Finalmente qualcuno dotato di autorevolezza nel settore economico incomincia ad ammetterlo: in un'intervista rilasciata a "Repubblica" sabato 6 dicembre Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'Economia nel 2001, alla domanda su "come si può sostenere la crescita in assenza di consumi paragonabili a quelli di questi anni", risponde: "Prima di tutto c'è bisogno di grandi investimenti nelle tecnologie, in particolare quelle "verdi": dobbiamo ridisegnare la nostra economia in modo che rispetti di più l'ambiente, e questo potrebbe aiutare la crescita. Poi si potrebbe lavorare sulle enormi disuguaglianze che esistono: i ricchi hanno più soldi di quelli che possono spendere, mentre quelli che non hanno abbastanza sono i più colpiti dalla crisi. Se avessimo più uguaglianza si darebbe la possibilità di consumare a quelli che ne hanno bisogno".
Sembra dunque emergere la consapevolezza di un deficit di domanda globale, con conseguente crisi da sovrapproduzione, caratterizzata da crescente disoccupazione e diminuzione dei prezzi, come sembrano confermare gli ultimi dati macroeconomici a disposizione.
Le domande da porsi, allora, sono due: quanta parte ha nell'attuale crisi economica lo squilibrio nella distribuzione dei redditi? E se fosse dimostrato che tale squilibrio non solo esiste, ma è la principale causa della crisi in corso, quali potrebbero essere alcune politiche economiche efficaci per superare tale crisi?
Intendo solo mettere a disposizione alcuni dati utili per cercare le risposte a tali domande, sperando di contribuire ad un dibattito più puntuale e, se vogliamo, "coraggioso" da parte degli economisti, e contando soprattutto di essere aiutato ed eventualmente corretto da chi sicuramente è più esperto di me in tale materia.
1) Il Sole 24 Ore del 22 ottobre, in piena crisi finanziaria globale, pubblicava in una pagina (molto) interna, e senza il corredo di adeguati commenti, almeno per quanto mi risulta, una sintesi del primo rapporto Ocse sul tema "Redditi, disuguaglianza e povertà", da cui emerge che l'Italia è sesta tra i campioni di disuguaglianza in una speciale classifica internazionale in cui viene superata solo da Messico (1°), Turchia, Portogallo, Usa e Polonia (5°); i dati più significativi di tale studio per quanto riguarda l'Italia riguardano:
a - la disuguaglianza tra i redditi di lavoro, capitale e risparmi, che sono diventati il 33% più diseguali a partire dalla metà degli anni '80;
b - la forbice tra il 10% più povero della popolazione e il 10% più ricco, che si attesta su un rapporto uguale a 10, rispetto ad una media del 7,5 registrata nei Paesi dell'Europa a quindici;
c - la distribuzione della ricchezza, che avviene in modo diseguale rispetto al reddito: il 10% più ricco detiene circa il 42% del valore netto totale, mentre possiede circa il 28% del totale del reddito disponibile (negli Usa, fonte della crisi finanziaria, l'accentramento è ancora più netto: l'1% detiene il 33% della ricchezza totale).
2) Dopo pochi giorni venivano pubblicati i dati dell'Istat sui consumi e sulla povertà, dai quali emergevano questi fondamentali indicatori:
a - le famiglie che lo scorso anno in Italia si trovavano in condizioni di povertà relativa erano 2 milioni 653, pari all'11% del totale; gli individui poveri, invece, erano ben 7 milioni 542 mila, vale a dire il 12,8% della popolazione;
b - nel Sud d'Italia l'incidenza della povertà relativa è quattro volte superiore a quella che si osserva nel resto del Paese, con un tasso d'incidenza del 22,5%;
c - si è più poveri inoltre se la famiglia è composta di anziani, se si è meno istruiti, se si riscontrano bassi profili professionali (i cosiddetti working poors) e se ci sono in famiglia dei componenti in cerca di lavoro.
3) Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i deputati del congresso, durante le audizioni per far luce sulla crisi finanziaria, si sono scagliati contro le basse imposte pagate da molti re della finanza; i manager di fondi possono infatti avvantaggiarsi, per almeno parte della loro paga, di aliquote sui capital gains del 15%, invece di pagare quelle sul reddito complessivo della persona fisica, che arrivano fino al 35% (il Sole 24 Ore del 14 nov. 08).
