Açailândia é la terra che mi ha accolto, il 19 luglio.
C'è voluto un bel po', a dire il vero: 24 ore tutte intere di aereo per arrivare a São Luís, e altre 10 di treno attraversando tutto il Maranhão. Sembravano terre tutte uguali, quelle attraversate: pascoli e terra bruciata.
"Disorientato", è la parola giusta per il mio arrivo, immerso in una terra uguale a tante altre, nascosto nel cuore di questo popolo tutto da riscoprire, molto diverso da São Paulo.
Açailândia deriva da Açaí, un frutto gustoso di una palma che qui giá non c'è piú. Biglietto da visita scaduto, per una cittá che ha solo 26 anni di vita (io piú vecchio di lei!).
In questi pochi anni la foresta è stata tagliata, fatta a pezzi e rivenduta. Dieci anni fa c'erano 60 segherie tutte nella stessa cittá, ora stanno chiudendo l´ultima.
Tanti camion di legna, carbone o minerale attraversano la cittá, di giorno e di notte. Li accoglie, all'entrata, un "monumento" che è un inno al saccheggio: un grande tronco di foresta nativa, innalzato come un dolmen a ricordare che qui la gente ha sempre vissuto di disboscamento.
Ora molti si sono buttati nell'allevamento. Siamo la zona con maggior produzione di carne di tutto il nordest del Brasile. Proprio ieri si discuteva dell'equilibrio strano che qui occorre mantenere tra diritti dell'uomo e diritti delle vacche (o meglio: dei loro padroni).
Ricordo al GIM in Italia Matteo e Marisa, tornando dal loro stage in Belgio, raccontavano del porto di Rotterdam, il piú grande d'Europa.
Ora mi trovo dall'altra parte dell'imbuto: Carajás. Una delle terre piú ricche di minerali del Brasile, da qui prendono tutto, caricano sulla "strada di ferro" fino a São Luís e esportano in tutto il mondo.
Ma il conflitto resta qui.
I comboniani questa volta hanno capito bene qual era il posto giusto, e si sono stabiliti esattamente nel cuore di un conflitto che esprime bene le contraddizioni del consumo di oggi.
Sono qui da vent´anni e hanno lavorato molto bene con le comunitá cristiane.
Trovo una chiesa molto ben organizzata, dove i laici sono attivi e sono stati preparati molto bene. Grazie a Dio, altrimenti come avere cura di tutta questa gente, piú di sessantamila nella nostra parrocchia (senza contare la terra ed il suo grido, direbbe la Bibbia)?
Ma trovo anche persone "consumate" dal sogno del consumo: lo spirito di lotta, impegno e partecipazione di alcuni anni fa si è molto affievolito. La religione per molti si riduce a consolazione o fuga; alla dottrina sociale della chiesa si sovrappongono gli 'Osanna', piú facili da cantare e meno impegnativi per gli stessi preti di qui (salvo eccezioni a cui subito mi sono stretto!).
Devo reimparare la lingua semplice della gente, ma insieme dobbiamo "portarci oltre".
Nei giorni della mia partenza era il libro dell'Esodo a condurre la liturgia: lo ritrovo qui, scritto per terra, con tracce confuse da identificare insieme.
Risponde Tino Bedin
Come ha commentato nella primavera scorsa Papa Benedetto XVI, «il Brasile è anche un Paese che può offrire al mondo la testimonianza di un nuovo modello di sviluppo: la cultura cristiana infatti può animarvi una "riconciliazione" tra gli uomini e il creato». Per la stessa Chiesa cattolica il Brasile, che ha la Conferenza episcopale più numerosa del mondo, rappresenta una risorsa che, nell’epoca della globalizzazione,può indicare in concreto come l'identità cattolica è la risposta più adeguata, «purché - sono ancora parole di Benedetto XVI - animata da una seria formazione spirituale e dai principi della dottrina sociale della Chiesa».Merita quindi di essere seguita da tutti coloro che l'hanno conosciuto a Padova la nuova missione di padre Dario: per sostenerlo, ma soprattutto per essere sostenuti qui.
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