Anche quest'anno, 2006, si è festeggiato in tutta Italia l'anniversario della Liberazione. Festa che dovrebbe essere di tutti gli italiani, per ricordare, con doveroso senso di gratitudine, coloro che, in momenti difficili, fecero la scelta molto coraggiosa di percorrere una strada disseminata di sofferenze e di morte, per il bene dell'Italia. A questi uomini - i padri della Resistenza - tutti gli italiani devono la riconoscenza per averci consegnato una Italia libera.
Purtroppo, ho dovuto constatare che dopo ben 61 anni dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, le manifestazioni commemorative hanno evidenziato le profonde "spaccature" che ancora oggi dividono gli italiani. Gli avvenimenti connessi alla Liberazione, sebbene così lontani nel tempo, vengono discussi con passione e con le lenti deformanti della politica. E questa logica rischia di perpetuare nel tempo solo faziosità, mancanza di obiettività e divisioni insanabili nel popolo italiano.
È mia opinione che ormai sia giunto il momento di fare una seria riflessione intorno a questi avvenimenti e di provare ad interpretarli unicamente in chiave storica e con il giusto rispetto che si deve, in ogni caso, a tutti i morti, a prescindere dalla parte nella quale si sono trovati a combattere.
Il "Gruppo Leone di San Marco - Marina Militare", annovera fra i suoi soci gli uomini che militano o che hanno militato nei reparti del San Marco di oggi, ma anche quelli di ieri: nel Reggimento che ha combattuto a fianco degli Alleati, ma anche nella "Divisione San Marco" della Repubblica Sociale Italiana. Questa scelta può apparire, ai molti, poco opportuna e al di fuori degli abituali schemi di suddivisione di parte: "noi" e "loro". I soci del "Gruppo", invece, svincolati da qualsiasi appartenenza politica, fin dall'inizio, hanno dato vita ad una profonda riflessione sulle vicende che hanno caratterizzato il Secondo Conflitto Mondiale ed in particolare la fase della Liberazione. Le conclusioni sono sostanzialmente tre.
La prima si riferisce all'esigenza di conciliazione e di pacificazione di cui il popolo italiano sente l'esigenza, soprattutto per avvenimenti così lontani nel tempo.
La seconda riguarda l'opportunità di "leggere" questi avvenimenti alla luce della loro verità storica. La storia per definizione è la descrizione obiettiva degli eventi del passato, pertanto bisogna prendere atto che essa ci dice che non vi è alcun dubbio su chi ha vinto la guerra e chi, invece, ne è uscito sconfitto. Ma per onestà intellettuale dobbiamo ammettere che se le vicende belliche avessero avuto una diversa conclusione, oggi ci troveremmo a parlare degli stessi argomenti, ma a parti invertite. Inoltre, tutti noi dovremmo fare un esercizio mentale e metterci idealmente nei panni di chi si è trovato nella grande confusione politica-militare dell'8 settembre del 1943. Con quali criteri i nostri combattenti, privi di informazioni e, soprattutto in mancanza di direttive militari, potevano valutare qual era la scelta giusta da fare? ed i giovani, educati nel clima del ventennio fascista? Oggi, col senno di poi, è fin troppo facile esprimere dei giudizi approssimati ed ergersi a giudici, attribuendo condanne di "buoni" e "cattivi". L'8 settembre è stata una pagina di storia molto triste per tutti: per l'Italia, per il popolo italiano, per le Forze Armate, per le Istituzioni dello Stato, per la politica e per i singoli cittadini! Sarebbe opportuno non trascinarci nel tempo gli effetti di questa tragica pagina della nostra Patria!
La terza conclusione, che tutti noi del "Gruppo Leone di San Marco" riteniamo la più importante, è quella che attiene al valore della morte. Tutti i nostri caduti meritano indistintamente, e con uguale intensità, il nostro rispetto, la nostra gratitudine e la nostra umana pietà. Non ha alcuna importanza se essi si sono sacrificati per una causa che la storia, successivamente, ha giudicato giusta o sbagliata. Tutti i nostri morti, da qualunque parte si sono trovati a combattere, credevano, in buona fede, di operare nell'interesse dell'Italia; nessuno ha mai combattuto "contro" la propria Patria. E questa è una verità storica incontestabile.
La cerimonia con cui il "San Marco" ha voluto celebrare il 25 aprile 2006 presso il cimitero militare di Altare, dove sono sepolti i caduti della Divisione San Marco della RSI, ma anche partigiani e militari alleati e tedeschi, aveva proprio questo significato di fondo: affermare che tutti i morti per la Patria meritano lo stesso rispetto e pietà. Questo era il pensiero che aveva animato anche colui che, nel momento in cui la lotta fratricida infuriava ancora, aveva realizzato questo cimitero.
La cerimonia ha visto una larga partecipazione e questo ci fa intendere che il nostro concetto "ecumenico" di morte è largamente condiviso dai cittadini.
A coloro che amano dividere i morti in "buoni" e "cattivi" consiglierei di recarsi al cimitero di Altare e di dedicare un solo minuto di raccoglimento e di riflessione, in perfetta solitudine, di fronte alle croci tutte bianche e tutte uguali e consiglierei anche di leggere qualche nome e la loro data di nascita e di morte. Sono certo che dopo quel minuto saranno degli uomini diversi!
Nicola Signore già vice comandante del Battaglione San Marco
Risponde Tino Bedin
Credo che la Repubblica che quest'anno celebra i suoi sessant'anni abbia già dimostrato e dimostrerà sempre meglio la sua capacità di dare cittadinanza effettiva a tutti gli italiani. Non c'è bisogno di amnistie postume. Ben venga comunque il dibattito, a condizione che la cornice sia il rafforzamento della Repubblica nata dalla scelta di lealtà istituzionale della stragrande maggioranza dei militari italiani tra i 1943 e il 1945 e dalla scelta di lealtà democratica dei combattenti nella Resistenza. Il tentativo pervicamente perseguito - anche se fortunametamente senza esito - della Destra italiana nella scorsa legislatura di equiparare i militari dello Stato italiano a quelli della Repubblica sociale di Salò non è la strada per la comune cittadinanza. C'è, caro generale Signore, una delle tre conclusioni del Gruppo Leone di San Marco che mi permetto di mettere in discussione: non è la vittoria militare a determinare la "giustizia". Anche se disgraziatamente per l'Italia e per l'Europa il nazismo ed il fascismo avessero vinto, non per questo oggi mi sentirei in coscienza di dire che avevano ragione e che chi ha indossato le loro divise era dalla parte giusta.
|