La discussione in Senato sul disegno di legge del governo L'Europa è troppo stretta:
il centro-destra punta
al mercato mondiale delle armi
Si vuole superare l'Accordo di Farnborough, firmato dall'Ulivo, per partecipare alla "torta di guerra"
Nella seduta antimeridiana di giovedì 27 febbraio 2003 il Senato ha iniziato la discussione del disegno di legge "Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonché modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185". Si tratta della nuova legge sul commercio delle armi proposta dal governo. In discussione generale a nome del gruppo Margherita-L'Ulivo è intervenuto il senatore Tino Bedin, capogruppo nelle Commissioni Difesa e Politiche europee del Senato. L'intervento pronunciato in Aula dal senatore Tino Bedin è la sintesi - resa necessaria dal contingentamento dei tempi - di più ampie valutazioni che sono state consegnate alla presidenza e che sono pubblicate nel resoconto della seduta antimeridiana del 27 febbraio 2003 del Senato, assieme alla illustrazione di alcuni degli ordini del giorno che hanno come primo firmatario il senatore Bedin.
intervento in Aula di Tino Bedin capogruppo Margherita-L'Ulivo in Commissione Difesa
Il dibattito sul controllo del commercio delle armi è stato tentato in questi mesi, qui al Senato, solo dall'Ulivo. La maggioranza ha fatto ostruzionismo, non partecipando quasi mai al dibattito; ha fatto sempre mancare il numero legale in Commissione, fino a che i presidenti delle Commissioni esteri e difesa hanno ritenuto inutile la continuazione delle sedute.
Del resto, il Governo, che si è messo contro la sua stessa maggioranza che lo ha così ripagato con l'astensionismo, non ha contribuito alla discussione. Infatti, esponenti importanti della maggioranza avevano manifestato attenzione alla proposta, avanzata in Commissione da me, a nome dell'Ulivo, di una ratifica immediata dell'Accordo europeo e di una successiva discussione sull'ammodernamento della legge n. 185 del 1990.
A noi, l'Accordo di Farnborough infatti interessa. Si tratta di un buon testo, specialmente se strettamente collegato alla legge n. 185 del 1990, i cui princìpi possono entrare nella pratica attuazione dell'Accordo stesso. Infatti, quest'ultimo completa la legge italiana in uno dei suoi limiti oggettivamente storici, cioè la sua dimensione esclusivamente nazionale.
Ora, c'è la ghigliottina del tempo contingentato: essa avrebbe senso se ci si fosse confrontati sul merito. Non è stato possibile, lo avete impedito; sarà impossibile confrontarci nel merito anche qui e non darete risposte, non solo a noi ma anche alle altre istituzioni repubblicane, ai Consigli regionali, ai Consigli provinciali, ai Consigli comunali.
Non darete risposte alle altre parti della comunità nazionale. Non darete risposte nemmeno a voi stessi se si procederà con il metodo fin qui seguìto. Ne ha avuto la consapevolezza all'inizio di febbraio il presidente dei senatori Udc. Cito testualmente quanto egli ha detto: "Vorrei evitare l'approvazione di una legge con effetti catastrofici, dovendo dire un giorno che non lo sapevo".
Finalmente, la maggioranza ha deciso di cominciare a discutere la nuova legge sul commercio delle armi e di non delegare ogni decisione al Governo? Se così fosse - e me lo auguro - avremmo fato bene, come Margherita e Ulivo, a sostenere da luglio ad oggi la necessità di discutere sul serio la modifica della legge sul commercio delle armi e a bloccare il Governo nella sua volontà di fare in fretta.
La fretta del Governo, del resto, era solo strumentale. Il Governo non ha nessun interesse ad applicare l'Accordo di Farnborough. Lo ritiene troppo vincolante sotto l'aspetto dei contenuti, sotto l'aspetto della politica internazionale dell'Italia. La nostra azione ha smascherato questo atteggiamento.
L'accordo è già operativo negli altri cinque Paesi la cui industria della difesa sta dunque usufruendo delle procedure semplificate e quindi è avvantaggiata rispetto all'industria italiana. Neppure questo interessa al Governo. Per il Governo bisogna superare l'Accordo di Farnborough. L'obiettivo non è l'industria europea della difesa, ma il mercato mondiale delle armi.
