SICUREZZA E DIFESA

L'Italia non deve favorire la libera circolazione delle armi
Mantenere i principi di etica sociale
nel controllo degli armamenti

In Senato si è data voce anche all'azione della Chiesa italiana, impegnata a contrastare la modifica della legge 185 del 1990 fin dal marzo dello scorso anno

Nella seduta antimeridiana del Senato del 4 marzo 2003, dopo la discussione generale e la replica del governo sul disegno di legge di modifica della legge 185 del 1990 sul commercio delle armi, il senatore Tino Bedin ha chiesto "il non passaggio agli articoli", una procedura per bloccare la discussione di un provvedimento e rinviarlo di fatto in commissione. Rispondendo ad una osservazione del sottosegretario alla Difesa Berselli, il senatore Bedin ha osservato che era stata ed era la maggioranza ad ostacolare la ratifica dell'accordo europeo sull'industria della Difesa, sia con la modifica della legge 185 che con il suo ostruzionismo. In effetti, sulla richiesta del senatore Bedin il senatore Malan di Forza Italia ha chiesto la verifica del numero legale, che non c'era e la seduta è stata sospesa. Nel corso della mattinata e del pomeriggio di martedì 4 marzo, la discussione sul disegno di legge 1547 è stata più volte sospesa perché la maggioranza non ha assicurato il numero legale di senatore presenti in aula. È stato così possibile votare solo alcuni ordini del giorno. Il disegno di legge non è stato poi ripreso per l'intera settimana.
Pubblichiamo il testo con il quale il senatore Tino Bedin ha motivato la richiesta di "non passaggio agli articoli". Ricordiamo che la maggioranza ha messo la ghigliottina ai tempi di discussione, per cui il senatore Bedin non ha potuto pronunciare l'intervento, ma ne ha consegnato la copia che è comunque pubblicata negli atti della seduta.

