Non possiamo sbagliare di fronte alla sfida del
terrorismo
Il comune destino di Oriente e
Occidente
di fronte al terribile pericolo
L'obiettivo di Bin Laden siamo noi, ma non solo
noi. L'Occidente, i Paesi ricchi,
i senza Dio, la nostra storia, i nostri tragici errori, la nostra potenza,
sono il suo alibi. I popoli d'Oriente, le loro speranze, le loro frustrazioni,
la loro stessa fede, sono il suo strumento di
Gavino Angius
presidente dei senatori Ds
È una decisione molto importante, che impegna ed
impegnerà il nostro Paese nei prossimi mesi - ci auguriamo per un tempo il più ristretto
possibile - sulla base degli accordi, delle intese e dei protocolli che ci vincolano sul
piano internazionale e ai quali riteniamo di dover far fronte.
Come avevamo già avuto modo di affermare nel corso del precedente dibattito svoltosi in
quest'Aula sulla politica estera, dopo i drammatici fatti di New York e Washington la
necessità di individuare, isolare e colpire il terrorismo internazionale è per noi un
obiettivo ed un dovere! E' un dovere ed un obiettivo per la comunità internazionale e per
un Paese come il nostro!
Abbiamo espresso - e li riconfermiamo ad un mese da quelle terribili stragi - i sensi
della nostra solidarietà, della nostra vicinanza senza riserva alcuna al popolo e al
Governo degli Stati Uniti d'America.
Il terrorismo internazionale si è disvelato per ciò che era. Un gruppo, una
organizzazione sanguinaria che ha una finalità politica precisa: radicalizzare le
posizioni all'interno dei Paesi islamici; far saltare governi arabi moderati; mettere le
mani su risorse di una parte importante del mondo; attaccare le grandi democrazie come
presunte responsabili dei mali dell'universo; colpire - e questo è un obiettivo
chiaramente indicato da Osama Bin Laden, il capo terrorista di un'organizzazione assassina
- Yasser Arafat.
Dal Presidente del Consiglio sono state dette in questa sede parole significative, ma non
bastano! Chiediamo al Governo di avere più coraggio e di assumere una posizione più
netta e precisa sull'obiettivo da perseguire subito con un'iniziativa politica
internazionale per dar vita ad uno Stato palestinese nella garanzia e per la sicurezza del
popolo e dello Stato di Israele! Una scelta del genere avrebbe un grande valore politico,
perché toglierebbe subito al terrorismo internazionale ed ai sui capi uno degli obiettivi
immediati.
Tuttavia, catturare i capi politici e militari delle organizzazioni terroristiche è un
dovere al quale siamo chiamati dall'organizzazione delle Nazione Unite attraverso i suoi
autorevoli pronunciamenti.
Non c'è bisogno di sottolineare il pericolo di fronte al quale si trova il mondo intero;
bastava ascoltare domenica pomeriggio l'agghiacciante pronunciamento di Osama Bin Laden.
Non siamo in presenza di una guerra di religione o di civiltà, o tra modelli economici o
sistemi istituzionali. Siamo in presenza di una lotta - che dobbiamo intraprendere -
contro una schiera di assassini che usa l'arretratezza di una parte del mondo come
espediente per la propria legittimazione; che usa una confessione religiosa che ha
alimentato una grande civiltà come esca per una contrapposizione tra mondi che, in
verità, non sono mai stati separati. Ecco perché la risposta militare deve essere
efficace ed immediata, necessaria e giusta, ed è legittima.
Ma, più in generale, la comunità internazionale, le grandi democrazie devono sapere che
occorre che la politica progetti e costruisca azioni umanitarie di cooperazione allo
sviluppo per sconfiggere l'arretratezza di intere aree del pianeta che possono essere
utilizzate dall'azione del fondamentalismo.
Dobbiamo colpire a fondo questo male e insieme avviare finalmente la riforma di organismi
sovranazionali, di nuovo governo del mondo, che diano voce, peso e rappresentanza non solo
ai potenti della Terra, ma a tutti: perché il mondo è di tutti.
L'obiettivo di Bin Laden siamo noi, ma non solo noi. L'occidente, i Paesi ricchi, i senza
Dio, la nostra storia, i nostri tragici errori, la nostra potenza sono il suo alibi, la
sua presunta ragione. I popoli d'Oriente, le loro speranze, le loro frustrazioni, la loro
stessa fede, sono il suo strumento. Dividere e separare l'Oriente dall'Occidente, l'Islam
dalla cristianità, il futuro dal passato, in una tragica, bugiarda rappresentazione delle
aspirazioni degli uomini e delle donne alla sicurezza e alla pace in ogni angolo del
mondo. Capovolgere la ragione nel suo contrario, la fede in fanatismo, la speranza in
disperazione, la rivendicazione in odio. L'obiettivo siamo noi, ma - attenzione - non solo
noi. Sono anche loro: l'Oriente, i popoli di Palestina, i bengalesi, gli algerini, i
sudanesi, gli iraniani, gli iracheni. Il loro cammino deve arrestarsi. Nel nome di un Dio
che nel Corano non esiste, ma deve arrestarsi. I Governi di quei popoli che vogliono
incamminarsi nella storia devono essere fermati. Ecco perché diventa un nemico Yasser
Arafat; peggio persino di Bush, perché è un rinnegato.
Bisogna dirlo che Occidente e Oriente, di fronte a questo terribile pericolo, hanno un
destino comune. Noi, qui, con quei popoli; in Palestina, il futuro del mondo. Lo abbiamo
finalmente capito. E se non lo abbiamo capito rischiamo di arrivare troppo tardi.
