Mille uomini, tra i quali duecento sono italiani
Soldati europei in Macedonia per la sicurezza continentale
L'Europa sud-orientale deve rimanere al centro della politica mondiale
Nella seduta di giovedì 18 novembre il Senato ha definitivamente approvato il prolungamento della missione militare italiana in Macedonia fino alla fine dell'anno. Questo il testo della dichiarazione di voto che il senatore Tino Bedin ha pronunciato in Aula come capogruppo della Margherita-L'Ulivo nella commissione Difesa.
di
Tino Bedin
capogruppo in Commissione Difesa del Senato
Il Gruppo Margherita al Senato dà il consenso al prolungamento della missione decisa dall'Unione Europea e dalla Nato per facilitare la raccolta delle armi dei ribelli kosovari dell'Uck. È opportuno che il Senato esprima la condivisione per la presenza fino alla fine dell'anno di duecento militari italiani nel contingente di un migliaio di soldati europei, che ora hanno un altro compito: quello di facilitare le condizioni di pacificazione che portino nel gennaio prossimo ad elezioni in grado di ristabilire in Macedonia quel clima di tolleranza e di convivenza che per decenni ha caratterizzato questa parte dei Balcani.
Il decreto di proroga presentato dal governo è stato infatti opportunamente emendato durante l'esame alla Camera della Deputati. La primitiva scadenza del 30 settembre indicata dal Governo è stata portata al 31 dicembre: in questo modo, e succede di rado per le operazioni milutari, si consente al Parlamento di indicare la cornice politica e non solo tecnico-militare in cui questa decisione viene presa.
Le armi raccolte. Ma prima di guardare avanti, credo sia opportuno soffermarci alla prima fase della missione italiana in Macedonia.
I nostri militari hanno avuto il compito di raccogliere le armi dell'Uck, mentre il loro stoccaggio è stato principalmente affidato alla Grecia. La missione italiana ha avuto successo: il numero di armi che ci si era prefissati di raccogliere è stato raccolto (forse, anche qualche centinaio di più). Ma non ci si può dimenticare che sono state raccolte meno di quattromila armi. È un risultato di indubbio effetto simbolico, ma nessuno può credere che i ribelli kosovari dell'Uck in Macedonia siano stati disarmati. Tutti lo sanno. Lo sanno i kosovari, lo sanno i macedoni, lo sappiamo anche noi e lo sanno tutte le truppe europee che lì sono state presenti.
Il proseguimento della missione nasce da questa consapevolezza e noi siamo favorevoli - come lo siamo stati nel sostenere l'impegno dell'Italia nella costruzione della pace - che essa continui, anche per evitare che le armi che restano disponibili riprendano a sparare.
A proposito delle armi, ricordo uno degli obiettivi che alla fine di agosto, dando il via libera politico alla continuazione della missione, il Parlamento ha proposto al governo italiano: rendere possibile con la collaborazione del governo greco, ma soprattutto della Nato e dell'Unione Europea, un censimento delle armi consegnate in modo da schedare la loro natura, la loro provenienza e il luogo della loro fabbricazione. Questo aiuterà a comprendere meglio la situazione balcanica e ad attribuire qualche elemento di responsabilità, ad individuare con certezza alcuni canali del traffico d'armi e magari anche del giro del denaro con le quali le armi vengono acquistate; a capire infine se queste armi sono state a disposizione solo dell'Uck o se sono state pronte a sparare ovunque se ne presentasse l'occasione. Mi pare un lavoro urgente, sia per la Macedonia e per i Balcani, ma anche all'interno dell'operazione "Libertà duratura", che ha bisogno soprattutto di azioni di identificazione e di conoscenza.
Una tempestiva relazione al Parlamento da parte del governo su questa missione arricchirebbe il costante e finora costruttivo rapporto istituzionale che c'è stato e che per parte nostra intendiamo mantenere, anche con il voto favorevole alla conversione di questo decreto legge.
Il ruolo dell'Europa. Il nostro consenso politico nasce anche dalla nostra scelta sul ruolo dell'Europa in materia di sicurezza.
L'Europa ha già lavorato positivamente. Ricordo gli importanti accordi di stabilità con la Macedonia del 9 aprile del 2001, perché sono stati la premessa dell'accordo raggiunto a Skopje il 13 agosto fra i leader macedoni e albanesi. Quegli accordi parlano di riconoscimento di minoranze, di libertà religiose e di amnistia. Sono concetti rilevanti in questo momento militare e politico del mondo; concetti che potrebbero essere applicati ad altre aree: mi riferisco all'idea che nell'area balcanica non possano esistere Stati unietnici e unireligiosi e che al contrario solo la coesistenza in quell'area di etnie e religioni diverse sarà in grado di eliminare definitivamente il rischio di conflitti.
Questo processo dovrebbe essere facilitato anche da iniziative parallele a quella militare che l'Unione ha preso in queste settimane e che le danno ulteriore titolo per partecipare alla stabilizzazione della Macedonia e dei Balcani.
