Legge elettorale

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Roma, 28 novembre 2005

Appello di cento giuristi ai senatori
Allarmanti vizi di costituzionalità
nella nuova legge elettorale

Norme a vantaggio dei partiti dell'attuale maggioranza e non dei cittadini

Gentile Senatore, è in corso al Senato l'iter di approvazione del Ddl As 3633, recante Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, già approvato alla Camera dei Deputati nella seduta del 13 ottobre 2005.
Si tratta di un passaggio estremamente importante. La Camera Alta è chiamata a pronunziarsi su una legge che, ancorché ordinaria, occupa nell'ordinamento una posizione del tutto peculiare. Essa, infatti, determinando il modo di composizione della rappresentanza, condiziona strutturalmente la formazione dell'indirizzo politico e l'attività delle Camere. In un certo senso, si potrebbe dire che la legge elettorale è una "legge alla seconda potenza", una "legge sulle leggi".
La delicatezza di un intervento parlamentare sul sistema elettorale è evidente anche da un altro punto di vista. Le leggi elettorali sono praticamente sottratte al controllo di legittimità della Corte costituzionale. La disciplina dei modi di accesso al giudice delle leggi rende infatti assai remota, se non inverificabile, la possibilità che venga sollevata una questione di legittimità costituzionale o un conflitto di attribuzione su di essa. Inoltre, atteso il momento della sua approvazione e considerati i limiti previsti dalla legge n. 352/1970, resi ancora più stringenti dalla nota giurisprudenza costituzionale, non è nemmeno tecnicamente possibile immaginare un ipotetico referendum abrogativo che si svolga prima della scadenza dell'attuale legislatura.
La legge elettorale in discussione, una volta entrata in vigore, sarà dunque praticamente insindacabile. Ciò rende ancor più allarmanti i gravi vizi di costituzionalità dalla quale essa è affetta. Vorremmo porre alla Sua cortese attenzione i seguenti.
1. Incostituzionalità nella disciplina del premio di maggioranza
Il ddl prevede, com'è noto, un premio di maggioranza, da attribuire alla coalizione di liste che abbia ottenuto il maggior numero di consensi (maggioranza relativa). Tale premio ammonta al numero di seggi necessari per conseguire una maggioranza assoluta alla Camera ed una rappresentanza comunque ampia al Senato, anche se non è garantito il raggiungimento di una maggioranza assoluta. La ratio che ispira tale soluzione è quella di assicurare la governabilità: la formazione di una maggioranza stabile e di legislatura. Confermano questa impostazione le norme che prevedono la presentazione alla Camera di un "programma di coalizione" e l'indicazione di un "Capo unico della coalizione" (art. 14-bis Dpr. 361/57 così come mod.). Proprio in base a tale finalità viene giustificata l'alterazione della rappresentanza e la sottrazione alla minoranza di un certo numero di seggi (cui essa avrebbe diritto in base ad un calcolo meramente proporzionale) i quali vengono attribuiti alla maggioranza.
Tale filosofia normativa è però del tutto irragionevolmente contraddetta dalla circostanza che la legge non prevede (né potrebbe prevedere) alcuna sanzione nel caso in cui - anche immediatamente dopo lo svolgimento delle elezioni - la coalizione beneficiaria del premio si sciolga ed ogni partito vada, in Parlamento, per la sua strada. Come si può ben comprendere in tale circostanza il premio di maggioranza si trasformerebbe in un premio "senza maggioranza". Esso si convertirebbe in un immotivato vantaggio a favore di alcuni partiti ed altererebbe così del tutto ingiustificatamente le condizione della competizione parlamentare. Si immagini quali potrebbero essere i rapporti di forza all'interno di un governo sostenuto da un partito beneficiario del premio ed un partito che all'epoca delle elezioni era in un'altra coalizione.
Né d'altra parte un vincolo di permanenza nella coalizione sarebbe ipotizzabile a Costituzione invariata. Una simile previsione violerebbe infatti l'art. 67 della Costituzione ed il divieto di mandato imperativo per i singoli parlamentari.
Si avrebbe insomma una disciplina elettorale analoga a quella in vigore per le Regioni dal 1995 al 2000 e che aveva determinato non pochi problemi (i cd. ribaltoni che hanno afflitto alcune Regioni), e sollevato non pochi interrogativi sulla costituzionalità della disciplina stessa, tanto da portare alla successiva riforma costituzionale che ha previsto la elezione diretta dei Presidenti delle Regioni e la introduzione della clausola "simul stabunt, simul cadent".