Molti di noi hanno avuto la fortuna di vivere senza la guerra; però, l'abbiamo ascoltata
e vista. Decidere l'uso delle armi non è una scelta che può essere compiuta con
leggerezza e noi non la compiamo con leggerezza. C'è un peso dentro di noi: angoscia,
interrogativi, timori. Tuttavia, dobbiamo compiere questa scelta - ad essa siamo chiamati
- con coerenza e con determinazione.
Intendo però richiamare il Governo - senza polemica - alle sue responsabilità, ad una
coerenza nella lotta al terrorismo che non sempre c'è stata. Abbiamo, purtroppo,
approvato in quest'Aula una legge sulle rogatorie internazionali che può costituire un
ostacolo insormontabile. Allo stesso modo, le infelici affermazioni - oggi corrette - del
Presidente del Consiglio ci hanno portato a pagare un prezzo.
Siamo chiamati a riflettere su di noi, sull'Oriente come sull'Occidente; a riflettere sui
nostri errori passati, che la storia ci ha lasciato per cercare di non commetterli di
nuovo; perché noi, la comunità internazionale, dobbiamo agire per fare in modo che altri
Bin Laden non sorgano, perché quella è oggi la rappresentazione fisica anche del
fallimento di nostre passate politiche.
Quanti errori sono stati compiuti, da quali interessi siamo stati mossi noi, grandi
democrazie, noi, ricchi della terra, per aver contribuito a generare una così
sconvolgente mostruosità e lasciar marcire quei giacimenti di odio. Non possiamo
sbagliare di fronte alla sfida globale del terrorismo internazionale. Ecco perché
individuare, isolare, colpire le centrali del terrorismo è un dovere; ma vanno colpite
non solo con le armi: vanno colpite con la politica, l'economia, la finanza, la
diplomazia, la cultura, con un radicale ripensamento del nostro modo di essere e di
collocarci in un mondo radicalmente cambiato.
Mi domando quanto senso abbia parlare di Est e di Ovest, di Occidente e Oriente, quando
uno degli obiettivi del terrorismo internazionale diventa non solo l'odiato Occidente, ma
lo stesso Oriente. Ecco perché allora isolare e colpire l'organizzazione terroristica -
come dicono le Nazioni Unite - "con qualsiasi mezzo" è legittimo, ma non è
giusto - tuttavia - che il mandato che diamo alla comunità internazionale e ai suoi
organismi sia incondizionato, perché ci vuole un radicale ripensamento della politica, un
ripensamento che non può significare solo questo.
All'Italia si chiede di svolgere un ruolo attivo e nuovo per operare anzitutto nel Medio
Oriente, in Palestina (come ho già detto), forse come mai è stato fatto. Mi domando - se
lo domandano in molti anche qui, tra di noi nell'Ulivo, nella sinistra italiana, nel mondo
laico e cattolico - se il pacifismo possa tollerare il terrorismo, cioè il terrore, la
morte di innocenti, l'incubo delle stragi. Penso di no, penso che lo debba combattere;
penso che il terrorismo internazionale di Bin Laden abbia dichiarato una guerra dalla
quale ci si deve difendere.
Noi abbiamo vissuto in Italia gli "anni di piombo": era, in quel periodo, il
terrorismo delle Brigate rosse. Anche allora ci furono incertezze e timori, non
ingiustificati, ma le forze democratiche tutte - a destra, al centro e a sinistra - alla
fine non ebbero dubbi nel colpire le BR con azioni mirate e decise, con un impegno
straordinario delle forze dell'ordine, non in contrasto con un'iniziativa politica e
culturale - anche allora - per parlare al disagio giovanile, che poteva costituire il
brodo di coltura di un sentimento di lontananza, se non di disprezzo, per le istituzioni
democratiche.
Anche oggi siamo chiamati a qualcosa di analogo; non di identico, ma di analogo. Non basta
- lo ripeto - l'intervento armato, ma esso - purtroppo - è necessario poiché il regime
dei talebani è complice: protegge, garantisce, offre coperture, mezzi, strumenti, armi,
spazio fisico ai terroristi che minacciano le grandi democrazie.
La scelta di combattere il terrorismo non contraddice affatto i nostri valori e i nostri
princìpi - quelli della stragrande maggioranza degli italiani - ancorati al valore della
pace e del pacifismo. Essi restano tutti intatti nella loro forza e devono continuare a
rimanere elementi fondanti sia delle relazioni internazionali, sia della formazione di
ogni coscienza moderna. Ma se non vogliamo che restino astrattamente validi e confinati in
una generica espressione morale, dobbiamo ancorarli ad una ferma, decisa iniziativa
politica. Se il pacifismo non si misura, anche in questi momenti difficili, con questi
problemi, finisce per diventare un sentimento nobile ma non spendibile nella concretezza
dei problemi di oggi, nelle risposte che siamo chiamati a dare ad Occidente come ad
Oriente. La neutralità non è di ora. Ci sono domande di pace per tutti, in tutto il
mondo, anche nel popolo afgano, al quale non possono non andare in questo momento
difficile i sentimenti della nostra solidarietà.
Noi voteremo la risoluzione dei Democratici di Sinistra, della Margherita, dello SDI, che
esprime compiutamente il nostro punto di vista. Valuteremo, conosciuto il testo definitivo
della risoluzione della maggioranza e del Governo, l'atteggiamento da assumere. Anche in
questa circostanza, signor Presidente, onorevoli colleghi, guardiamo al ruolo del nostro
Paese, alla funzione del nostro Paese e ai grandi obiettivi di democrazia e di pace che
l'Italia deve perseguire.
9 ottobre 2001
Intervento nell'Aula del Senato |