intervento in Aula di Tino Bedin senatore dell'Ulivo

Non risultano convincenti, perché elusive dei problemi che la modifica della legge n. 185 (non la ratifica dell'Accordo di Farnborough) le giustificazioni della maggioranza. Non perché c'è una guerra incombente, noi ci opponiamo. La critica alla scelta dal Governo è cominciata assai prima della nostra opposizione alla teoria della guerra preventiva proposta da Bush.
Noi ci siamo fatti carico del mantenimento di competenze parlamentari che il disegno di legge riduce. Ci siamo fatti carico anche delle preoccupazioni della società, nella quale la Chiesa italiana è fin dalla primavera dello scorso anno in prima fila.
Il mantenimento della pace fra i popoli, del resto, è da sempre al centro della preoccupazione della Chiesa. Non meraviglia, pertanto, che il suo magistero esprima gravi riserve morali sulle modalità della produzione e del commercio delle armi.
Nell'enciclica Sollecitudo rei socialis Giovanni Paolo II sottolinea che, se oggi la produzione delle armi rappresenta "un grave disordine che regna nel mondo odierno rispetto alle vere necessità degli uomini e all'impiego dei mezzi adatte a soddisfarle, non lo è meno il commercio delle stesse armi. Anzi, a proposito di questo, è necessario aggiungere che il giudizio morale è ancora più severo. ... Ci troviamo così di fronte a uno strano fenomeno: mentre gli aiuti economici e i piani di sviluppo si imbattono nell'ostacolo di barriere ideologiche insuperabili, di barriere tariffarie e di mercato, le armi di qualsiasi provenienza circolano con quasi assoluta libertà nelle varie parti del mondo" (n. 24).
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si richiama il diritto e il dovere delle autorità pubbliche di regolamentare la produzione e il commercio delle armi in quanto toccano il bene comune delle nazioni e della comunità internazionale, e si avverte che "la ricerca di interessi privati o collettivi a breve termine non può legittimare imprese che fomentano la violenza e i conflitti fra le nazioni e che compromettono l'ordine giuridico internazionale" (n. 2316).
Sono enunciazioni chiare, che individuano i princìpi ai quali ispirare anche l'attività legislativa. La normativa contenuta nella legge n. 185 del 1990, per l'importanza che riconosce al rispetto e alla promozione dei diritti umani nonché alla prevenzione dei conflitti, e per le formulazioni avanzate dei divieti che prevede, indicati in particolare nell'articolo 1, comma 6, costituisce per molti aspetti un modello nel panorama internazionale.
In questo quadro, il disegno di legge n. 1547 presenta, nonostante alcuni opportuni emendamenti approvati in sede di discussione presso l'Assemblea della Camera dei deputati, aspetti discutibili rispetto ai quali non possono non sollevarsi riserve.
Il testo introduce infatti sostanziali modifiche alla legge n. 185 del 1990, che di fatto attenuano sensibilmente la rete di controlli sul commercio di armi su cui si incentra la disciplina vigente. Tali modifiche, secondo la Relazione dì accompagnamento al disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati, sarebbero necessarie al fine di adeguare l'attuale disciplina "al nuovo contesto europeo in materia di interscambio di materiale di armamento e di consentire all'industria nazionale ... di potersi presentare al meglio nel processo di integrazione strutturale europea dell'industria degli armamenti e di poter partecipare, su base paritetica, ai programmi di coproduzione".
In realtà solo alcuni dei cambiamenti introdotti, e in particolare quello relativo alla previsione della licenza globale di progetto, rispondono alla finalità di favorire il processo di integrazione in materia di politica di difesa.
Altre modifiche invece, e segnatamente la soppressione del controllo sulle transazioni bancarie e della bolletta doganale di arrivo a destinazione, appaiono esorbitanti rispetto al suddetto obiettivo e non necessarie ai fini della ratifica dell'accordo quadro di Farnborough. Si tratta peraltro di modifiche inopportune, ove si consideri che non hanno altro effetto che quello di sottrarre le operazioni di scambio di materiali di armamenti ai controlli previsti dalla legge italiana sui destinatari intermedi e finali delle produzioni realizzate in accordo tra più Paesi, rendendo in tal modo più agevole il transito di tali materiali anche verso destinazioni non consentite. In quest'ottica, suscettibile oggettivamente di favorire la libera circolazione delle armi, sembrerebbe inquadrarsi anche quella disposizione del disegno di legge che circoscrive l'applicazione del divieto di esportazione di armi verso Paesi in cui siano perpetrate violazioni dei diritti umani ai soli casi di violazioni "gravi".
Le considerazioni brevemente svolte inducono a ritenere che il disegno di legge segna un sensibile arretramento della legislazione italiana in materia di controlli sul commercio di armi e un suo allineamento alla più permissiva legislazione di altri Stati europei.
È comprensibile che in un'epoca come l'attuale, caratterizzata da una forte crisi economica e da un'aspra contesa per guadagnare spazi nell'ambito della concorrenza internazionale, i princìpi di etica sociale che ispirano la legge n. 185 del 1990 e le conseguenti restrizioni possano suscitare resistenze. Tuttavia, in una materia così delicata sarebbe auspicabile che l'Italia, grazie alla propria rigorosa normativa nazionale, assuma un ruolo di guida nell'elaborazione di una disciplina dello scambio di materiale di armamenti orientata verso livelli di controlli e di trasparenza più elevati piuttosto che verso un indebolimento di tali controlli.
In questa prospettiva, potrebbe risultare opportuna un'ulteriore modifica del testo in esame, in particolare relativamente agli articoli 3, lett. b), 6, 10 e 11, che riguardano, rispettivamente, il divieto di esportazione solo verso Paesi i cui Governi sono responsabili di "gravi" violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani; i documenti da allegare alla domanda di licenza globale, tra cui dovrebbe essere inserito il certificato di uso finale; il rilascio da parte delle autorità doganali della bolletta di entrata nel Paese di destinazione finale; l'obbligo di notificazione delle transazioni bancarie in materia di esportazione, importazione e transito di materiale di armamenti.
In conclusione si potrebbero stralciare dal disegno di legge gli articoli che modificano la legge n. 185 del 1990 e limitarsi ad approvare solo gli articoli 1 e 2 del disegno di legge in esame, che ratificano l'accordo internazionale.

4 marzo 2003

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9 marzo 2003
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