Ciò rende la disciplina per l'elezione del Parlamento significativamente diversa da quella degli altri enti (Regioni, Province e Comuni) in cui vigono leggi elettorali con premio di maggioranza. Lì infatti sono previsti meccanismi di stabilizzazione delle coalizioni durante la legislatura (collegamento del premio all'elezione diretta del capo dell'esecutivo, scioglimento anticipato in caso di dimissioni di questi). Invece la riforma in discussione è priva di una necessaria copertura costiutuzionale.
Una copertura potrebbe forse venire dalla legge di revisione della II parte della Costituzione, recentemente approvata in seconda lettura dalla Camera, la quale effettivamente prevede il riconoscimento di un vincolo di coalizione sanzionabile. Ma, per questo stesso motivo, risulta avvalorata la conclusione che la legge elettorale in discussione non potrebbe legittimamente entrare in vigore prima che le modifiche della Costituzione abbiano completato il proprio iter (approvazione del Senato ed eventuale referendum) ed acquistino efficacia.
La governabilità costituisce un valore fondamentale del nostro ordinamento costituzionale. Un'ingiustificata e contraddittoria alterazione di tale valore non sembra accettabile se non suffragata da ragioni costituzionalmente altrettanto fondate.
2. Incostituzionalità della disciplina del premio di maggioranza al Senato
Ancor meno giustificata appare la disciplina elettorale del Senato. Infatti, la previsione di ben 17 differenti "premi di coalizione" appare del tutto irragionevole e rischia di produrre esiti contrari all'esigenza per la quale l'istituto del premio di maggioranza dovrebbe giustificarsi: la governabilità.
L'irragionevolezza e la contraddittorietà della disciplina è del tutto evidente. È infatti ancor più probabile che la sfida elettorale al Senato si riduca alla competizione tra aggregazioni non solo instabili, ma anche territorialmente disomogenee, all'unico fine di conquistare un vantaggio di seggi da distribuire tra i vincitori a danno della minoranza, senza che tale esito sia in alcun modo giustificato dal valore della stabilità. Né, d'altra parte, apparirebbe legittima l'attribuzione del premio sul piano nazionale, in violazione della disposizione dell'art. 57 Cost., secondo il quale il Senato è eletto su base regionale.
3. Incostituzionalità della disciplina di differenziazione delle soglie di sbarramento
Le discipline elettorali di Camera e Senato, così come ridisegnate dalla legge in discussione, prevedono numerose soglie di sbarramento per l'accesso alla ripartizione dei seggi. Tali soglie sono variamente articolate a seconda della propensione a coalizzarsi e della consistenza elettorale dei singoli partiti. Al di là della perplessità per la presenza di ben sei soglie di sbarramento, differenziate tra l'uno e l'altro ramo del Parlamento (e al Senato assai più alte che alla Camera) senza che sia chiaramente intellegibile la giustificazione di tale diseguaglianza, tale disciplina suscita alcuni ulteriori dubbi di legittimità.
La finalità perseguita è, verosimilmente, quella di favorire l'aggregazione e scongiurare la frammentazione. Ciò giustificherebbe ad esempio il fatto che liste non coalizzate o coalizioni con consenso limitato incontrino una soglia di sbarramento assai più alta di quella prevista per le liste coalizzate (al senato, ad esempio, l'8% anzichè il 3%). La finalità è però ancora una volta irragionevolmente contraddetta dall'assenza di misure cogenti e di sanzioni per le coalizioni che, dopo aver evitato le più alte soglie di sbarramento, si disgreghino in corso o, addirittura, già all'inizio della legislatura.
4. Violazione dell'art. 51 della Costituzione, in tema di pari opportunità, per omissione di un obbligo giuridico in capo al legislatore.
Com'è noto, l'art. 51 della Costituzione, così come modificato nell'attuale legislatura, stabilisce, tra l'altro, che "tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge" e che "a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini ". A tal proposito, la Corte costituzionale ha incontrovertibilmente affermato (sent. n. 49/2003) come sia "doverosa l'azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni". Appare, pertanto, una grave omissione dell'obbligo costituzionale cui è soggetto il Legislatore non aver previsto alcun tipo di misura, quand'anche minima, per promuovere la parità tra i sessi in occasione delle consultazioni elettorali. Tanto più che, quello in corso, è il primo intervento legislativo organico dopo l'approvazione della riforma costituzionale.
In conclusione, alla luce dei menzionati dubbi di costituzionalità e considerando gli inconvenienti pratici di un possibile sindacato o controllo successivo all'entrata in vigore delle legge, il Senato è chiamato, in questa circostanza, ad un'altissima responsabilità istituzionale.

