 e n. 149/03 di modifica del Reg. (CE) 1334/2000 rappresentano l'aggiornamento degli allegati al regolamento stesso, al fine di consentire agli Stati membri dei vari regimi internazionali e all'Unione Europea di adempiere immediatamente ed automaticamente ai loro obblighi internazionali, non occorrendo al riguardo alcun atto normativo di recepimento".
L'Italia riduce tutto a commercio. Sul contenuto del regolamento va subito messo in evidenza che il tema prevalente non è il mercato interno, ma l'industria militare e il commercio di sistemi di armamento. Il tema è assai vivo nell'Unione Europea, sia per quanto riguarda la politica estera a di sicurezza comune, sia per la componente industriale che esso presuppone.
E tuttavia lo schema di decreto legislativo (all'articolo 2) identifica nel Ministero delle attività produttive, precisamente nel Dipartimento per l'internazionalizzazione, l'Autorità amministrativa competente in materia, che si avvale dell'opera di un Comitato consultivo (articolo 11) composto di rappresentanti di varie amministrazioni pubbliche interessate e che esprime pareri obbligatori ma non vincolanti sulle autorizzazioni disciplinate dal decreto legislativo, nonché, più in generale, sulle questioni di dual use.
Una prima singolarità: in questo Comitato consultivo sono rappresentati molti ministeri, ma non c'è il ministero delle Politiche comunitarie. Questa assenza è singolare perché la materia è ampiamente comunitaria, tanto che il decreto legislativo che intende regola muove proprio da un regolamento comunitario.
Ma c'è una osservazione di carattere più generale, sempre con riferimento agli aspetti europei del decreto: il fatto che - come ho detto - in base all'articolo 2 la responsabilità dell'indirizzo e della gestione è tutta in capo al ministro della Attività Produttive.
C'è una incongruenza politica con la fonte da cui deriva il decreto legislativo: il regolamento originario è stato infatti approvato in sede europea non dal Consiglio affari economici o dal Consiglio del mercato interno, ma dal Consiglio Affari generali ed è stato sempre questo Consiglio a provvedere agli aggiornamenti. La sede scelta in Europa per la decisione è la sottolineatura che prevalgono le componenti di politica estera e di sicurezza, rispetto a quelle commerciali.
Nella trasposizione dalla norma europea a quella nazionale l'Italia dà una valutazione diversa rispetto all'Europa. Questa diversità va superata; è preferibile una corrispondenza di organismi tra il livello europeo e quello italiano; in concreto occorre affiancare al Ministero delle attività produttive, il ministero degli Esteri e il Ministero della Difesa; affiancamento di gestione politica e non solo di mera valutazione non vincolante.
Il decreto delegato del governo ha un'altra lacuna in tema di gestione coordinata a livello europeo dei materiali "a duplice uso" civile e militare: non vi è traccia di come l'Italia intenda partecipare al Gruppo di coordinamento previsto dall'articolo 18 del regolamento comunitario. Poiché si tratta di materia sensibile, è preferibile che la costituzione di questo gruppo sia prevista nel decreto legislativo soprattutto per individuarne il livello della partecipazione. A mio parere dovrebbe trattarsi di un livello politico, espresso dal ministero della Difesa o dal ministero degli Esteri, e non di un livello burocratico o economico.
Quattro forme di autorizzazione per... semplificare. Il punto centrale della disciplina che si adotta con lo schema di decreto è il regime delle autorizzazioni all'esportazione per i beni suscettibili di dual use. L'articolo 3 dello schema di decreto prevede quattro forme di autorizzazione: specifica individuale, globale individuale, generale nazionale, generale comunitaria.
La forma di autorizzazione maggiormente garantista, avverso i rischi di traffico illecito di armi, è sicuramente quella specifica individuale: essa è rilasciata al singolo esportatore, per tipi o categorie di beni determinate e per uno specifico utilizzatore finale.
L'autorizzazione generale comunitaria (articolo 7) presenta anch'essa minori problemi, non tanto per la sua natura, quanto perché trova il suo diretto fondamento nell'articolo 6, comma 1, del regolamento CE: è infatti la norma comunitaria ad individuare le categorie di prodotti ed i paesi di destinazioni di tale tipo di autorizzazione (allegato II al regolamento). Ma se non è il caso di porsi problemi con riferimento ad un'ipotesi che ha un diretto fondamento in una norma comunitaria, è' piuttosto il caso di segnalare la non chiara facoltà di modifica di parti dell'allegato II con decreto dirigenziale del Ministero delle attività produttive: è evidente il rischio di consentire deroghe unilaterali da parte del Governo alla disciplina europea comune, cercando di sfruttare il regime dell'autorizzazione generale comunitaria.
Maggiori perplessità genera la disciplina dell'autorizzazione globale individuale (articolo 5) rilasciata ad un singolo esportatore "per tipi o categorie di beni [ricompresi negli allegati I e IV al regolamento Ce] e per uno o più paesi di destinazione specifici": questa autorizzazione ha un carattere complessivo, che rende meno capillari i controlli.
