SICUREZZA E DIFESA

Non solo contro gli Usa gli attentati a New York e Washington
Un attacco alle democrazie
fondate sulla pace

Uno scenario mondiale per attentatori e possibili bersagli. Come coinvolgere il pianeta in una nuova sfida di giustizia. L'Italia e i compiti dell'Europa

di Tino Bedin
capogruppo in Commissione Difesa del Senato

Abbiamo vissuto lo scoppio della terza guerra mondiale? L'attacco terroristico alle "Torri gemelle" di New York e al Pentagono a Washington di martedì 11 settembre 2001 è una tragedia americana, perché le migliaia di morti sono nella grandissima parte americani, perché la sfida è stata portata ai simboli del potere americano: la potenza del commercio e quella dell'esercito. La guerra di cui questa tragedia potrebbe essere l'avvio è però mondiale.
Mondiale è infatti lo scenario in cui si colloca. È in tutto il mondo che i responsabili del terrore verranno ricercati ed attaccati. È in tutto il mondo che i terroristici agiscono: colpiscono le Twin Towers di New York, ma l'obiettivo poteva essere la Torre di Londra, la Tour Eiffel, la Porta di Brandenburgo, il Colosseo a Roma. Siamo noi tutti ad essere colpiti.
Mondiali sono le dimensioni della carneficina: decine di migliaia di persone uccise in una sola azione terroristica segnalano immediatamente la portata dello scontro in atto.
Anche i protagonisti sono mondiali? Per ora non lo sappiamo, per quanto riguarda i terroristici. Di certo è mondiale per quanto riguarda gli aggrediti: la nostra sicurezza è indivisibile da quella del resto del mondo e la civiltà democratica si difende estendendola: estendendo i diritti democratici e civili, i diritti sociali, il benessere economico di cui noi godiamo.
Per questo - come ha scritto il Corriere della Sera, nella tragedia ci sentiamo tutti americani. Non solo perché le due sponde dell'Atlantico non sono mai state una frontiera per milioni di italiani che vi hanno trovato lavoro e dignità e libertà. Non solo perché per gli italiani la democrazia è costruita sulla solidarietà ma anche sul sangue di migliaia e migliaia di giovani americani, che hanno dato un contributo decisivo a scacciare la dittatura fascista a partire da quel 10 luglio 1943 quando i soldati alleati sbarcarono in Sicilia.
Ci sentiamo tutti americani perché la sfida che è in corso non ha confini, perché sappiamo che molto cambierà per tutti.
Cambierà per le persone, non solo per la politica. Le nostre democrazie rischiano di vivere in una militarizzazione costante, in uno stato d'assedio permanente.
Non è per questo che abbiamo diffuso le libertà, costruito l'Europa, rinunciato a parti di sovranità nazionale, investito in azioni militari di pace. Alla base della democrazia abbiamo messo la pace, come condizione di distribuzione del benessere. Se viene meno la pace, viene meno il benessere, si riduce la democrazia.
Ecco la prima battaglia, da condurre contemporaneamente alla ricerca e alla punizione dei colpevoli: la nostra battaglia interna perché la sfida di libertà che era nata dalle macerie della seconda guerra mondiale sia rilanciata dalle macerie delle "Torri gemelle". Nel 1945 quella sfida era interna al mondo occidentale. Oggi essa deve essere globale e deve essere condotta su due fronti:
la trattativa sul commercio mondiale - specialmente ora che è prossima la partecipazione anche della Cina - deve avere lo spirito e le caratteristiche di una trattativa per ridurre gli squilibri planetari;
le Nazioni Unite riassumano il proprio ruolo effettivo, non tanto con il Consiglio di sicurezza, ma impegnando l'Assemblea generale in una diagnosi dei quattro o cinque punti caldi del mondo che stanno incancrenendo.
Poi c'è la politica vera e propria.
Sarà necessario, da parte degli Stati Uniti ed anche dell'Europa, riconsiderare il proprio atteggiamento nella ricerca di un'equa e duratura soluzione al conflitto israelo-palestinese. Un anno fa tutti i paesi arabi erano in favore del processo di pace; oggi non c'è una speranza per le popolazioni che sono oggetto, dall'una e dall'altra parte, del conflitto.
Anche la politica europea deve avere un rilancio. Il migliore aiuto che possiamo dare agli Stati Uniti è quello di rafforzare l'identità politica internazionale e di coesione interna dell'Unione europea.
Ci vuole coraggio in questo nella classe politica anche italiana, che in parte si è fatta interprete di un antieuropeismo per paura. Oggi molti si preoccupano del possibile prevalere dell'isolazionismo nell'opinione pubblica americana. Un grande popolo e una grande democrazia quali sono quelli che gli Stati Uniti esprimono certamente non si faranno sconfiggere nel loro progetto di partecipare ai destini del mondo. In questa decisione però saranno aiutati se vedranno che l'Europa fa la sua parte.

11 settembre 2001

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11 settembre 2001
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