Sessantacinque anni fa terminava la Seconda Guerra Mondiale, a distanza di un numero di anni che rimanda al pensionamento di una persona, sembra quasi che a livello di opinione pubblica si tenda a "pensionare" il ricordo di quegli anni. Scomparsi i Cavalieri di Vittorio Veneto che ricordavano agli italiani la tragedia della "Grande Guerra" e assottigliandosi sempre più la generazione che è passata attraverso la Seconda Guerra Mondiale, quella generazione di uomini e donne che allevati dal fascismo, fu gettata nella mischia dei terribili anni '40/'45 dove sacrificò la propria gioventù (moltissimi la vita!) solo per adempiere i voleri di un regime che avendo inculcato loro il motto del "credere, obbedire, combattere .... se necessario morire per vincere!", riuscì a far perdere loro non solo la guerra ma anche la dignità dell'essere italiani. Questa dignità venne recuperata dalla Resistenza: autentico movimento di liberazione che nelle nostre valli e nelle nostre città seppe con fierezza affrontare il fascismo e l'occupante nazista per riscattare l'Italia da una dittatura che l'aveva umiliata e ferita profondamente. Questa presa di coscienza e partecipazione popolare al riscatto nazionale - dalla fine della guerra ad oggi - ha sempre avuto il suo culmine celebrativo nella giornata del 25 aprile; dapprima con una forte partecipazione di folla in ogni angolo d'Italia, poi progressivamente con le sole autorità e con qualche stanco ed acciaccato reduce. Sorge a questo punto un interrogativo: "una volta che se n'è andata anche la generazione che ha fatto la Campagna di Russia, di Grecia, d'Albania, d'Africa e via dicendo, chi resterà a ricordare e celebrare i valori della Resistenza e le centinaia di migliaia di morti che sacrificarono la loro vita affinché l'Italia potesse democraticamente vivere nella giustizia, nella libertà e nella pace? Man mano che le date si allontanano e il ricordo sfuma, si corre il rischio di cadere in quell'oblio della storia dove tragedie immani appaiono come numeri asettici che ricordano le date di inizio e fine del dramma e più semplicemente annotano la contabilità dei morti e le variazioni dei confini.
L'uscita del popolo d'Israele dalla schiavitù d'Egitto è ricordata attraverso il solenne cerimoniale della Pasqua ebraica dove, secondo il mandato biblico, agli anziani tocca il compito di tramandare la memoria delle sofferenze passate e delle speranze da realizzare nella vita di un popolo che aveva riacquistato la sua libertà. Questo riferimento al cammino di liberazione del popolo di Israele ci deve aiutare a capire quanto importante sia fare memoria di una tragedia che coinvolse popoli interi e si abbatté come uno tsunami devastante su nazioni e persone innocenti.
Non è un mistero per nessuno che oggi il lieve venticello del revisionismo sia diventato una corrente gagliarda che soffia a tutto spiano su quest'Italia di inizio terzo millennio, che vive, sta in piedi e prospera, proprio grazie al seme della Resistenza cresciuto in anni difficili e consolidatosi sempre di più grazie a quei valori che uomini e donne seppero dargli, a volte col prezzo della vita. Oggi si assiste ad un affievolirsi sempre più marcato di tutto ciò che la Resistenza ha generato nella storia civile del nostro paese. Si mettano pure le colpe di una scuola che poco ha fatto per depositare nelle coscienze dei ragazzi italiani il nesso tra Resistenza e Costituzione, il tutto unito ad una società che ha fatto del vivere passivo quasi una norma morale, e si capirà come spesso e volentieri si accettano acriticamente e magari inconsapevolmente, le tendenze revisionistiche di questi ultimi anni. Scriviamo queste cose con la consapevolezza che il contributo dei cattolici alla lotta di liberazione, non solo è storicamente vero e accertato, ma anche e soprattutto perché nella Costituente che ereditò i valori più alti della Resistenza, la componente cattolica seppe fondersi in modo articolato con le altre componenti che rappresentavano l'Italia liberata. Il contributo cattolico alla Resistenza, non è stato importante solo per i giovani che andarono in montagna a combattere il nazifascismo, ma anche per il fatto che seppe creare un tessuto di solidarietà tra popolazione civile e partigiani, che permise a questi