Alla vigilia Peter Mandelson aveva affermato che Potsdam non avrebbe
concluso il Doha Round, ma avrebbe certamente stabilito le reali
possibilità di chiudere positivamente il negoziato.
Potsdam è la località tedesca in cui in questa settimana i ministri di
Ue, Usa, India e Brasile - il cosidetto G4 che raggruppa i maggiori
protagonisti dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) - hanno
tentato di trovare un accordo per evitare un fallimento del negoziato
sulla liberalizzazione del commercio mondiale, quello che viene
comunemente chiamato il negoziato di Doha, dal nome della capitale del
Qatar dove nel 2001 prese avvio, con l'obiettivo di porre la
liberalizzazione degli scambi al servizio dello sviluppo dei paesi più
poveri.
Il commissario europeo al commercio Peter Mandelson, la commissaria Ue
all'agricoltura, Mariann Fischer Boel, la segretaria americana al
commercio, Susan Schwab, il ministro del commercio indiano, Kamal
Nath, e il ministro degli esteri brasiliano, Celso Amorim, si sono
ritrovati alla residenza di Cecilienhof (dove subito dopo la Seconda
Guerra mondiale si tenne la Conferenza di Potsdam fra i vincitori -
Stalin, Truman, Churchill - sul futuro assetto dell'Europa) per un
incontro informale a porte chiuse, ufficialmente non organizzato dal
WTO, ma considerato fondamentale per un eventuale accordo complessivo,
allargato a tutti i 150 membri dell'organizzazione mondiale del
commercio.
Alla vigilia erano unanimi le dichiarazioni di auspicio da parte delle
parti in causa, ma nel pomeriggio di ieri, Kamal Nath e Celso Amorim
hanno lasciato i tavoli del negoziato. Il ministro brasiliano ha detto
che era "inutile" continuare a trattare.
Inutile leggere le dichiarazioni alla stampa da parte dei quattro
attori saliti sul palcoscenico di Potsdam, parole già dette, simili
alle repliche dei programmi televisivi che le tv ripropongono in
estate per riempire i loro palinsesti.
Ognuno è deluso del fallimento, anche perché era pronto a fare
generose concessioni ma a mancare sono state le concessioni altrui.
Sono le identiche dichiarazioni di un anno fa (23/24 luglio 2006),
quando gli stessi attori, più Australia e Giappone, si erano riuniti a
Ginevra, sull'onda della dichiarazione che il G8 di San Pietroburgo che
aveva fatto appello a "uno sforzo condiviso per concludere i negoziati
dell'Agenda per lo sviluppo di Doha ed ottemperare agli obiettivi per
lo sviluppo del ciclo di negoziati".
Un anno fa Susan Schwab, rappresentante USA per il commercio si era
espressa così: "Siamo ovviamente molto delusi che il G6 non sia
riuscito a trovare un accordo la scorsa notte. Gli Stati Uniti sono
venuti a Ginevra disposti ad offrire di più sui sussidi domestici e
sull'accesso al mercato. Abbiamo seriamente preso in carico
l'ammonimento dei leader del Summit G8 di San Pietroburgo, ma
sfortunatamente le promesse di flessibilità e di accesso al mercato di
San Pietroburgo non si sono materializzate a Ginevra".
Ieri il comunicato stampa statunitense recitava che: "Gli USA hanno
lavorato intensamente per creare il consenso necessario all'avvio del
Round, lo abbiamo sostenuto nei momenti difficili, e recentemente
abbiamo mostrato sempre più flessibilità per raggiungere un accordo.
Purtoppo, alcuni membri chiave continuano a non mostrare analoga
flessibilità e sul tavolo [dei negoziati] non hanno posto la benchè
minima proposta addizionale di accesso al mercato".
I commenti europei sono esattamente gli stessi, secondo Mariann
Fischer Boel, "l'Europa era pronta a tagliare le proprie tariffe
agricole del 50%, eliminare i sussidi all'esportazione entro il 2013 e
tagliare i sussidi domestici distorsivi di più del 70%", peccato non
vedere analoga flessibilità nei partner; la commissaria
all'agricoltura ha ammonito il resto del mondo che l'UE non farà
analoghe concessioni agricole in nessun accordo bilaterale.
Davvero suonano lontane le affermazioni dell'allora capo negoziatore
americano Zoellick, nuovo presidente della Banca mondiale, che a Doha
aveva dichiarato: "Su un'ampia varietà di questioni, dalla
liberalizzazione dell'agricoltura alla riduzione dei dazi doganali sui
prodotti industriali, abbiamo mostrato come i nostri interessi possano
convergere con quelli del mondo in via di sviluppo".
La verità è che questo non è mai accaduto.
La WTO è nata sancendo una condizione di squilibrio nell'ambito delle
regole del commercio internazionale che favorisce i paesi
industrializzati a danno dei paesi più poveri. Il nono negoziato
mulitlaterale avviato a Doha avrebeb dovuto sanare questi aquilibri o
quantomeno invertire la rotta. Ma USA ed Ue (ed altri), non hanno mai
inteso questo scopo, non è nella loro natura concepire un negoziato
commerciale che non sia una lotta per ottenere maggiori spazi di
esportazione per le proprie imprese nei mercati esteri, contenendo al
minimo le concessioni proprie.
In questa logica non c'è spazio reale per un Round per lo sviluppo
altrui, se non nella retorica; il meeting di Potsdam non poteva perciò
condurre ad alcuna soluzione positiva.
Del resto le concessioni agricole enunciate dalla Fischer Boel sono le
stesse di un anno fa, il "dramma" europeo è di non poter far altro che
tentare di "vendere" la propria riforma agricola del 2003, il
disappunto della commissaria è di veder sfumare questa occasione al
contrario di quanto accadde nell'Uruguay Round. Gli USA hanno sempre
espresso disponibilità per bocca di Susan Schwab, ma alle sue spalle
il Congresso americano ha sempre espresso tutt'altra posizione e oggi
non ha alcuna intenzione di dover sottostare ad imposizioni
"straniere" nella riscrittura della propria finanziaria agricola.
Hanno assolutamente ragione Brasile ed India ad affermare che con
queste condizioni, trattare è inutile, perché quello che USA ed Ue
desiderano è solo un sì alle loro condizioni.
Cosa succederà ora? Il Doha Round dopo lunga agonia è definitivamente
morto e sepolto?
Formalmente no, Pascal Lamy, direttore dell'Organizzazione mondiale
del commercio, invita tutti i membri a riprendere oggi i negoziati
nella loro sede deputata, ma sostanzialmente sì, nella realtà il
"Round per lo sviluppo" non è mai iniziato.
Roberto Meregalli Beati i costruttori di Pace - Tradewatch
Risponde Tino Bedin
L'analisi è del tutto condivisibile e non devo far altro che sottoscriverla. Con una sola osservazione: di queste decisioni nessuno porta la responsabilità democratica. Esse incidono profondamente sul presente e sul futuro anche degli italiani (non solo delle persone del Sud del mondo), ma non sono oggetto di valutazioni parlamentari (né al Parlamento italiano né al Parlamento europeo) e quindi di assunzione di responsabilità e di "rendicontazione" degli eletti ai cittadini. Fondo Monetario e Organizzazione mondiale del commercio non cambieranno da soli. Mi aspetto che non solo qualche sparuto parlamentare ma le grandi forze politiche, a partire dal futuro Partito Democratico, mettano questo tema nella loro agenda.
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