Le polemiche di questi giorni sull'intervento dell'Europa in materia di alcol rischiano di spostare l'attenzione rispetto ai veri problemi dell'abuso di sostanze alcoliche che riguardano molti giovani della nostra Regione. Non è con interventi disorganici e proibizionisti - come appunto la minaccia di vietare genericamente l'alcol nelle sagre - che si incide su fenomeni che hanno profonde radici culturali. Serve un approccio differenziato, con provvedimenti specifici a tutela una fascia della popolazione, quella giovanile, più esposta al problema e con la massima severità nella difesa della sicurezza stradale.
È passato praticamente inosservato l'ennesimo studio, di poche settimane fa, che colloca la nostra Regione ai primi posti per l'abuso di alcol tra i giovani. Già nel 2005 d'altronde gli studi della Commissione Europea parlavano di cifre a dir poco sconcertanti che confermavano come proprio nel "ricco" nord-est si trovi l'epicentro del legame alcol e giovani con un'incidenza, nei ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, di episodi di abuso etilico in quasi la metà dei casi (il primato si registra in Emilia Romagna (44,2%) cui seguono Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, tutti oltre la soglia del 40%).
Se è condivisibile che probabilmente si tratta di comportamenti che hanno ampie radici culturali e su cui l'intervento dovrà essere soprattutto di natura educativa per creare una coscienza individuale e sociale sul bere in maniera "responsabile" (nell'accezione vera di questo termine, non in quella ormai già abusata dalle pubblicità) è altrettanto vero questo "percorso educativo" è sempre stato costellato di atteggiamenti equivoci, poco chiari, che di fatto trasmettono messaggi in contraddizione tra loro. Come quello proposto lo scorso mese di ottobre dal presidente della Provincia di Udine Fontanini che ha diffuso una maglietta come gadget con la scritta "o soi a bevi un tai" accanto all'immagine dell'aquila del Friuli.
Nessuno vuole criminalizzare il vino, o gli alcolici in generale, sia ben chiaro, se consumati con moderatezza possono essere uno dei piaceri della vita, hanno anche un effetto positivo sull'organismo e, particolare da non dimenticare, costituiscono una risorsa fondamentale per l'economia del nostro territorio. Non dobbiamo però commettere l'errore di perdere le giuste proporzioni tra queste considerazioni per mettere al primo posto una politica che sappia porre un freno all'abuso di tali sostanze nei giovani.
L'alcol infatti è la prima causa di morte nella fascia d'età tra 18 e 25 anni, la guida in stato di ebbrezza ha provocato quasi 6mila incidenti negli ultimi tre anni, la metà degli infortuni sul lavoro è imputabile all'abuso di sostanze alcoliche. Ben vengano quindi le ordinanze - su tutte quella recentissima di Milano - che pongono un freno a questa quotidiana tragedia. Non si tratta di proibizionismo ma di un segnale forte rispetto ad un problema concreto e mi auguro che presto altre città sapranno seguire questo esempio.
Sicuramente è una sfida di carattere culturale ma il punto di partenza non possono non essere dei provvedimenti concreti soprattutto in quei settori sensibili, mi riferisco in particolare alla sicurezza stradale, in cui il problema è più marcato.
Periodicamente riprendono quota le campagne di informazione e sensibilizzazione, le cifre si rincorrono, ma una vera svolta per fermare queste stragi ancora non c'è.
L'introduzione della patente a punti è stato sicuramente un segnale importante ma non basta, ci vuole più coraggio e soprattutto, più coerenza.
Si può bere e poi mettersi alla guida? Un ragazzo informato risponderebbe: un po' si, ma non troppo, dipende però da quanto pesi, da cosa bevi, ecc. e avrebbe ragione!
Il messaggio in vigore è questo: illogico, confuso, discutibile e pure mal applicato. Chi può dire con certezza se "è dentro o fuori" dai limiti previsti? Le tabelle alcoliche pubblicate nei locali mi sembrano del tutto inadatto allo scopo. A parte il fatto che alcuni locali sono esenti dall'obbligo di pubblicarle e comunque non sono in grado di dare informazioni oggettive: cosa vuol dire che si possono bere 2/3 di bicchiere di aperitivo? Devo portarmi il bicchiere col misurino per assicurarmi che il barista non sbagli le dosi? Chi decide quanto "forte" dev'essere un drink in un locale? E così nel dubbio si finisce per bere un bicchiere in più piuttosto che uno in meno, tanto l'alcol "noi friulani lo teniamo!".
