Brasile e giustizia
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Açailândia (Brasile), 7 febbraio 2011

Si è arricchito chi ha devastato la foresta, ha occupato illegalmente la terra, ha fatto uso di "lavoro schiavo", ha evaso le tasse e ha corrotto
Fino a quando la giustizia
resterà ostaggio di chi ha piú potere?

È tempo che siano le persone a valere, a misurare la ricchezza di una nazione

Nei mesi scorsi la nostra cittá di Açailândia, nel cuore del Maranhão, brillava di orgoglio: un’importante rivista nazionale la indicava come una delle sei cittá del Brasile che stanno crescendo di piú e promettendo per il futuro.
Settimana scorsa, una seguitissima trasmissione televisiva della domenica sera offriva al Brasile intero un altro volto del Maranhão: violento, impune, in ritardo con la storia. In distacco, la condizione vergognosa dei carcerati, trattati come animali.
Açailândia brillava di nuovo, questa volta di una luce fosca: un bambino scomparso da piú di un anno, senza un’investigazione seria, e la disperazione di sua madre; un fazendeiro sospettato di due omicidi, da mesi ricercato dalla polizia e denunciato dai movimenti sociali della cittá, eppure ancora libero e impune.
Chi osserva da fuori potrebbe non comprendere questo contrasto: Açailândia é sinonimo di splendide promesse di futuro e sviluppo... o di ingiustizia e violenza all’ordine del giorno?
In realtá, si tratta di una convivenza necessaria, che conferma l’origine e la protezione della ricchezza di questa città. Il cosiddetto progresso e l’accumulo di beni, qui, si sono imposti a partire da una violenza strutturale. In molti casi, si é arricchito chi ha devastato la foresta, ha occupato illegalmente la terra, ha fatto uso di "lavoro schiavo", ha evaso le tasse e ha corrotto.
Ancor oggi, perlomeno qui, il potere dei "ricchi" é garantito da una giustizia selettiva, che protegge con rigore e in modo agile il diritto alle grandi proprietá, ma é molto piú tollerante con quelli che torturano, schiavizzano o mandano a uccidere.
Siamo missionari e difensori dei diritti umani; se siamo qui é per assumere una posizione contro il silenzio imposto, contro l’alleanza del potere economico e politico, che in molti casi controlla la nostra regione e anche la stessa legge.
Fino a quando la giustizia resterá ostaggio di chi ha piú potere?
Fino a quando il mito del progresso prometterá futuro per poche persone, schiacciando la testa di molti altri, ridotti al silenzio dalla paura o dalla necessitá di sopravvivere?

Padre Dario Bossi
comboniano

Risponde Tino Bedin

Padre Dario, a conclusione della sua descrizione ci offre questa citazione di Roque Dalton: "Le leggi sono fatte perché le rispettino i poveri. Le leggi sono fatte dai ricchi per mettere un po’ d’ordine allo sfruttamento. I poveri sono gli unici che rispettano le leggi della storia. Quando i poveri faranno le leggi non ci saranno piú ricchi".
È tempo che i poveri scrivano le leggi.
Vale per il Brasile e per le economie in cui la globalizzazione ha proiettato verso le stelle i profitti di pochi.
Vale per le democrazie occidentali, per l'Europa in particolare: qui sono state le leggi dei grandi partiti popolari a diffondere ed accrescere la ricchezza. Oggi anche qui sembra che solo i ricchi siano "bravi" a tutto, compresa la capacità di fare le leggi. In Italia un vecchio plurimilionario ha ancora un terzo dei cittadini che sperano in lui.
È tempo che siano le persone a valere, a misurare la ricchezza di una nazione.

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di-673
7 febbraio 2011
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Tino Bedin