Onorevole Sen. Tino Bedin,
vorrei innanzi tutto ringraziarla per la risposta che qualche tempo fa ha dato alla mia lettera.
In secondo luogo vorrei riprendere il dialogo perché mi preme discutere con lei del significato morale della scelta del C.F. Junio Valerio Borghese in occasione dell'armistizio dell'8
settembre.
Come ha ben detto lei, la Patria è fatta di uomini in carne, sangue e ossa.
Ma è pur vero che, di fronte al tradimento dell'allora alleato germanico,
uomini come Borghese, appartenenti alla vecchia stirpe degli uomini d'onore,
furono messi di fronte alla realtà di un Sovrano che in apparenza fuggiva
lasciando il paese senza una guida, di una guerra che "continuava" senza
sapere in che forma e modo, di ordini contraddittori, di un voltafaccia nei
confronti di un alleato, fino a quel momento, leale.
Gli eventi di Cefalonia sono successivi, scollegati e poco conosciuti in
quei giorni così confusi. Non possono quindi essere presi ad esempio, se non
in un'ottica successiva alla guerra.
Ma tornando al valore degli uomini, cosa rendeva più "onorevoli" i
partigiani di tutti i giovani che si riunirono sotto le insegne della Xa
Mas? Forse aver scelto il lato giusto del campo di battaglia? Non deve
perdere di vista che lei sa come è andata la storia, lei conosce i
retroscena, lei ha in mente le ragioni delle decisioni prese, ma quei poveri
ragazzi no. Loro sapevano solo quello che il cuore loro inspirava in quei
giorni. Non avevano quadri d'insieme, libri e riviste su cui leggere le
ragioni dell'uno o dell'altro. Conoscevano solo il loro Comandante, e tanto
bastava.
Per loro esisteva soltando quello. Per questo io dico "Onore a loro". Si può
discutere della correttezza della scelta di Borghese, ma non di quella dei
suoi uomini. Loro non seguivano il Re. Loro seguivano un uomo che dava loro
speranza.
E con questo mi scuso ancora per la mia presunzione, e le chiedo di provare
a comprendere le ragioni della mia posizione, così come io proverò nei suoi
confronti.
Alain Cardilicchia guardia marina
Risponde Tino Bedin
Anch'io la ringrazio di continuare il dialogo. Confermo che il giudizio morale non riguarda le singole persone, la loro vita, la loro speranza. Credo che certamente il ruolo del comandante abbia pesato moltissimo nelle scelte dei singoli militari, perché era necessario in quei momenti "fidarsi". Possiamo astenerci da un giudizio politico e storico? Non credo. Anche perché la stragrande maggioranza dei militari italiani scelse di stare dalla parte delle istituzioni riconosciute, dalla parte della monarchia. Una scelta non facile, a volte tragica, visto non solo l'alto numero di morti ma il più alto numero di militari che furono deportati nei campi di lavoro tedeschi.
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