E poi c'è il capitolo controlli, pochi, pochissimi, circa 400 mila all'anno in Italia contro i 10 milioni della Francia, e molti a senso unico. Anche questo va detto molto spesso tutta l'attenzione si concentra solo sui ragazzi (magari chiudendo un occhio coi guidatori più "esperti, mentre la pericolosità dell'alcol dovrebbe essere combattuta trasversalmente perché solo in questo modo passerebbe una posizione coerente. Le regole ci sono, servono alla nostra sicurezza e vanno rispettate da tutti.
Mi sento quindi di condividere le proposte che prevedono l'abbassamento del limite alcolemico per chi si mette alla guida portandolo a zero. Sarebbe un passaggio sicuramente forte ma necessario per garantire la sicurezza nostra e dei nostri figli e soprattutto farebbe passare un messaggio chiaro e non più fraintendibile.
Anche l'alcol rappresenta per la nostra comunità una sfida, dobbiamo trovare gli strumenti perché continui ad essere solo una risorsa e non più una condanna del nostro territorio. Abbiamo messo in campo molte risorse per farlo, forse è mancata la più importante: un po' di coraggio, anche politico, in più.
Paolo Menis consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia Partito Democratico
Risponde Tino Bedin
Ho letto (come sempre con attenzione e con condivisione) l'ultima lettera di Paolo Menis dedicata all'abuso di alcol da parte di un numero preoccupante di giovani. Non sono tutti ad abusare degli alcolici, non sono neppure la maggioranza; sono però abbastanza per costituire un problema comunitario (oltre che personale e familiare) cui dedicarsi per la soluzione.
La tua analisi è completa: fornisce elementi per la consapevolezza - e complessità - della situazione; chiarisce che la soluzione non è né univoca né a portata di mano; non rinuncia ad assumere responsabilità di fronte alle difficoltà.
Quello che mi sembra di poter sottolineare da parte mia è che non vi sono risposte di destra o di sinistra di fronte all'emergenza costituita dall'abuso d'alcol in età precoce (è la prima causa di morte fra i giovani). Questo abuso va combattuto, senza contrapporre divieto e a multa (che sarebbero di destra) all'educazione e alla sensibilizzazione, specie nelle scuole (che sarebbero di sinistra).
Servono divieti e sensibilizzazione, insieme. Il divieto va imposto e va fatto rispettare: se è un'emergenza si trovino i mezzi (o si inventino) e non ci si rassegni a dire che "vietare è inutile, specie se non si è in grado di far rispettare il divieto".
La sensibilizzazione serve a costruire un'opinione pubblica che non consideri il divieto proibizionismo per non innescare meccanismi psicologici e collettivi di sfida. Avanti dunque nelle scuole, ma anche in tutti i luoghi nei quali i giovani si aggregano. Le istituzioni, specie i Comuni con l'apporto delle Regioni, devono essere protagoniste: lasciare che si arrangino gli insegnanti o che suppliscano i parroci nei patronati non è civico. I Comuni mettano risorse (professionali ed anche finanziarie) per creare una rete, nella quale finalmente anche le mamme e i papà siano chiamati a stringere qualche nodo per i loro figli. Una rete civica dove si incontra anche la polizia locale, oltre al parroco, all'insegnante, all'assistente sociale dell'Azienda sanitaria locale.
La sensibilizzazione diventa autorevole se è fatta da chi ti vuole bene, da chi ti educa, da chi cura, da chi ti multa.
C'è anche un'occasione pratica, finanziata dall'Unione Europea con 4 milioni e 200 mila euro: il progetto ICARUS (Inter-Cultural Approaches for Road Users Safety: approcci interculturali alla sicurezza stradale) che intende mettere a punto un manuale europeo per l'educazione alla sicurezza stradale che contribuirà a far diminuire gli incidenti stradali di giovani automobilisti. Il Ministero italiano degli Interni, che coordina il progetto e che ha ottenuto la cooperazione della Polizia slovena, prevede di coinvolgere giovani di tutti gli Stati membri dell'Unione. I giovani avranno la possibilità di dire la loro, in modo che il linguaggio e i mezzi di diffusione che saranno utilizzati possano facilitare il raggiungimento dell'obiettivo perseguito: salvare ogni anno il maggior numero possibile di vite di giovani automobilisti. Mi parrebbe assai positivo (anche in un clima di federalismo) se queste procedure fossero tradotte attraverso alcuni Comuni, anche come incentivo alla creazione della rete civica di protezione dall'abuso di alcol.
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