SICUREZZA E DIFESA

COMMERCIO DI ARMI. Consegnate al presidente del Senato Pera migliaia di firme contro la modifica della legge
Per la pace, giù le mani dalla 185
È urgente la ratifica dell'accordo europeo di Farnborough

La stampa diocesana del Veneto partecipa attivamente alla Campagna in difesa della legge 185 del 1990 sul commercio delle armi. Pubblichiamo la scheda apparsa sul settimanale diocesano di Padova "La Difesa del Popolo".

articolo di Tino Bedin
per il settimanale "La Difesa del Popolo" di Padova

Per il mercato mondiale delle armi questo è sicuramente un momento favorevole. L'insicurezza creata dall'11 settembre rende più accettabile da parte delle opinioni pubbliche democratiche che una parte delle loro tasse vada in missili o aerei. L'allargamento della Nato ai paesi dell'Europa orientale comporta l'ammodernamento di quelle forze armate e quindi un ampliamento delle opportunità per le aziende produttrici. C'è insomma una grande torta della quale, secondo il governo, l'Italia deve assicurarsi una fetta.
Prima della concorrenza internazionale bisogna però superare alcune limitazioni legislative nazionali. Su iniziativa del governo, il parlamento ci sta provvedendo. La Camera ha già approvato alla fine di giugno un disegno di legge che modifica la legge 185 del 1990 nell'ambito della ratifica di un accordo europeo; dal 4 luglio il disegno di legge è al Senato e ne è prevedibile l'approvazione in queste settimane.

Il richiamo di Ruini: non attenuare il controllo sul commercio delle armi
Un capitolo non formale del dibattito in Senato (dove non è stato possibile concludere l'esame del disegno di legge in commissione perché quasi mai si sono trovati 17 senatori della maggioranza presenti ad assicurare il numero legale) si è avuto giovedì 10 ottobre nello studio del presidente Marcello Pera: qui padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti hanno portato al presidente una "sporta" di firme a difesa della legge 185.
Non è stata certo una "intromissione" nelle istituzioni. Padre Zanotelli era direttore di "Nigrizia" quando fu approvata la legge 185 sul commercio delle armi prodotte in Italia. Si tratta di una legge rigorosa su due punti essenziali: il controllo sulla destinazione finale (attraverso la trasparenza bancaria) e il controllo dell'opinione pubblica (attraverso il parlamento). Essa è stata scritta tenendo conto dello scandalo della filiale di Atlanta (Usa) della Banca Nazionale del Lavoro, che aveva finanziato vendite di armi ad Iraq ed Iran mentre erano in guerra, e al Sudafrica sotto embargo.
Alla sua approvazione dette una spinta determinante l'associazionismo cattolico, con la condivisione della stessa Chiesa italiana. E la Chiesa non ha cambiato idea: l'11 marzo scorso, aprendo il Consiglio episcopale permanente, il cardinale Camillo Ruini ha detto: "Cari Confratelli, la pace che abbiamo invocato ad Assisi, e per la quale non ci stancheremo di pregare, rappresenta simultaneamente, nella congiuntura storica che l'umanità sta attraversando, una vera e propria necessità e una sfida estremamente ardua. È importante, in questa prospettiva, fare attenzione a che la ratifica da parte del Parlamento italiano dell'accordo quadro per la ristrutturazione dell'industria europea di difesa non comporti l'attenuarsi dei controlli sul commercio delle armi". In quelle settimane il disegno di legge era in discussione alla Camera.

L'accordo di Farnborugh: meno concorrenza al ribasso
L'accordo quadro, che il presidente dei vescovi italiani cita, è uno dei contenuti del disegno di legge proposto dal governo.
A Farnborough (Gran Bretagna), il 27 luglio 2000, per facilitare il processo di integrazione e di ammodernamento del settore, i ministri della Difesa di Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda del Nord, Italia, Spagna e Svezia hanno firmato un accordo per la modernizzazione dell'industria della Difesa. Questi sei paesi sono titolari del 90 per cento dell'intera produzione europea degli armamenti convenzionali. Si tratta quindi di un accordo che di fatto è europeo nella sua dimensione politica, al di là che esso non coinvolga tutti gli stati membri dell'Unione e soprattutto al di là del fatto che la Politica europea di sicurezza e di difesa non sia ancora compiutamente una materia comunitaria.
L'accordo prevede che i sei paesi firmatari non applichino negli scambi tra loro le tradizionali procedure di autorizzazione sull'esportazione di armi realizzate in coproduzione; al loro posto viene introdotta la "licenza globale di progetto". Lo scopo quindi è quello di favorire la cooperazione industriale fra i sei paesi in questo settore, non quello di allargare il commercio, anzi. L'accordo di Farnborough attribuisce a ciascuno dei sei paesi firmatari il diritto di veto sulla destinazione finale di un armamento coprodotto in ambito europeo, se ritiene che la destinazione non sia lecita, perché riguarda un paese in guerra o dove non ci sia rispetto dei diritti umani.
Con questa clausola si riduce anzi la concorrenza… al ribasso nel commercio delle armi. Prima dell'accordo poteva succedere che l'Italia si ritirasse dal mercato di un paese perché non compatibile con la legge 185 e che il posto dell'Italia fosse preso da un altro paese europeo. Con l'accordo quadro nessuno dei paesi firmatari potrà entrare in quel paese.
Si tratta dunque di un buon accordo, specialmente se strettamente collegato alla legge 185 italiana, i cui principi possono entrare nella pratica attuazione dell'accordo stesso. L'Accordo di Farnborough completa infatti la legge italiana in uno dei suoi limiti oggettivi e cioè la sua dimensione nazionale.

