Missionari in Brasile
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Açailândia (Brasile), 12 dicembre 2008

Il Signore ci riconduce al principio della nostra vita
Ribelli ad ogni modello di sviluppo
che succhia sangue e risorse

Proviamo a "misurare" la nostra democrazia sulle speranze del Natale

Piú che di Natale, ci viene facile in Brasile parlare dell'attesa: nel conflitto tra la vita e la morte (almeno qui) non c'è ancora una vittoria definitiva. C'è gente che aspetta; espera, come si dice qui.
Esperar ha due significati: aspettare e sperare.
Sperare è un verbo attivo, resistente, di lotta (non a caso usiamo spesso l'espressione "trincheiras de esperança", trincee che difendano ostinatamente quello in cui crediamo). Quelli che sperano appaiono sempre piú come dei 'cospiratori': oggi sperare è andare contro corrente, scegliere il conflitto.
Aspettare è molto piú facile e spontaneo: è quello a cui la gente pian piano viene addomesticata. Dai programmi di sussidio governativi alla politica paternalista e di corruzione, tutti sono educati alla dipendenza e all'attesa. È una strategia globale che smorza il sogno e ammaina la rivolta.
Questo tempo di avvento, dunque, è di resistenza: per risvegliare la speranza, per non lasciarci spegnere, per mantenere viva l'indignazione, il senso di giustizia e di riscatto della nostra dignità, del protagonismo dei piccoli!
La Parola ci ripete, insistentemente, che c'è qualcosa di grande da sperare. Per Isaia, un germoglio spunterá dal vecchio tronco del popolo di Dio, dalle sue radici.
In questa nostra terra pre-amazzonica, devastata e violentata, ci sono solo tronchi mozzati e sembra che nessun germoglio riesca piú a spuntare. Anche la chiesa militante, viva e sognatrice della Teologia della Liberazione sembra soffocata da una nuova onda barbiturica, una religione mediatica e emotiva, che accarezza la pelle ma non smuove alla trasformazione.
Comprendiamo con il Profeta che è tempo di lavorare alle radici: è lí che la vita resiste. Il Signore ci garantisce che non si possono cancellare anni di storia e di lotta, di memoria e di identità; questo vale qui in Brasile e lá in Italia, dove… fa piú freddo.
Fare memoria e riscattare modelli e testimoni nella Storia e nelle nostre storie: esperar è aguzzare lo sguardo in avanti, declinando peró i verbi e le esperienze del passato, con pazienza e ostinazione. "Per risvegliare la coscienza del popolo, il cospiratore della speranza deve contare con una infinita pazienza" (p. José Comblin).
Camminiamo, dunque, in questo avvento con esperança grande e pazienza infinita: è tempo di dissodare a fondo il terreno, lavorare in profondità, perché molto di quello che cresce attorno a noi e ci soffoca non ha radici e presto avvizzirá.
Sulla scrivania ho una piccola statua di una donna indigena, gravida.
Ogni anno il Signore ci riconduce al principio della nostra vita: la magia dell'attesa, della gravidanza, è il riferimento piú vero per l'uomo e la donna di fede. Con ogni donna, crediamo con testardaggine che la vita si aprirá nuove strade.
Qui sognamo una terra di gente riconciliata con la natura e la foresta, capace di vivere in simbiosi con il creato e ribelle ad ogni modello di sviluppo che succhia sangue e risorse, finché la vita non secchi. Sognamo una chiesa di piccole comunitá corresponsabili, risorte nel cammino protagonista, curvate sulle vittime che ci circondano, coraggiose nella denuncia e nella visione politica.
E tu che leggi, dal cuore di questa Italia che accompagnamo con preoccupazione dalle periferie del mondo, o que esperas? Cosa attendi? E in nome di chi? Cerca di includere anche noi e i nostri sogni nelle tue attese! E il Dio della Vita ci accompagni e apra cammino!

Padre Dario Bossi
comboniano

Risponde Tino Bedin

Già, cosa speriamo noi qui in Italia? O forse anche qui molti sono stati riaddomesticati al mussoliniano "aspetta e spera...". Aspettare gli altri non è sperare neppure qui da noi. Aspettare non è vivere la democrazia.
Ecco cosa potremmo fare a Natale: confrontare la Natività (due genitori, un bambino, un alloggio precario, la violenza di Erode...) e le speranze che contiene, con la pratica della nostra democrazia e misurare la sua realtà proprio sulle speranze dei genitori, sulle attese dei bambini, sulla dimensione della comunità, sul ruolo del potere.

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di-642
12 febbraio 2009
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Tino Bedin