Considerazioni simili si possono fare per le autorizzazioni generali nazionali (articolo 6) sempre per beni ricompresi negli allegati I e IV, parte I, del regolamento CE e per Paesi che saranno determinati con decreto del Ministro delle autorità produttive. Nel caso di autorizzazione generale nazionale è previsto, comunque, l'obbligo semestrale di informare l'Autorità amministrativa delle operazioni compiute.
Senza garanzie contro le triangolazioni. Il ricorso alle forme delle autorizzazioni generali e globali non è imposto - ma solo consentito - dall'articolo 6, comma 2, del regolamento CE. E' pertanto frutto di una discrezionale scelta politica del Governo il ricorso ad esse, piuttosto che alla più garantista - anche se più lenta - procedura di autorizzazione individuale.
Mentre si è avvalso delle possibilità offerte dal regolamento in tema di autorizzazioni, il governo non ha tenuto in nessun conto le possibilità previste dall'articolo 21 del Regolamento CE. Nello schema di decreto governativo infatti non c'è traccia delle possibilità che l'Unione Europea lascia ai Paesi membri per rendere più efficace il contrasto alle triangolazioni commerciali di materiale che può avere anche un uso commerciale.
Secondo il comma 2 dell'articolo 21, l'Unione Europea prevede che "uno stato membro può imporre una autorizzazione per il trasferimento di altri prodotti a duplice uso dal suo territorio verso un altro Stato membro se, al momento del trasferimento:
- all'operatore consta che la destinazione finale dei prodotti in questione si trova al di fuori della Comunità;
- l'esportazione dei prodotti verso detta destinazione finale è soggetta ad autorizzazione nello Stato membro dal quale i beni devono essere trasferiti, a norma degli articoli 3, 4 o 5 e tale esportazione direttamente dal suo territorio non è consentita da un'autorizzazione generale o globale;
- i beni non devono essere sottoposti a processi o a lavorazioni di cui all'articolo 24 del codice doganale comunitario nello Stato membro verso il quale devono essere trasferiti".
Ho riportato integralmente la norma, perché la sua lettura rende evidente che lo scopo è quello di evitare le triangolazioni di materiale militare. Del resto lo stesso regolamento, in una delle premesse che lo motivano (il "considerando" n. 9) dice che "occorre prestare particolare attenzione alle questioni relative alla riesportazione e all'utilizzazione finale".
Questa necessità non è diventata una norma cogente, ma se ne lascia l'applicazione ai singoli Stati, perché le legislazioni nazionali in materia differiscono. L'Italia tuttavia con la sua legge 185 del 1990 ed anche - seppur con incertezze - nel disegno di legge del governo ora all'esame del Senato di quella legge considera determinante nel commercio delle armi il certificato di uso finale. Su questa materia intervengono anche l'Accordo di Farnborough e il Codice di condotta europeo in materia di esportazione di armi. Della propria legge nazionale e degli accordi europei cui l'Italia ha aderito il governo non tiene assolutamente conto ed evita di applicare una norma pur suggerita dall'Europa.
Niente Parlamento, basta un timbro. Forse è per evitare proprio di dover sottostare a criteri che a parole sia il governo che la maggioranza sostengono, che si è messo tutto in capo al ministero delle Attività produttive, abbassando volutamente il "profilo" della materia. Ma proprio questa lacuna rende ancora più chiaro il disegno complessivo che il governo ha in mente con la contrastata modifica della legge 185 del 1990.
La volontà di abbassare a "merce qualsiasi", da sottoporre alle sole regole del mercato interno, i materiali ad uso sia militare che civile, viene confermata anche da altre parti del decreto del governo.
L'articolo 9, ad esempio, prevede la possibilità di introdurre, da parte dell'autorità amministrativa, un regime autorizzatorio anche per categorie di beni a duplice uso non compresi nell'elenco di cui all'allegato I del regolamento CE. I commi 2-7 disciplinano il procedimento di rilascio dell'autorizzazione. Il comma 8 prevede la possibilità di regolamenti ministeriali di delegificazione della disciplina prevista dai commi precedenti: si tratta di una previsione inaccettabile in un decreto legislativo. Si introduce una nuovo limitazione del controllo parlamentare non con atto del Parlamento, ma per una decisione del governo.
Il problema si ripete anche all'articolo 10. Esso prevede che il divieto di esportazione o l'obbligo di preventiva autorizzazione all'esportazione di beni a duplice uso sia disposta con decreto ministeriale. Occorrerebbe piuttosto curare meglio l'informazione ed il controllo parlamentare su questi atti attraverso, ad esempio, la previsione di un necessario parere delle Commissioni parlamentari.
Come si vede, ritornano qui alcuni dei punti nodali della modifica della legge 185 del 1990. Solo che in questo caso il Parlamento ha molte meno opportunità, dovendosi limitare ad esprimere un parere su un decreto delegato. Il parere è comunque un atto politico di cui il Governo dovrebbe tenere conto se fosse negativo o comunque segnalasse almeno tutti gli interrogativi che ho posti.
12 marzo 2003 |