Più in generale, "il rapporto tra la paga media degli amministratori delegati delle maggiori imprese americane e quella dei dipendenti è volato dalle 42 volte del 1980 alle 107 volte del 1990, fino al record di 525 volte del 2000, per scendere a 364 volte nel 2006" (M. Mucchetti nella rubrica Focus del Corriere della Sera del 9 ott. 08).
4) Scrive Alberto Martinelli, sempre sul Corriere della Sera, che "se prevale un tipo di capitalismo come quello in cui si è verificata la crisi attuale, che arricchisce i pochi insiders e crea difficoltà ai molti outsiders, che è ossessionato dal brevissimo termine e dal quotidiano oscillare dei titoli di Borsa, che non favorisce investimenti in capitale umano ed in tutela ambientale, che non crea opportunità di inclusione per i molti esclusi, il mercato corre il serio rischio di essere erroneamente considerato causa di primaria disuguaglianza e di ingiustizia, e di provocare reazioni politiche e culturali che ne minano la legittimità e la possibilità di funzionamento".
Questi spunti vogliono solo suggerire la necessità di approfondire, a livello di ricerca statistica e macro economica, i legami esistenti tra distribuzione del reddito e crisi finanziaria e da sovra produzione attualmente in atto; a me sembra che manchino seri tentativi di analisi in questa direzione, anche se tante sono le evidenze empiriche che dovrebbero destare più di qualche interrogativo (quando, ad esempio, ho comprato l'automobile nuova lo scorso anno, è stata la stessa casa costruttrice a prestarmi i soldi per pagarla; ancora: il fatto che il mini appartamento nel quale abitavo dieci anni fa con mia moglie - 45 mq circa - costi adesso esattamente il doppio - 135.000 € - dipende dall'intensità della domanda primaria di abitazioni da parte di giovani coppie o single che cercano una seppur provvisoria sistemazione abitativa, o non piuttosto dal nugolo di capitali più o meno grandi che cercano una qualche redditività?).
A tal riguardo persino Giovanni Sartori, in un suo recente fondo sul Corriere della Sera (16 ott. 08), dall'eloquente titolo "Le previsioni fallite" (degli economisti, aggiungo io), dichiarava di "essersi spaventato quando ha vissuto negli Stati Uniti il bombardamento del credito troppo facile", ponendosi il quesito sul perché gli economisti non abbiano adeguatamente previsto e denunciato la follia dei mutui subprime, ossia senza sufficiente copertura.
Veniamo dunque a qualche indirizzo di politica economica che potrebbe incidere sulla distribuzione del reddito in modo da favorire una ripresa economica più equilibrata.
1) Il vero ruolo dei sindacati; a commento dei dati aggiornati sul TPI (Trading performance index) elaborato e pubblicato dalla WTO (Organizzazione mondiale del commercio), secondo i quali l'Italia risulta al secondo posto, dietro solo alla Germania, nella classifica mondiale dell'export, Mario Pirani, in un articolo pubblicato su "Repubblica" del 29 luglio 2008, affermava: "Questi dati sovvertono opinioni politiche ed economiche diffuse sia per quanto concerne le capacità economico - commerciali europee, sia l' esagerata percezione del pericolo cinese. Infine non è vero che "l' Italia precipita". Quel che precipita è la capacità di acquisto delle classi lavoratrici e di conseguenza il mercato interno. Si sconta la bassa remunerazione netta del lavoro e la rinuncia a forti lotte per più alti salari e stipendi diretti nei settori forti e non solo per sgravi fiscali. Una politica sindacale che ha sostituito l' impatto delle vertenze col padronato con le pressioni per ottenere dal governo e dal Parlamento detrazioni fiscali, spalmate con indolori procedure bipartisan tra industriali e lavoratori. Dunque, per concludere su questo punto, "la classe operaia non è in paradiso". È stata solo dimenticata dagli smarriti eredi di quelli che un tempo simbolicamente si fregiavano della falce e martello e ha finito per rivolgersi per delusione, rabbia e umiliazione alla destra più o meno populista, comunque consapevole della sua esistenza, non fosse altro perché la ha sotto gli occhi nelle centomila fabbriche e fabbrichette del nostro Paese. Rifletta chi ancora ne è capace".