Evidentemente, il Governo ritiene più importanti dell'Accordo europeo le modifiche che esso propone per il commercio di armi italiane; evidentemente, le ragioni commerciali hanno il sopravvento sulla politica europea.
E' in questa inversione di priorità la modifica più sostanziale che si vuole introdurre nella legislazione italiana: la subordinazione della dimensione politica, e quindi anche della pace e della sicurezza, agli interessi economici e industriali.
Eppure proprio l'Europa va in senso opposto. In un documento sulla politica europea degli armamenti, che l'allora Presidenza spagnola dell'Unione ha presentato il 23 marzo dello scorso anno a Saragozza, si enuncia una decina di princìpi, il primo dei quali è mettere la politica degli armamenti al servizio della politica europea di difesa comune "e non il contrario", "come è successo in alcuni Stati membri dove la politica industriale è determinata dai bisogni o dagli interessi delle loro industrie". Il disegno di legge italiano è pensato proprio "al contrario", cioè prima le imprese, poi le politiche di sicurezza e infine le politiche dell'Unione.
Fanno parte di questa nuova impostazione alcuni punti del disegno di legge in discussione al Senato, sui quali si è particolarmente appuntata la nostra critica e la critica della società, delle associazioni sia cattoliche che laiche, che abbiamo sostenuto.
Innanzitutto, il divieto di esportazione viene limitato ai soli Paesi in cui le violazioni dei diritti umani siano "gravi" e accertate da organismi dell'Unione europea e dell'Onu. Si tratta, tra l'altro, di un rischioso trasferimento di sovranità politica, senza possibilità di controllo da parte del Parlamento e senza contropartite.
In secondo luogo, il nuovo strumento della licenza globale di progetto viene esteso a tutti i Paesi dell'Unione europea e della Nato. Non essendo questi Paesi vincolati dall'Accordo di Farnborough, potranno scegliere la destinazione finale di un armamento. Si affossa così uno dei princìpi più utili della legge n. 185 del 1990, che sta funzionando, tanto che l'Italia è risultata uno dei Paesi meno coinvolti nell'armamento di aree e Paesi a rischio, come sono la ex Iugoslavia, i Balcani, l'Iraq e l'Afghanistan. Più corretto sarebbe prevedere norme automatiche di allargamento dell'Accordo di Farnborough ad altri Paesi dell'Unione europea, che così sarebbero vincolati dalle stesse clausole.
In terzo luogo, il Governo consente di applicare la licenza globale di progetto non solo alle coproduzioni intergovernative di armi, come stabilisce l'Accordo europeo di Farnborough, ma anche alle coproduzioni tra singole aziende. Per godere di procedure semplificate e non applicare la legge n. 185 del 1990 basterà che un'azienda italiana faccia un accordo con qualsiasi società in Paesi dell'Unione europea e della Nato o che magari costituisca in uno di questi Paesi una sua società.
Applicando male un buon accordo non sarà possibile avere dati certi sul valore delle esportazioni di armi effettuate; si ridurranno le informazioni sui movimenti bancari relativi alle esportazioni (seguendo i soldi, si riesce più facilmente a conoscere il percorso delle forniture di armi); diventerà poco controllabile il certificato di uso finale dell'arma, strumento che ora consente di sapere non solo chi usa una certa produzione, ma perché la usa.
Forse con questa riduzione di controlli e di garanzie una piccola parte dell'Italia potrà avere una buona fetta della torta di guerra, ma sarà un grave rischio per l'altra Italia, che è la gran parte dell'Italia stessa.
I nostri soldati sono oggi presenti, numerosissimi, in operazioni militari internazionali: senza un controllo accurato del commercio degli armamenti, crescerà per loro il rischio di essere presi di mira proprio da armi italiane. Anche per rispetto dei nostri militari, oltre che per rispetto dei pacifisti, è dunque necessario difendere la legge n. 185 del 1990.
27 febbraio 2003 |