ultimi di muoversi come pesci nell'acqua, godendo di un'ampia copertura che la gente seppe offrire proprio perché idealmente (anche senza imbracciare un'arma) si schierava accanto a dei combattenti per la libertà. L'appoggio morale e materiale e le coperture, che i partigiani ricevettero da amplissimi strati della popolazione di un'Italia ancora soggiogata dal tallone nazifascista, è lì a dimostrare come il senso comune della gente normale, non direttamente coinvolta in eventi bellici, fosse ampliamente schierato dalla parte di chi lottava per la liberazione del nostro Paese. In clima di strisciante restaurazione per quieto vivere, a volte, s'invoca la "buona fede" di chi combatteva da una parte e dall'altra, altre volte, si chiede "rispetto" per tutte le vittime della violenza al fine di arrivare ad avere una memoria condivisa che non laceri più di tanto la società italiana. Sta di fatto che proprio dalla Resistenza, non da altro, ha tratto senso tutto il percorso della Costituente per arrivare alla formulazione di una Costituzione condivisa. Il primato della persona, la libertà, il rispetto, la tolleranza sono valori che trovano posto nella nostra Carta, ma non possono scadere in buonismo, nel lasciare correre e non possono mai negare o tacere la verità storica, il "fatto" Resistenza, Guerra di liberazione, Costituzione, resta il cardine della coesione nazionale.
Oggi purtroppo si assiste, in maniera sempre più subdola e marcata al tentativo di porre sullo stesso piano, fascisti e antifascisti, partigiani e repubblichini. Crediamo davvero difficile che si possa pensare di dare pari dignità come belligeranti, sia ai partigiani che combattevano per la Libertà, che ai fascisti della Repubblica di Salò che difendevano con le unghie e con i denti l'esanime dittatura di Mussolini. Riteniamo che in questo momento, proprio per ricordare al paese intero che i valori che ispirarono la lotta di Liberazione debbano essere fedelmente custoditi per tramandarli alle nuove generazioni, sia un doveroso omaggio a tutti i caduti per la Libertà, ai 46.187 caduti partigiani e agli oltre 40.000 deportati, militari e civili, torturati, fucilati e impiccati, così come il rispetto che si deve ai soldati italiani internati in Germania che non vollero ritornare in Italia a combattere per la Repubblica Sociale di Salò, subendo di conseguenza i campi di concentramento tedeschi, sia un tributo morale al quale non possiamo sottrarci. Come cristiani proviamo nei confronti di coloro che hanno compiuto tali efferatezze un sentimento di pietà che ci porta ad elevare anche per loro una preghiera di suffragio. Crediamo comunque, che i morti di Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, Fossoli, Boves e di tanti altri centri minori delle nostre terre, debbano essere ricordati come vittime di eccidi perpetrati in nome di un odio sconfinato al servizio di una dittatura, porre sullo stesso piano vittime e carnefici, la riteniamo un'operazione di maquillage antistorico che non può e non deve essere portato a compimento, pena la rinuncia a credere negli ideali di libertà che proprio la lotta antifascista ha inserito nel Dna dell'Italia Repubblicana. Il compito del ricordo non è demandato alle sole istituzioni, ma è demandato al popolo sovrano, ad ognuno di noi che vuole e può riconoscersi nella Carta Costituzionale e deve sapere tramandarla alle generazioni future come preziosa eredità.
Commissioni "Giustizia e Pace"
delle Diocesi di Novara e Vercelli
Risponde Tino Bedin
C'è un aspetto sul quale occorre insistere: la lotta di Liberazione fu una lotta di popolo; non era una minoranza politica o culturale a cercare di rimettere l'Italia dalla parte della vita e del futuro; furono centinaia di migliaia, milioni di persone che in nome della vita, della giustizia, della speranza, della dignità, in mome dell'Italia scelsero la parte da cui stare. In questa guerra di popolo, in questa Resistenza al fascismo e al nazismo ci sono volti e vite, che poi divennero parole della Costituzione. Ora la libertà ha 65 anni; ha dunque l'età per diventare maestra di vita. Un insegnamento che si può fare in una situazione di pace a differenza di quello che i maestri della Resistenza dovettero vivere.
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