SICUREZZA E DIFESA

Un emendamento presentato dal senatore Tino Bedin
Un unico codice di pace
per tutti i militari italiani

Ma la maggioranza insiste sul codice militare penale di guerra

Nelle sedute pomeridiane di mercoledì 5 e martedì 11 giugno l'Aula del Senato ha esaminato il disegno di legge di "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 aprile 2002, n. 64, recante disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali", già approvato dalla Camera dei deputati. A nome del gruppo Margherita-L'Ulivo il senatore Tino Bedin, capogruppo nella Commissione Difesa, ha presentato una serie di emendamenti al testo, riguardanti sia aspetti giuridici che il trattamento dei militari italiani. Nessuno degli emendamenti è stato accolto dal governo e dalla maggioranza; stessa sorte è toccata anche alle altre iniziative migliorative assunte di gruppi dell'Ulivo.
In particolare il senatore Bedin ha sostenuto l'emendamento con il quale si sarebbero uniformate le condizioni giuridiche del personale militare italiano: alla maggior parte dei militari infatti si applica il codice militare penale di pace, mentre alle due missioni in Afghanistan si applica il codice militare penale di guerra. Per il senatore Bedin è giusto applicare a tutti il codice di pace.
Riportiamo gli interventi del senatore Tino Bedin nell'illustrazione dell'emendamento e nella dichiarazione di voto.

interventi di Tino Bedin
capogruppo Margherita commissione Difesa

L'illustrazione dell'emendamento:
Ora c'è un esercito afgano di cui siamo alleati
Il Gruppo Margherita-L'Ulivo al Senato ha collaborato, nella discussione del precedente decreto-legge sulle missioni militari italiane all'estero, a definire compiutamente i limiti della novità costituita dalla prima applicazione del codice militare di guerra per i soldati italiani, migliorando di molto il testo del Governo.
Con lo stesso spirito in questa circostanza segnaliamo che quella motivazione è oggi sorpassata; i militari italiani non sono nel teatro di guerra, stanno pattugliando il Mare Arabico o sono nelle basi aeree fuori dal territorio afghano; gli unici militari italiani in territorio afgano sono a Kabul con una forza di pace, nella quale non è quindi opportuno che venga applicato il codice militare di guerra.
Per quanto riguarda la situazione delle istituzioni afgane, siamo in presenza di un governo legittimo; c'è un esercito dell'Afghanistan legittimo con il quale dobbiamo collaborare, cominciando con il tenere in considerazione che esso ha una propria dignità. Anche per rispetto verso degli alleati, non possiamo avere un codice militare di guerra collaborando con gli afgani.
A proposito della considerazione verso l'esercito afghano, credo si possa avanzare una piccola censura all'articolo 6 del decreto. Questo articolo prevede che ai militari afghani vengano dati materiali dismessi dalle nostre truppe. Se è vero che la situazione di difficoltà in cui lavorano gli italiani è tale che il Governo ritiene che ancora ci sia una situazione di guerra, forse è il caso di dare ai militari afghani il nostro stesso equipaggiamento e non materiale superato.

La dichiarazione di voto sull'emendamento:
Le regole della pace rafforzano le nostre truppe
Annuncio il voto favorevole del Gruppo Margherita-L'Ulivo al nostro emendamento sullo stato giuridico delle nostre truppe. Infatti, mentre non ci sono ragioni per continuare nell'applicazione del codice penale militare di guerra per l'attività dei militari italiani impegnati in Afghanistan, sia nell'operazione "Libertà duratura" che nella missione ISAF, ci sono valide ragioni perché questa unica diversità sia eliminata e a tutti i militari italiani impegnati in missioni internazionali sia applicato il codice militare penale di pace.
Le ragioni di politica estera e di situazione militare sono riassumibili nel cambiamento della situazione militare e nella incompatibilità di un codice di guerra con l'intervenuto riconoscimento del nuovo Governo di Kabul. Queste ragioni non sono state contraddette dal governo e dalla maggioranza, se non con una generica osservazione circa i tempi che non sarebbero ancora maturi. Al riguardo, a me pare che - anche se così fosse, ma non lo è - spetti alla politica accelerare i processi verso l'obiettivo che si vuole raggiungere.
Nel nostro caso, il fatto che una delle Nazioni partecipanti ad "Enduring Freedom" cambi la posizione giuridica delle proprie truppe, passando dal codice penale di guerra a quello di pace, sarebbe la dimostrazione concreta che siamo convinti di aver ottenuto un successo nell'operazione e consideriamo quindi utile il passaggio alla seconda fase dell'ingaggio delle truppe.
Sarebbe un messaggio rivolto all'opinione pubblica dell'Afghanistan che, anche in presenza di resistenze dei talebani, avrebbe l'assicurazione che gli alleati considerano la continuità della loro presenza come un'operazione prevalentemente di polizia.
Credo che questo rafforzerebbe anche il ruolo dei nostri militari ed è un'altra ragione del nostro voto favorevole all'emendamento in esame. "Libertà duratura", per la parte che vede la partecipazione italiana, è attualmente una missione di controllo dei traffici e di vigilanza in mare. La missione Isaf si svolge esclusivamente all'interno dell'area urbana di Kabul. Nell'un caso come nell'altro, i militari italiani trarrebbero ancora più produttiva capacità di dialogo con la popolazione e con i controllati se si presentassero anche giuridicamente come forze di pace.
La nostra decisione, infine, potrebbe rafforzare l'intenzione del Governo provvisorio afgano di richiedere la presenza della missione ISAF anche in altre aree urbane dell'Afghanistan.
Ancora con riferimento ai nostri militari, credo sia importante - quando non ci sono specificità davvero evidenti - che essi operino in condizioni uniformi. Credo che nessuno possa sostenere che oggi sul piano militare c'è una differenza radicale tra la partecipazione alla missione Isaf a Kabul e quella alla missione "Amber Fox" in Macedonia: pur nella loro specificità, sono entrambe all'interno di un'azione di peace keeping, di mantenimento della pace in uno scenario non pacificato e con una percentuale elevata di rischio, come abbiamo tragicamente ricordato in Senato poche settimane fa parlando di Macedonia e non di Afghanistan.

5 e 11 giugno 2002

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16 giugno 2002
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