Più in generale sarebbe opportuno che il lavoro dipendente aumentasse la propria remunerazione "alla fonte", diffondendo una vera cultura della cooperazione e riprendendo il disegno costituzionale di una maggiore partecipazione alla gestione delle aziende ed alla ripartizione degli utili (azioni a favore dei prestatori di lavoro…).
2) Tagliare le unghie a rendite e monopoli; continuare la politica industriale impostata da Bersani: favorire la concorrenza nei settori protetti, in modo tale da incrementare il potere d'acquisto delle categorie a reddito fisso e soprattutto basso; armonizzare la tassazione delle rendite finanziarie su livelli europei; aiutare veramente la mobilità dei lavoratori e l'accesso al diritto alla casa con una politica abitativa che stia più dalla parte di chi deve soddisfare il bisogno, piuttosto che dalla parte di chi vuole sfruttare la rendita immobiliare, separando per quanto possibile il mercato della prima casa d'abitazione da quello della speculazione e dell'investimento immobiliare (in questo campo Regioni ed Enti locali appaiono gravemente in ritardo).
3) Introdurre un'imposta straordinaria; ebbene sì, come suggeriscono non tanto i manuali di Politica economica, ma la gravità e l'ingiustizia palese della situazione attuale. Non ho ancora sentito qualcuno di autorevole in campo politico od economico prendere questa posizione, ma se le affermazioni di Stiglitz ed i dati riportati hanno un senso complessivo, la conseguenza è evidente: in casi straordinari, misure straordinarie, ed un'imposta straordinaria di tipo patrimoniale potrebbe perseguire il duplice obiettivo di favorire un minimo di redistribuzione del reddito (accumulato) e costituire la base per recuperare risorse a favore degli ammortizzatori sociali, della ricerca e della riqualificazione professionale, tanto più indispensabili in una fase così cruciale per la situazione occupazionale complessiva.
Concludo questo mio intervento con delle considerazione di carattere "complessivo".
Stiamo parlando di una crisi economica che attanaglia i Paesi più industrializzati, ma la sperequazione nella distribuzione della ricchezza è un fenomeno globale, che interessa in particolare le relazioni tra il Nord ed il Sud del mondo; il fatto che a tutt'oggi più di un miliardo di persone soffrano la fame o la malnutrizione, non abbiano accesso all'acqua potabile o alle più elementari cure mediche o forme di istruzione resta il più grande fallimento di questa fase di globalizzazione e di trionfo del mercatismo da più parti sostenuta, se non esaltata.
Sembra inoltre sempre più diffusa la consapevolezza che il modello di sviluppo industriale in generale, e capitalistico in particolare, basato solo sulla crescita materiale della produzione e dei consumi, si scontri con la finitezza delle risorse che l'intero pianeta può metterci a disposizione: come dimostrano le recenti scelte di governo effettuate dal Presidente eletto degli Usa, sembra che una riconversione dell'intero sistema economico in senso più rispettoso dell'ambiente in generale non sia più procrastinabile.
Infine, il modello stesso dell'economia di mercato, basato sull'accumulazione del capitale fine a se stessa, sembra non riscuotere più quell'illimitata fiducia tipica non solo del mondo accademico, ma del pensiero politico dominante dopo la caduta del comunismo; insomma, come diceva Keynes, dovrà pur venire un tempo in cui il principale motore dello sviluppo economico non sarà più necessariamente lo spirito di accumulazione che si dispiega nei mercati attraverso il libero sfogo degli animal spirits.
Gabriele Donola docente di Diritto ed Economia Politica all'ITC "Einaudi" di Padova
Risponde Tino Bedin
L'osservazione conclusiva di Gabriele Donola mi richiama alla mente che nella loro precedente esperienza di governo dell'Italia gli stessi che la governano ora (Berlusconi, Bossi, Tremonti) osannavano gli "animal spirits" e facevano credere agli italiani che lasciando "sfogare" il mercato ci saremmo tutti arricchiti. Gli italiani gli hanno creduto allora e - purtroppo - appena l'anno scorso. Ora è troppo tardi: ci troviamo con governanti che hanno quella ideologia e devono invece far fronte alla verità: non c'è pane senza giustizia.
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