Duecento militari italiani restano in Macedonia fino alla
fine dellanno. Il Senato dà il via definitivo al prolungamento della missione
decisa dallUnione Europea e dalla Nato per facilitare la raccolta delle armi dei
ribelli kosovari dellUck. Attualmente sono circa ottomila e cinquecento i soldati
italiani impegnati in missione di pace allestero. Sul piano finanziario
lItalia dedica lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo alle spese per la pace
nel mondo. Se si pensa che alla Difesa dedichiamo l1,1 per cento del Pil, si coglie
il contributo che a partire dalla legislatura dellUlivo lItalia dà alla
interposizione tra fazioni in lotta e al ripristino della convivenza e dei diritti umani.
Il Senato dà il via libera definitivo alla presenza dellItalia nel contingente di
un migliaio di soldati europei che ora hanno un altro compito: quello di facilitare le
condizioni di pacificazione che portino nel gennaio prossimo ad elezioni in grado di
ristabilire in Macedonia quel clima di tolleranza e di convivenza che per decenni ha
caratterizzato questa parte dei Balcani.
Il decreto di proroga presentato dal governo è stato infatti opportunamente emendato
durante lesame alla Camera della Deputati. La primitiva scadenza del 30 settembre
indicata dal Governo al 30 settembre è stata portata al 31 dicembre. Questo evita che il
governo sia costretto ad un nuovo decreto per assicurare la permanenza dei nostri militari
in Macedonia. Ma questa scelta consente al Parlamento di indicare la cornice politica e
non solo tecnico-militare in cui questa decisione viene presa.
Ma prima di guardare avanti, credo sia opportuno soffermarci per un solo momento alla
prima fase della missione italiana in Macedonia. I nostri militari hanno avuto il compito
di raccogliere le armi dellUck, mentre il loro stoccaggio è stato principalmente
affidato alla Grecia.
La missione italiana ha avuto successo: il numero di armi che ci si era prefissati di
raccogliere è stato raccolto (anche, forse, qualche centinaio di più) . Ma non ci si
può dimenticare che sono state raccolte meno di quattromila armi. È un risultato di
indubbio effetto simbolico, ma, sicuramente, nessuno può credere che i ribelli kosovari
dell'Uck in Macedonia siano stati disarmati. Tutti lo sanno. Lo sanno i kosovari, lo sanno
i macedoni, lo sappiamo anche noi e lo sanno tutte le truppe europee che lì sono state
presenti.
Il proseguimento della missione nasce da questa consapevolezza e noi siamo favorevoli
come lo siamo stati nel sostenere limpegno dellItalia nella costruzione
della pace che essa continui, anche per evitare che le armi che restano disponibili
riprendano a sparare.
Ma intanto credo che vada ricordato uno degli obiettivi che alla fine di agosto, dando il
via libera politico alla continuazione della missione, il Parlamento ha proposto al
governo italiano: rendere possibile con la collaborazione del governo greco, ma
soprattutto della Nato e dellUnione Europea, un censimento delle armi consegnate in
modo da schedare la loro natura, la loro provenienza e il luogo della loro fabbricazione.
Questo aiuterà a comprendere meglio la situazione balcanica e ad attribuire qualche
elemento di responsabilità, ad individuare con certezza alcuni canali del traffico
darmi e magari anche del giro del denaro con le quali le armi vengono acquistate. Ed
ancora a capire se queste armi sono state a disposizione solo dellUck o se sono
state pronte a sparare ovunque se ne presentasse loccasione. Mi pare un lavoro
urgente, sia per la Macedonia e per i Balcani, ma anche allinterno
delloperazione "Libertà duratura", che ha bisogno soprattutto di azioni
di identificazione e di conoscenza.
Una tempestiva relazione al Parlamento da parte del governo su questa materia
arricchirebbe il costante e finora costruttivo rapporto istituzionale che finora cè
stato e che per parte nostra intendiamo mantenere, anche con il voto favorevole alla
conversione di questo decreto legge.
