All’avvio dell’iter di conversione in legge del DL 1 Gennaio 2010 n. 1, intendiamo presentare alcune riflessioni e proposte sulla questione afgana come contributo della società civile ed in particolare del network ‘Afgana’ (www.afgana.org).
È importante che DL sottolinei «l’urgenza di emanare disposizioni volte ad assicurare la prosecuzione degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione» e preveda il coinvolgimento della società civile attraverso «una conferenza regionale della società civile per l'Afghanistan, in collaborazione con la rete di organizzazioni non governative ‘Afgana’».
Da più parti, infatti, e stata messa in evidenza la necessita di un maggior intervento in ambito civile. La relazione presentata dal responsabile di Unama, ambasciatore Kai Eide, davanti al Consiglio di Sicurezza l'8 gennaio 2010 ribadisce l’urgenza di un maggior investimento nell'ambito sociale, dello sviluppo e della ricostruzione con un'attenzione particolare al popolo afgano e alle sue esigenze primarie. Rileva inoltre la necessita di promuovere un piano di riconciliazione nazionale che abbia come base la nuova Costituzione nazionale.
Tra le primarie esigenze degli afgani vi e indubbiamente quella della sicurezza e della salvaguardia della vita. In realta, l'ultimo rapporto quadrimestrale di Unama, pubblicato a Kabul il 13 gennaio 2010, rileva che, benché sia diminuito al 28% il numero delle vittime civili imputabili alle forze pro-governative (esercito afgano e alleati occidentali), il 61% di esse e dovuto a raid aerei. Il rapporto ricalca una preoccupazione gia espressa anche in ambito militare dal generale Stanley McChristal, comandante delle truppe Usa e Nato nel territorio quando, nel documento preparato nell'estate 2009 per la Casa Bianca, ha fatto diretta menzione del problema della “sicurezza degli afgani”.
Da questi due elementi, opzione civile e vittime civili, la cui importanza è sottolineata anche in altri documenti prodotti da diversi think tank internazionali e italiani, facciamo emergere alcune raccomandazioni che ‘Afgana’ sottopone al dibattito parlamentare al fine di un coerente impegno del governo italiano.
Aiuto allo sviluppo. Oltre alle iniziative già in atto o programmate, l'Italia potrebbe dare un maggior impulso alla cooperazione civile stimolando, anche con il coordinamento del ministero degli Esteri (Dgcs), la presenza di soggetti italiani non governativi, ong, associazioni ed enti locali interessati ad impegnare risorse in Afghanistan nei settori e nelle priorità indicate dalla relazione di K. Eide, col fine di aumentare, attraverso il consolidamento strutturale della società civile afgana nelle sue forme organizzate, il sostegno a progetti mirati, come la creazione di una “Casa della società civile”, luogo di dibattito sul tema dei diritti e del futuro del paese, ponte ideale tra l'Europa e l'Afghanistan.
Ciò rafforzerebbe la presenza e l’immagine del nostro paese in Afghanistan e costituirebbe un ulteriore segno tangibile dell’impegno di lungo periodo nell’ambito della ricostruzione fisica, sociale e culturale del paese.
Se finora gli aiuti per il soccorso umanitario e la ricostruzione civile hanno complessivamente mantenuto un rapporto di 1 a 10 rispetto alla spesa per le operazioni militari, l’annunciata nuova attenzione alla dimensione civile dovrebbe indurre rapidamente ad un visibile cambiamento di tale proporzione. Infatti, senza segnali forti e diffusi, in risposta ai bisogni primari e alla povertà diffusa, la delusione degli afgani crescerà, insieme alla freddezza e al malcontento. L’Italia (2009) ha migliorato tale rapporto in Afghanistan, ma in modo ancora insignificante, trattandosi dell’impiego del 12,5% dei fondi per le operazioni civili rispetto all’87,5% per quelle militari.
Vittime civili e riconciliazione nazionale. ‘Afgana’ ritiene che la questione delle vittime civili debba essere una priorita e una preoccupazione costante della comunità internazionale e del nostro paese. L'Italia dovrebbe premere perché sia respinto l'utilizzo dei raid aerei come forma di pressione militare, dati i disastrosi e ripetuti “effetti collaterali”, in modo da evitare ulteriori danni alla popolazione dell'Afghanistan. Una rinnovata posizione in questo senso da parte del parlamento italiano sara di stimolo per una definitiva presa di coscienza che l'arma del bombardamento aereo e la più nociva sia in termini di perdita di vite umane che di consenso tra la popolazione. L'Italia non partecipa attivamente ai bombardamenti ma ne e comunque eticamente corresponsabile e ‘Afgana’ si augura che il nostro paese faccia adeguate pressioni in sede Nato/Isaf in tal senso.
‘Afgana’ ritiene inoltre importante che il parlamento e il governo italiani si esprimano in modo decisamente favorevole sull'avvio e il rafforzamento in tutte le sue forme di un piano di riconciliazione nazionale come sottolineato nel rapporto di K. Eide. Conosciamo le positive iniziative italiane in tal senso: ci auguriamo che esse vengano rafforzate e che nella stessa direzione si muova l'intero consesso dei paesi europei.
Convinti dell’attenzione dei parlamentari del Senato e della Camera, ci auguriamo che, nell’ambito di un confronto ampio e franco, possano accogliere le sollecitazioni della rete di ‘Afgana’, dando un segno tangibile della giusta attenzione che l’Italia intende dedicare a un paese cui ci vincolano antiche relazioni e, da nove anni, un forte impegno per la sua stabilizzazione.
Risponde Tino Bedin
I due temi proposti da Rete "Afgana" dovrebbero essere connaturati con una missione milityare di pace. Il fatto che vengano invece richiamati, anche da autorevoli esponenti internazionali, conferma quello che in molti abbiamo tenuto magari non all'inizio, ma a partire dal 2003 quando la Destra italiana al governo decise di inviare mille alpini in Afghanistan. Era la risposta ad una richiesta degli Stati Uniti, ma era anche la chiara dimostrazione che l'obiettivo non era più Osama Bin Laden, ma la presenza di lungo periodo di forze straniere in quel territorio. Non fummo molti allora in Senato a votare contro l'invio degli alpini; io nta stesso lo feci come scelta personale non condivisa dal mio gruppo parlamentare. Dopo quasi 10 anni di presenza, dopo molte vittime anche fra i valorosi militari italiani, la preoccupazione di allora è addirittura accresciuta dall'evoluzione sempre più militare della missione italiana. Anche per questo, prima ce ne andremo meglio sarà per tutti, afghani ed italiani. Senza abbandonare quel Paese, ma trasformando tutto quello che oggi spendiamo per gli armamenti e la sicurezza dei nostri militari in sostegno civile alla popolazione.
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