La subordinazione della politica al commercio e alla produzione
Per questo, fin dal luglio scorso, nelle commissioni riunite Esteri e Difesa, è stata proposta la ratifica rapida dell'accordo, che è contenuta nei primi due articoli del disegno di legge, e la discussione separata delle modifiche alla legge 185 che il governo ha aggiunto.
Il governo non ha accolto questa proposta. Evidentemente il governo ritiene più importanti dell'accordo europeo le modifiche che esso propone per il commercio di armi italiane; evidentemente le ragioni commerciali hanno il sopravvento sulla politica europea.
È in questa inversione di priorità la modifica più sostanziale che si vuole introdurre nella legislazione italiana: la subordinazione della dimensione politica (e quindi della pace e della sicurezza) agli interessi economici ed industriali. Eppure proprio l'Europa va in senso opposto. In un documento sulla "politica europea degli armamenti", che la Presidenza spagnola dell'Unione ha presentato il 23 marzo a Saragozza, si enunciano una decina di "princìpi", il primo dei quali è mettere la politica degli armamenti al servizio della politica europea di difesa comune "e non il contrario" ("come è successo in alcuni Stati membri dove la politica industriale è determinata dai bisogni o dagli interessi delle loro industrie"). Il disegno di legge italiano è proprio pensato "al contrario", cioè prima le imprese, poi le politiche di sicurezza e le politiche dell'Unione.

L'estensione delle facilitazione anche al di fuori dell'accordo
Fanno parte di questa nuova impostazione alcuni punti del disegno di legge in discussione al Senato, sui quali si è in particolare appuntata la critica delle associazioni sia cattoliche che laiche. Innanzi tutto il divieto di esportazione viene limitato ai soli paesi in cui le violazioni dei diritti umani siano "gravi" e accertate da organismi Ue e Onu. Si tratta - tra l'altro - di un rischioso trasferimento di sovranità politica senza possibilità di controllo e senza contropartite.
In secondo luogo il nuovo strumento della "licenza globale di progetto" viene esteso a tutti i paesi dell'Unione Europea e della Nato. Non essendo questi paesi vincolati dall'accordo di Farnborough potranno scegliere la destinazione finale di un armamento. Si affossa così uno dei principi più utili della legge 185 che sta funzionando, tanto che l'Italia è risultata uno dei paesi meno coinvolti nell'armamento di paesi a rischio come sono la ex Jugoslavia, i Balcani, l'Iraq e l'Afghanistan. Più corretto sarebbe prevedere norme automatiche di allargamento dell'accordo di Farnborough ad altri paesi dell'Unione Europea, che così sarebbero vincolati dalle stesse clausole. In terzo luogo il governo consente di applicare la licenza globale di progetto non solo alle coproduzioni intergovernative di armi (come stabilisce l'accordo europeo), ma anche alle coproduzioni tra singole aziende. Per godere di procedure semplificate e non applicare la legge 185 basterà che un'azienda italiana faccia un accordo con qualsiasi società in paesi Ue e Nato (o che magari costituisca in uno di questi paesi una sua società).

Armi italiane spareranno ai soldati italiani?
Applicando male un buon accordo non sarà più possibile avere dati certi sul valore delle esportazioni di arme effettuate; si ridurranno le informazioni sui movimenti bancari relativi alle esportazioni (seguendo i soldi, si riesce più facilmente a sapere il percorso delle forniture di armi); diventerà poco controllabile il certificato di uso finale dell'arma (lo strumento che ora consente di sapere non solo chi usa una certa produzione, ma perché la usa).
Forse con questa riduzione di controlli e di garanzie una parte dell'Italia potrà avere una buona fetta della torta di guerra, ma sarà un grave rischio proprio per un'altra Italia. I nostri soldati sono oggi numerosissimi in operazioni militari internazionali: senza un controllo accurato del commercio degli armamenti crescerà per loro il rischio di essere presi di mira proprio da armi italiane. Anche per rispetto dei militari - e non solo dei pacifisti - è necessario difendere la legge 185.

18 ottobre 2002

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19 ottobre 2002
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