Il Senato precisa i contenuti dell'operazione "Libertà duratura"
Non basterà pacificare l'Afghanistan per far vincere la pace
Riprendere la ricerca del nuovo ordine mondiale: la delega al mercato non ha funzionato, come dimostra la guerra in corso
Il Senato ha discusso il 22 e 23 gennaio il decreto legge del governo sulla partecipazione italiana all'operazione militare internazionale Enduring Freedom contro il terrorismo. Per il gruppo Margherita-L'Ulivo sono intervenuti i sernatori Tino Bedin e Mario Cavallaro. Il senatore Bedin ha anche svolto a nome del suo Gruppo la dichiarazione di voto finale, che pubblichiamo
dichiarazione di voto in Senato di Tino Bedin
capogruppo in Commissione Difesa
La riscrittura delle norme sull'applicazione del codice penale militare di guerra all'intervento italiano nell'ambito dell'operazione "Libertà duratura" ha ridotto i punti di dissenso sul provvedimento che avevo preannunciato, in sede di discussione generale, a nome del Gruppo della Margherita.
Sottolineare l'inserimento, nelle norme che stiamo per approvare, di disposizioni di carattere umanitario a tutela delle popolazioni che, affiancandosi a norme più chiare per i militari impegnati in Afghanistan, certamente daranno la possibilità alla nostra spedizione di essere anche amata - come accade solitamente - dalla popolazione che sta servendo. Sottolineo altresì, come elemento assai positivo, l'abrogazione dell'articolo 87 del codice penale militare perché, come avevo detto in discussione generale, tale riferimento poteva aggravare il "silenzio mediatico" che accompagna questa guerra.
Quindi, annuncio il voto favorevole del Gruppo della Margherita su un decreto-legge che riguarda l'operazione "Enduring Freedom", sapendo però che essa non è conclusa e ribadendo i rischi sia militari che politici di una possibile estensione del conflitto. Dobbiamo continuare a considerare come preoccupante un allargamento di questo intervento che non sia fortemente motivato.
All'inizio di quest'anno, il 6 gennaio, il presidente Bush ha detto che la guerra continuerà. "La guerra" - ha annunciato Bush - "durerà oltre questo 2002 e l'Afghanistan è soltanto il primo fronte. I terroristi non avranno pace. Se qualche Paese offrirà loro aiuto, cibo, riparo, l'America muoverà contro questo Paese".
Certo, si tratta di neutralizzare i possibili nuclei terroristici ancora attivi in Afghanistan, possibilmente di assicurare alla giustizia i capi dell'organizzazione, troncare le ramificazioni di Al Qaeda che a varie dimensioni sono state rintracciate il una sessantina di Paesi.
Ma sarà la guerra che abbiamo visto, la guerra a cui abbiamo partecipato e a cui partecipiamo l'unico strumento? Dobbiamo sempre ricordare che la partecipazione italiana - e non solo italiana - all'iniziativa presa dagli Stati Uniti ha il suo fondamento nell'articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, nel nuovo concetto strategico adottato dal Consiglio atlantico nel 1999.
Ci pare difficile che ricorrano gli stessi presupposti per operazioni militari nei confronti di altri Paesi nei quali si anniderebbero le basi di Al Qaeda (il Sudan, la Somalia, l'Iraq, lo Yemen e via dicendo). Sostenibile è invece la collaborazione - come ho detto in discussione generale, citando l'attuale missione "ISAF" chiesta dal Governo afghano - che un Governo legittimo solleciti per essere aiutato a sconfiggere un nucleo terroristico. L'operazione "Spalla a spalla", intrapresa dal Governo delle Filippine con il supporto di specialisti statunitensi, individua appunto questo percorso.
L'altro elemento politico sul quale richiamiamo l'attenzione del Governo è il rischio, che ogni tanto è affiorato in questi primi centoventi giorni di lotta al terrorismo: che questa lotta assuma i connotati di una controffensiva americana, al posto di quelli di una dura resistenza al terrorismo da parte dell'intera comunità internazionale. La precedenza assoluta che ultimamente è stata data alle operazioni di "Enduring Freedom" rispetto a quelle della missione "ISAF" (precedenza che ha coinvolto anche il ritardato arrivo del contingente italiano a Kabul) è un segnale che - senza enfasi ma con la prudenza di alleati - va discusso e coordinato. L'autosufficienza americana non deve prevalere sulla condizione che stanno combattendo con noi e per noi.
Confermo l'opinione che uno degli aspetti positivi è la coesione della coalizione in questi mesi; coesione che è stata rafforzata dalla Conferenza che l'altro giorno ha riunito a Tokyo i Paesi donatori. L'impegno per la ricostruzione segnala infatti il senso vero della coalizione e quindi anche della missione "Enduring Freedom": la lotta al terrorismo, e non la lotta contro l'Afghanistan ed il suo popolo.
La Conferenza di Tokyo ha visto riuniti 61 Paesi e 21 organizzazioni internazionali. La comunità internazionale ha assicurato quattro miliardi e mezzo di dollari, tra impegni immediati e impegni pluriennali fino al 2006. Credo sia giusto sottolineare che l'unico impegno pluriennale è stato preso dall'Unione europea, che emerge da Tokyo come il maggior donatore all'Afghanistan, con circa 600 milioni di euro per il 2002, ed un impegno, fino al 2006, per altri 2.300 milioni di euro. In questa maniera, l'Unione europea copre da sola quasi un quarto dell'intero ammontare di aiuti giudicati necessari dall'ONU e dalle organizzazioni internazionali.
E non è il solo contributo che arriva dall'Europa. L'Italia, che il secondo maggior donatore tra i Paesi Ue, ha già destinato 45 milioni di euro per l'emergenza e ne offrirà altri 45 milioni nel 2002. E' confermato anche il contributo di 2 milioni e 300 mila euro destinato alle spese del governo ad interim di Kabul.
I risultati della Conferenza di Tokyo per quanto riguarda l'Afghanistan sono positivi, però dovremo monitorarli. Tuttavia, il successo dell'alleanza militare, ora rafforzato dall'alleanza per la ricostruzione, non deve far dimenticare i reali problemi del mondo. Non deve far dimenticare che lo sforzo maggiore va prodotto per individuare ed applicare il nuovo ordine mondiale, del quale si discuteva negli anni Ottanta, e che, dopo l'euforia della caduta del muro di Berlino, si è pensato di affidare al mercato. Questa delega al mercato non ha funzionato e la guerra di cui stiamo discutendo ne è un esempio.
23 gennaio 2002 |