Per il ristretto numero di appassionati al reality show di Ginevra, i
fine luglio sono da sempre periodi interessanti poiché la sede WTO
ospita spesso incontri di alto livello per poter sentirsi meritevole
del successivo mese di vacanze.
Anche quest'anno, che tutti davano per perso essendo anno di elezioni
presidenziali negli Stati Uniti d'America, Pascal Lamy (direttore
generale WTO), ha voluto rispettare la tradizione, convocando per una
intera settimana poco più di una trentina di ministri per sbloccare
per l'ennesima volta il povero Doha Round, che ha avuto sinora una
vita di stenti.
La settimana si è conclusa con il risultato più atteso: un compromesso
che non è né carne né pesce e che – in parte – soddisfa tutti e in
parte no.
Per essere precisi i negoziati non sono per nulla terminati, i
funzionari stanno continuando a fare il loro lavoro poiché dal
conclave ministeriale non sono usciti veri e propri testi, ma solo
nuovi elementi che "possono servire come inizio per la discussione".
Le novità sono riassunte in una paginetta di cifre poco comprensibili
ai non addetti ai lavori;
l'importo totale dei sussidi distorsivi americani dovrebbe essere
tagliato del 70%, quelli europei dell'80%. Nella bozza del 10 luglio
erano specificati rispettivamente i range 66-73% e 75-85%, in sostanza
si è definito un valore medio. Certo sembrano valori molto alti ma non
bisogna dimenticare che non stiamo parlando di tagli sui valori
effettivamente spesi oggi in agricoltura, ma sui limiti massimi
definiti quanto nacque il WTO, al termine dell'Uruguay Round. Questo
complica le cose e spiega perché i nostri ministri affermino che
stiamo offrendo con troppa generosità mentre i paesi del cosiddetto
sud del mondo ribattano che rispetto alla spesa reale i tagli siano
molto limitati, complice il fatto che l'aumento delle derrate
alimentari ha ridotto la spesa in sussidi.
Per gli USA il taglio proposto significa poter spendere 14,5 miliardi
di dollari all'anno, ma la spesa negli ultimi anni è scesa sotto il 10
miliardi di dollari e si stima continui a calare in maniera
diametralmente opposta alla spesa in sussidi considerati in sede WTO
nella scatola verde.
Insomma il negoziato procede per i consueti binari: chi può spendere
continuerà a farlo riclassificando i sussidi, gli altri continueranno
a non poterlo fare.
Il negoziatore europeo Mandelson ha una difficoltà in più rispetto
alla collega statunitense: ha dietro di sé 27 paesi che non la pensato
tutti allo stesso modo, in particolare la Francia tira le file di
quelli - fra cui l'Italia - che pensano di essere troppo generosi e
puntano il dito contro Brasile, India e Cina che considerano partners
alla pari.
Le offerte agricole di USA ed UE richiedono come contropartita quelle
del resto del mondo sul tavolo NAMA (prodotti industriali) dove il
discorso dei tagli è ribaltato poiché sono i paesi non occidentali a
dover tagliare di più, poiché hanno dazi superiori ai nostri. Idem nel
settore dei servizi, quello in cui i negoziati sono più indietro.
Ma rimandiamo il dettaglio a quando ci saranno documenti consolidati.
Al momento rimane ottusa l'ostinazione di portare avanti questo
negoziato quando tutti sanno che il congresso statunitense, dopo le
elezioni presidenziali di novembre, potrà modificare il risultato
finale, invalidandolo (il Congresso il 22 maggio ha approvato una
spesa di 307 miliardi di $ in agricoltura nei prossimi 5 anni,
annullando il veto dello stesso Bush). Ma soprattutto rimane sbagliato
il binario su cui si sta lavorando. A nessuno può sfuggire che i
testi su cui si sta lavorando sono diventati assurdi. La sola bozza
agricola che alla fine dei conti dovrebbe dire di quanto vanno
tagliati dazi e sussidi consta di 116 pagine perché per ogni punto vi
sono regole generali, eccezioni, eccezioni sulle eccezioni e
iniziative specifiche per linee di prodotti. In sostanza per
accontentare tutti in qualcosa sta scaturendo un testo così
aggrovigliato che alla fine vien da dire che ciascun paese (con un
minimo di peso negoziale) sta ottenendo di fare quello che vuole. Il
che implica che un testo del genere non serve a nessuno, se non a far
sorridere Pascal Lamy.
In un momento in cui il problema è di sfamare la gente, inquinare meno
e trovare un modo di vivere carbon free, non abbiamo bisogno di
aumentare il flusso di merci che girano per il pianeta, piuttosto
avremmo bisogno di farle girare (e inquinare) di meno, favorendo che
ciascuno innanzitutto coltivi il necessario per i propri consumi (così
sarà meno a rischio di aumenti sui mercati internazionali). Piuttosto
che imporre tagli il WTO potrebbe negoziare che chi vuole può mettere
i dazi che vuole sui prodotti che un paese sussidia cosicché l'effetto
dei sussidi non rovini i mercati e potrebbe regolare i mercati facendo
in modo che non possano esistere monopoli e oligarchie di corporation
che li distorcono, potrebbe favorire l'occupazione, il rispetto dei
diritti e l'ambiente.
Nei momenti di crisi serve rinnovare non riproporre una minestra
riscaldata e così annacquata da non aver più né sapore, né effetti
benefici.
Roberto Meregalli (roberto@beati.org) Beati i costruttori di pace – Tradewatch.it
Risponde Tino Bedin
Anche la resistenza che il governo della Destra italiana ha manifestato fino all'ultimo all'ipotesi di compromesso, con Berlusconi che cerca l'appoggio di Sarkozy, appartiene ad una logica superata: quella di considerare l'agricoltura come merce di scambio per l'industria o i servizi. Si è fatto per decenni e non è servito né all'agricoltura né all'industria. Oggi tuttavia la questione alimentare esplosa a livello globale richiede di cambiare prospettiva e di comparare tra loro i sistemi agricoli, cercando un equilibrio che consenta di assicurare il cibo necessario al pianeta e non di entrare con i prodotti industriali nei paesi che vogliono venderci derrate alimentari.
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