Doha Round
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Internet, 28 luglio 2008

Da Ginevra nuovi elementi utili "come inizio per la discussione"
Doha Round: la minestra riscaldata
Sa di vecchio lo scambio agricoltura-industria

Per il ristretto numero di appassionati al reality show di Ginevra, i fine luglio sono da sempre periodi interessanti poiché la sede WTO ospita spesso incontri di alto livello per poter sentirsi meritevole del successivo mese di vacanze.
Anche quest'anno, che tutti davano per perso essendo anno di elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America, Pascal Lamy (direttore generale WTO), ha voluto rispettare la tradizione, convocando per una intera settimana poco più di una trentina di ministri per sbloccare per l'ennesima volta il povero Doha Round, che ha avuto sinora una vita di stenti.
La settimana si è conclusa con il risultato più atteso: un compromesso che non è né carne né pesce e che – in parte – soddisfa tutti e in parte no.
Per essere precisi i negoziati non sono per nulla terminati, i funzionari stanno continuando a fare il loro lavoro poiché dal conclave ministeriale non sono usciti veri e propri testi, ma solo nuovi elementi che "possono servire come inizio per la discussione". Le novità sono riassunte in una paginetta di cifre poco comprensibili ai non addetti ai lavori; l'importo totale dei sussidi distorsivi americani dovrebbe essere tagliato del 70%, quelli europei dell'80%. Nella bozza del 10 luglio erano specificati rispettivamente i range 66-73% e 75-85%, in sostanza si è definito un valore medio. Certo sembrano valori molto alti ma non bisogna dimenticare che non stiamo parlando di tagli sui valori effettivamente spesi oggi in agricoltura, ma sui limiti massimi definiti quanto nacque il WTO, al termine dell'Uruguay Round. Questo complica le cose e spiega perché i nostri ministri affermino che stiamo offrendo con troppa generosità mentre i paesi del cosiddetto sud del mondo ribattano che rispetto alla spesa reale i tagli siano molto limitati, complice il fatto che l'aumento delle derrate alimentari ha ridotto la spesa in sussidi.
Per gli USA il taglio proposto significa poter spendere 14,5 miliardi di dollari all'anno, ma la spesa negli ultimi anni è scesa sotto il 10 miliardi di dollari e si stima continui a calare in maniera diametralmente opposta alla spesa in sussidi considerati in sede WTO nella scatola verde.
Insomma il negoziato procede per i consueti binari: chi può spendere continuerà a farlo riclassificando i sussidi, gli altri continueranno a non poterlo fare.
Il negoziatore europeo Mandelson ha una difficoltà in più rispetto alla collega statunitense: ha dietro di sé 27 paesi che non la pensato tutti allo stesso modo, in particolare la Francia tira le file di quelli - fra cui l'Italia - che pensano di essere troppo generosi e puntano il dito contro Brasile, India e Cina che considerano partners alla pari.
Le offerte agricole di USA ed UE richiedono come contropartita quelle del resto del mondo sul tavolo NAMA (prodotti industriali) dove il discorso dei tagli è ribaltato poiché sono i paesi non occidentali a dover tagliare di più, poiché hanno dazi superiori ai nostri. Idem nel settore dei servizi, quello in cui i negoziati sono più indietro. Ma rimandiamo il dettaglio a quando ci saranno documenti consolidati.
Al momento rimane ottusa l'ostinazione di portare avanti questo negoziato quando tutti sanno che il congresso statunitense, dopo le elezioni presidenziali di novembre, potrà modificare il risultato finale, invalidandolo (il Congresso il 22 maggio ha approvato una spesa di 307 miliardi di $ in agricoltura nei prossimi 5 anni, annullando il veto dello stesso Bush).
Ma soprattutto rimane sbagliato il binario su cui si sta lavorando. A nessuno può sfuggire che i testi su cui si sta lavorando sono diventati assurdi. La sola bozza agricola che alla fine dei conti dovrebbe dire di quanto vanno tagliati dazi e sussidi consta di 116 pagine perché per ogni punto vi sono regole generali, eccezioni, eccezioni sulle eccezioni e iniziative specifiche per linee di prodotti. In sostanza per accontentare tutti in qualcosa sta scaturendo un testo così aggrovigliato che alla fine vien da dire che ciascun paese (con un minimo di peso negoziale) sta ottenendo di fare quello che vuole. Il che implica che un testo del genere non serve a nessuno, se non a far sorridere Pascal Lamy.
In un momento in cui il problema è di sfamare la gente, inquinare meno e trovare un modo di vivere carbon free, non abbiamo bisogno di aumentare il flusso di merci che girano per il pianeta, piuttosto avremmo bisogno di farle girare (e inquinare) di meno, favorendo che ciascuno innanzitutto coltivi il necessario per i propri consumi (così sarà meno a rischio di aumenti sui mercati internazionali). Piuttosto che imporre tagli il WTO potrebbe negoziare che chi vuole può mettere i dazi che vuole sui prodotti che un paese sussidia cosicché l'effetto dei sussidi non rovini i mercati e potrebbe regolare i mercati facendo in modo che non possano esistere monopoli e oligarchie di corporation che li distorcono, potrebbe favorire l'occupazione, il rispetto dei diritti e l'ambiente.
Nei momenti di crisi serve rinnovare non riproporre una minestra riscaldata e così annacquata da non aver più né sapore, né effetti benefici.

Roberto Meregalli (roberto@beati.org)
Beati i costruttori di pace – Tradewatch.it

Risponde Tino Bedin

Anche la resistenza che il governo della Destra italiana ha manifestato fino all'ultimo all'ipotesi di compromesso, con Berlusconi che cerca l'appoggio di Sarkozy, appartiene ad una logica superata: quella di considerare l'agricoltura come merce di scambio per l'industria o i servizi. Si è fatto per decenni e non è servito né all'agricoltura né all'industria. Oggi tuttavia la questione alimentare esplosa a livello globale richiede di cambiare prospettiva e di comparare tra loro i sistemi agricoli, cercando un equilibrio che consenta di assicurare il cibo necessario al pianeta e non di entrare con i prodotti industriali nei paesi che vogliono venderci derrate alimentari.

    Partecipa al dialogo su questo argomento

di-618
28 luglio 2008
scrivi al senatore
Tino Bedin