Ho già detto che la presenza europea ed italiana in Macedonia hanno una prospettiva di
pacificazione che porti al consolidamento della democrazia e della convivenza.
Il vasto consenso del parlamento italiano a questa presenza è anche uno spinta ai
colleghi del Parlamento macedone ad arrivare tempestivamente allattuazione degli
accordi del 13 agosto scorso. Il processo di riforma è bloccato da varie settimane
proprio in Parlamento. Il governo ha decretato due settimane fa una amnistia per i
ribelli, ma il parlamento non ha adottato le riforme necessarie. Ho già notato che la
consegna delle armi da parte dei guerriglieri dellUck è stata un gesto
prevalentemente simbolico e quindi si capiscono i timori di una parte del Parlamento
macedone. La presenza dellUnione Europea serve anche a rassicurare tutti che non
saranno soli nel cammino di ritorno alla convivenza.
Proprio questa settimana del resto è entrati in vigore laccordo tra rappresentanti
dellUnione Europea e governo macedone per un piano di spiegamento di forze di
polizia in cinque villaggi nella regione di Tetovo e di Kumanovo, a nord; si tratta di
villaggi con popolazione mista (macedone e albanese) e questo dovrebbe ridurre i rischi.
Rischi lo ribadisco che non riguardano oggi solo la Macedonia e larea
dei Balcani. Oggi è indispensabile che la soluzione delineata per la Macedonia non venga
in nessun modo messa in discussione. Il mondo non ha bisogno di altre aree di crisi,
soprattutto di altre aree nelle quali ragioni locali possano essere assunte come pretesto
dal terrorismo internazionale.
LEuropa ha già lavorato positivamente. Voglio ricordare gli importanti gli accordi
di stabilità con la Macedonia del 9 aprile del 2001, perché sono stati la premessa
dell'accordo raggiunto a Skopje il 13 agosto fra i leader macedoni e albanesi. Quegli
accordi parlano di riconoscimento di minoranze, di libertà religiose e di amnistia. Sono
concetti rilevanti in questo momento militare e politico del mondo; concetti che
potrebbero essere applicati ad altre aree: mi riferisco allidea che nell'area
balcanica non possano esistere Stati unietnici e unireligiosi e che al contrario solo la
coesistenza in quell'area etnie e religioni diverse sarà in grado di eliminare
definitivamente il rischio di conflitti.
Oggi è tempo che lUnione Europea riprenda anche liniziativa diplomatica,
rilanciando l'idea della Conferenza dell'area dei Balcani; ciò è tanto più urgente
perché sono rimasti sulla carta molti degli impegni presi al vertice di Zagabria del 24
novembre 2000. A noi sembra che tocchi allItalia farsi promotrice di questa
Conferenza per il ruolo che può e deve svolgere nellarea mediterranea.
Questo dovrebbe essere facilitato anche da iniziative parallele che lUnione ha preso
in questi giorni e che le danno ulteriore titolo per partecipare alla stabilizzazione
della Macedonia e dei Balcani.
La Commissione europea ha infatti adottato lunedì 22 ottobre un documento che definisce
la strategia per la promozione della cooperazione regionale nei Balcani occidentali
(Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Jugoslavia e Macedonia), il programma Cards, che
avrà una dotazione per l'insieme del periodo pari a 4,65 miliardi di euro.
LEuropa punta a: rafforzare le Istituzioni e l'Amministrazione, approfondire la
democrazia (protezione delle minoranze e dei profughi, partecipazione della società
civile, mass-media); migliorare la gestione della giustizia e degli Affari interni e, in
modo più specifico, la protezione delle linee di confine; sostenere lo sviluppo economico
e sociale e l'istruzione; sviluppare le infrastrutture e il settore privato. In Macedonia,
in particolare, si insisterà sulla riforma della Giustizia, ma anche sul riciclaggio del
denaro e sulla politica di asilo e di immigrazione.
La prosecuzione della missione militare europea ed italiana che oggi approviamo avrà
anche come obiettivo quello di preparare il terreno a questo intervento.