Laura Ammannati, Adriana Apostoli, Carlo Azzera, Angelo Barba,
Augusto Barbera, Raffaele Bifulco, Roberto Bin, Umberto Breccia,
Giuditta Brunelli,Maria Agostina Cabiddu, Marina Calamo Specchia,
Michele Carducci, Massimo Carli, Paolo Carrozza, Paolo Centon,
Lorenzo Chieffi, Riccardo Chiappa, Pietro Ciarlo, Stefano Maria Cicconetti,
Giovanna Colombini, Eugenia Croce, Roberto D'Alimonte, Luigi D'Andrea,
Antonio D'Andrea, Gianmario De Muro, Enrico Del Prato, Francesco Delfini, Felice Maurizio D'Ettore, Giovanni Di Cosimo, Alfonso Di Giovine,
Daniela Di Sabato, Leopoldo Elia, Gianluca Famiglietti, Fulvio Fenucci,
Mario Fiorillo, Antonio Flamini, Giuseppe G. Floridia, Tommaso Frosoni,
Carlo Fusaro, Silvio Gambino, Mario Gorlani, Nicola Grasso, Cristina Grisolia,
Tania Groppi, Enrico Grosso, Giovanni Gazzetta, Bruno Inzitari, Nicolò Lipari, Pierdomenico Logroscino, Isabella Loiodice, Aldo Loiodice, Nuccio Luminoso, Joereg Luther, Nadia Maccabiani, Ugo Macello, Stelio Mangiameli, Gennaro Mariconda, Silvio Mazzarese, Stefano Merlini, Gustavo Minervini, Lucio Valerio Moscarini, Ida Nicotra, Alessandro Pace, Elisabetta Palici, Salvatore Patti, Lucio Pegoraro, Alessandro Pizzorusso, Anna Maria Poggi, Fabrizio Politi, Massimo Proto, Giusto Puccini, Andrea Pugiotto, Margherita Raveraira, Vincenzo Ricciuto, Francesco Rigano, Roberto Romboli, Vincenzo Roppo, Emanuele Rossi, Guido Rossi, Antonio Ruggeri, Antonio Saitta, Valeria Sannoner, Mario Segni, Giovanni Serges, Antonio Serra, Federico Sorrentino, Enrico Sotgiu, Lorenzo Spadaccini, Antonino Spadaio, Pasquale Stanzione, Rolando Tarchi, Vincenzo Tondi Della Mura, Paolo Veronesi, Giuseppe Vettori, Giulio Enea Vigevani, Paolo Viticci, Maria Paola Viviani Sclhein, Salvatore Vuoto, Paolo Zatti, Alberto Zito

Risponde Tino Bedin

Non ho sostanzialmente nulla da aggiungere a questo appello, se non condividerlo. Le argomentate osservazioni degli studiosi confermano l'indirizzo di fondo della legge elettorale imposta dalla Destra: ogni elemento serve a garantire i partiti dell'attuale maggioranza e non a migliorare la rappresentanza democratica del Parlamento.Si tratta di una legge che non tiene conto dei cittadini, ma dei partiti.

    Partecipa al dialogo su questo argomento

30 novembre 2005
di-512
scrivi al senatore
Tino Bedin