Cari amici, è un po di tempo che non vi scrivo dalla Palestina o della Palestina. Sono ora a Betlemme, finalmente al Centro Mehwar, per il quale abbiamo lavorato per tanti anni, è aperto. Mehwar vuol dire, il Centro, il cuore delle cose, il nocciolo, quello che è piu importante all'interno.
Sono molto felice, abbiamo tante attività a cui partecipano donne
dall'esterno: palestra, asilo nido, film e dibattiti che riguardano le
donne, il concetto di onore...
All'interno sono ospitate 7 donne, o
meglio, per ora ragazze, la piu anziana ha 23 anni, tutte con storie molto
dure... Duro è il lavoro con loro, ma sembrano felici, ed ogni giorno va
meglio, e lo staff è motivato e soddisfatto. Questa è la notizia che
volevo darvi, ma vi scrivo, così di primamattina perchè sento il bisogno
di raccontarvi una cosa che mi e successa ieri... e che mi e rimasta
impressa, tanto che questa mattina appena sveglia mi rimbombava nella
testa... Ieri dopo 6 giorni, sono uscita dalla zona di Betlemme, per
anadare a 4 chilometri, a Beit Safafa (zona Gerusalemme) dove vive
la psicologa che collabora con il Centro, per parlare con lei.
Le volte scorse, passavo il check point in macchina, con Elena, con una
macchina con targa israeliana, e quindi si passava senza problemi. Ieri,
ho preso un taxi palestinese, fino a check point (3 km), sono scesa ed ho
passato il controllo. Nell'ultimo anno, i check point sono cambiati..
sono diventati come terminal di aereoporto... grandi, con porte metalliche
dentro dei grandi hangar... spazi enormi, con parcheggi, si dice che in
futuro, dentro questi spazi ci saranno anche
negozi ed altre cose... (il mio amico padre Jacques mi diceva la scorsa
volta: vai, vai a piedi
una volta, non prendere la macchina è un'esperienza che non devi
perdere...).
Per accedere al check point, addossato lungo il muro... un
stretto corridoio fatto di rete metallica... Quando cominci a percorrerlo
ti senti un animale che va al macello... Stretto stretto... Arrivi ad una
prima guardiola blindata dove fai vedere il passaporto. Il soldato mi
sorride, o sorride al mio passaporto europeo... Tutto ok. Penso sia
finita e mi dico: ma perché tante storie? perché il mio amico
insisteva perché passassi a piedi? in fondo è come sempre... Il corridoio
camminamanento si fa più largo. Sono la sola a passare il controllo, non vedo nessuno. C'e un
grande pacheggio per i bus. Capisco che non devo passare per di
lì. Continuo a camminare: nessuno. Il camminamento mi porta dentro
l'hangar; è vuoto; tante porte di ferro chiuse, a destra con dei
recinti per entrarci, ma nessuno. Una grande porta in fondo con su
scritto "exit", ma è chiusa. Mi domando: la devo aprire? Ma è grande... se mi sparano poi? Torno indietro, ma non c'è nessuno, vado avanti, chiedo
cosa devo fare a voce alta. Nessuno risponde. Torno indietro e finalmente vedo altre persone che vengono giu verso l'hangar; altri
palestinesi. Domando loro: dove devo passare? Mi dicono: no non aprire
quella porta (dove c'era scritto exit), ti sparano, vieni di qui, passiamo attraverso dei tornelli. Si spinge una porta di ferro su cui
non era scritto nulla. ed eccoci in un'altra parte dell'hangar con i
giovani soldati dentro le guardiole blindate. Vanno avanti i palestinesi,
anche delle donne si tolgono tutto, scarpe, borse e le passano a dei
controlli con monitor, come l'aereoporto. Lo faccio anche io... Poi di
nuovo tutto si ferma per me: Do you have a passport? Do you have a
passport? Sure i do... Come si puo vivere in questo paese senza un
passaporto? Il passaporto è sempre con te. Perchè me lo domandano? Tutti
me lo domandano e tutti i palestinesi cercano di dirlo, che io ho il
passaporto all'uomo o alla ragazza dentro la guardiola, che non sente per
vetri blindati... She has a passport! She has a passport! She has a passport! Io non capisco perchè questa domanda, cosa
significa "Do youhave a passport?".
Perché tutti noi che passiamo attraverso quei controlli lo dobbiamo
avere... e poi un lampo si è acceso nella mia testa... e con la stessa intensa
sensazione mi sono svegliata questa mattina: do you have a passport? La
domanda significava: sei una cittadina di uno stato che esiste? Sei un
essere umano con dei diritti civili? Sei diversa da queste persone in fila
con te? E queste stesse persone ripetevano la domanda, segnando la
differenza fra me e loro... Che cavolo di domanda è: do you have a
passaport? Adesso le persone si dividono non solo in uomini e donne,
bianchi e neri, poveri e ricchi ma anche fra chi ha un passaporto e chi
non puo averlo...
Risponde Tino Bedin
Per chi da generazioni ha una identità territoriale, come noi italiani, è difficile capire cosa significa essere è "senza terra", non avere un posto con cui essere identificato perché fa parte di te e nessuno lo mette in discussione. Due popoli, due stati: la mediazione che stenta a prendere consistenza in Medio Oriente potrebbe intanto risolvere questa assenza di identità per i palestinesi.
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