La Commissione europea ha infatti adottato lunedì 22 ottobre un documento che definisce la strategia per la promozione della cooperazione regionale nei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Jugoslavia e Macedonia), il programma Cards, che avrà una dotazione per l'insieme del periodo pari a 4,65 miliardi di euro.
L'Europa punta a: rafforzare le Istituzioni e l'Amministrazione, approfondire la democrazia (protezione delle minoranze e dei profughi, partecipazione della società civile, mass-media); migliorare la gestione della giustizia e degli Affari interni e, in modo più specifico, la protezione delle linee di confine; sostenere lo sviluppo economico e sociale e l'istruzione; sviluppare le infrastrutture e il settore privato. In Macedonia, in particolare, si insisterà sulla riforma della Giustizia, ma anche sul riciclaggio del denaro e sulla politica di asilo e di immigrazione.
Nella successiva Conferenza regionale sull'Europa sud-orientale, che si è riuscita a Bucarest il 25 e 26 ottobre, alla Macedonia sono stati assicurati 61 milioni di euro per progetti infrastrutturali attraverso la Banca Europea degli investimenti.
Più in generale, mi sento di chiedere che il governo italiano sostenga l'estensione d'urgenza alla Macedonia delle attività dell'Agenzia europea per la ricostruzione dei Balcani.
La prosecuzione della missione militare europea ed italiana che oggi approviamo avrà anche come obiettivo quello di preparare il terreno a questo intervento.
Un aiuto al parlamento macedone. Il voto favorevole del Gruppo Margherita-L'Ulivo al decreto-legge, come ho già detto, è principalmente originato dalla convinzione che la presenza europea ed italiana in Macedonia hanno una prospettiva di pacificazione che porti al consolidamento della democrazia e della convivenza.
Il vasto consenso del parlamento italiano a questa presenza è anche uno spinta ai colleghi del Parlamento macedone ad arrivare tempestivamente all'attuazione degli accordi del 13 agosto scorso. Il processo di riforma si è infatti bloccato per varie settimane proprio in Parlamento. Il governo ha decretato nella prima metà di ottobre una amnistia per i ribelli, ma il parlamento non è stato tempestivo nell'adottare le riforme necessarie.
Ho già notato che la consegna delle armi da parte dei guerriglieri dell'Uck è stata un gesto prevalentemente simbolico e quindi si capiscono i timori di una parte del Parlamento macedone. La presenza dell'Unione Europea serve anche a rassicurare tutti che non saranno soli nel cammino di ritorno alla convivenza.
Alla fine di ottobre è entrato in vigore l'accordo tra rappresentanti dell'Unione Europea e governo macedone per un piano di spiegamento di forze di polizia in cinque villaggi nella regione di Tetovo e di Kumanovo, a nord; si tratta di villaggi con popolazione mista (macedone e albanese) e questo avrebbe dovuto ridurre i rischi.
Lunedì scorso doveva essere firmato l'accordo-quadro fra le parti in causa, ma alla fine della settimana scorsa si è registrata la ripresa della violenza in Macedonia: il rapimento e la liberazione di civili macedoni e la morte di tre poliziotti, durante scontri con ribelli albanesi, hanno fatto seguito all'intervento della polizia in una zona di lingua albanese, deciso dal ministro dell'interno per proteggere quella che sembra essere una fossa comune di macedoni giustiziati.
In questo quadro, il voto del Senato italiano alla missione europea in Macedonia serve a ribadire che la soluzione delineata per la Macedonia non venga in nessun modo messa in discussione. Il mondo non ha bisogno di altre aree di crisi, soprattutto di altre aree nelle quali ragioni locali possano essere assunte come pretesto dal terrorismo internazionale.
Il sostegno della comunità internazionale ed in particolare dell'Europa deve guardare molto più lontani dell'aiuto finanziario; l'Europa meridionale non solo deve rimanere all'ordine del giorno dell'agenda internazionale, ma costituisce una priorità.
La scelta è chiara: o esportiamo la stabilità nei Balcani e in Europa Sud-Orientale oppure questa regione esporterà la sua instabilità nel resto dell'Europa e forse del mondo.
Oggi è dunque tempo che l'Unione Europea riprenda anche l'iniziativa diplomatica, rilanciando l'idea della Conferenza dell'area dei Balcani; ciò è tanto più urgente perché sono rimasti sulla carta molti degli impegni presi, ormai un anno fa, al vertice di Zagabria del 24 novembre 2000. Occorre promuovere in particolare la cooperazione regionale (una rete di accordi bilaterali di libero scambio, lotta alla criminalità, infrastrutture); anche per non continuare a notare quello che il richiesto censimento delle armi consegnate quasi sicuramente dimostrerà e cioè che la cooperazione regionale più efficace è forse quella tra i criminali della zona.
Anche per questo a noi sembra che tocchi all'Italia farsi promotrice di questa Conferenza per il ruolo che può e deve svolgere nell'area mediterranea. |